Nell’era dei social e dello storytelling anche la scuola diventa sempre più creativa e visual: a raccontare le nostre avventure non solo più parole e foto ma anche disegni e video!Nell’augurarvi una buona lettura ringraziamoper il loro prezioso contributo le diverse “penne” che hanno contribuito all’ultima relazione, nell’ordine Angelina, la nostra nuova allieva e scrittrice, Stefano non solo istruttore ma anche eccellente fotografo e il nostro immancabile disegnatore Alessandro. Grazie ragazzi e a tutti voi buona lettura!
Più o meno 2.700 metri è stata la quota alla quale siamo arrivati nella terza gita del corso. 1.300 metri di dislivello cominciano ad essere una bella cifra per una principiante come me! Ma la cosa che mi sembra pazzesca è come funziona la geografia. 2.700 metri sopra il livello del mare e mi sentivo proprio in alto. Ironico visto che sono nata e vissuta per 23 anni a Bogotà (Colombia), la quinta capitale più alta al mondo!
A Bogotà diciamo “2.640 metros más cerca a las estrellas”, 2.640 metri più vicini alle stelle. Ma il paesaggio è ben lontano da quello che ci ha regalato le montagne italiane questa domenica. In Colombia, un paese proprio sull’equatore, devi andare qualche metro più in su per poter veder neve: forse con un po’ di fortuna arrivando ai 5.000 metri cominci a trovarla. Ma è così poca e protetta dallo Stato che l’ultima cosa che puoi pensare è di andarci a sciare.
Ma spostiamoci di 9.040 km dalla Colombia e torniamo alla nostra gita al Flassin. Siamo partiti in pullman alle 6:00 da Torino. Lontani dai -15° della gita scorsa, Saint-Oyen ci ha ricevuto con +5°. Questo fatto cominciava a togliermi la speranza di trovare della bella neve farinosa.
Si formano i gruppi e si parte verso il Mont de Flassin. Per le prime 2-3 ore la salita è stata bella, tranquilla, non particolarmente impegnativa e con un bel paesaggio invernale. Nel secondo pezzo cominciava la parte ripida per arrivare alla nostra meta. Ero nell’ultimo gruppo ed era veramente impressionante vedere circa 40 persone fare zig-zag e inversioni una dietro all’altra.
“Vedere 40 persone fare zig zag”, Agnese Amoretti
Dopo circa quattro ore eccoci arrivati al colle tra la Testa Cordellaz e il Flassin.
Verso il colle, Luca Biasato
Anche se non siamo arrivati sulla cima a causa delle condizioni poco sicure, la vista era comunque impressionante. Un cielo blu senza nemmeno una sola nuvola.
Video: Stefano Bertolotti
Si mangia e si beve, si tolgono le pelli e comincia la parte “divertente”. Divertente più per alcuni che per altri, ma comunque piacevole. La condizione della neve era un po’ difficile, per alcuni è stata la nostra prima esperienza con la crosta da vento e rigelo. E tra cristonate e un po’ di mal di gambe siamo scesi dalla parte più ripida per fare esercitazione di autosoccorso in valanga. Si comincia a prendere più confidenza con Artva, sonda e pala e si riprende poi la discesa per raggiungere il pullman. La seconda parte della discesa è decisamente più tranquilla, sembra quasi una pista di sci, con dei tratti di neve più bella e altri un po’ più ghiacciata e crostosa.
I gruppi cominciano ad arrivare uno per volta al pullman e sono accolti da un bel vento gelido. Arrivati tutti, ci raccogliamo al riparo del fabbricato del Foyer de Fond per scappare dal freddo vento da Nord, e si dà il via ad un bel terzo tempo con ogni tipo di spuntini salati, dolci e birra.
Verso le 17.15 si comincia a tornare a casa. Un po’ di traffico, ma verso le 19.00 siamo al punto di ritrovo.
È stata una bella gita, con un bel clima e buona compagnia. Magari la neve non era più farinosa, ma abbiamo imparato tanto e ci siamo divertiti ugualmente. Ed ora si aspetta con trepidazione la quarta gita del corso.
Angelina Callegar
Il gracchio volò e forse lo stambecco osservò – Alessandro Vicario
Quando un’immagine dice più di molte parole,,, foto di Federico
Ed eccoci qui, inizia una nuovo anno e una nuova avventura! beh forse non proprio all'insegna del bel tempo ma sicuramente dell'entusiasmo. ;)
La Redazione cambia volto..ops.. penna. Per quest'anno la frizzante e acuta penna di Francesca non potrà accompagnarci attraverso i racconti delle nostre peripezie su e giù per le montagne. Aspettando che torni presto, lasciamo la parola a una delle nostre nuove allieve, Alessandra Gallo, che coraggiosamente si è prestata alla scrittura della prima relazione dell'anno (Grazie Alessandra!). A seguire, come sempre, lo slideshow con le foto della gita (che a dirla tutta questa volta langue un po'..ma ci rifaremo la prossima volta!)
A te la parola, Alessandra
Prima uscita 2023 con il Cai Uget per il corso di sci-alpinismo: per me, che sono assolutamente nuova del gruppo e di questo sport, un po’ di tensione e tanta emozione!
Giá dal ritrovo alle 6.30, presso il luogo prestabilito dove troviamo pronto ad attenderci il nostro pullman, si percepisce che nelle persone con cui avrei trascorso la giornata c’è una meravigliosa fiamma accesa che ci accomuna: quella scintilla che alimenta l’entusiasmo ad alzarti la domenica mattina alle 4.45, e che ti carica quando, con un paio di sci pellati ai piedi, devi salire versanti della maestosa montagna innevata, magari anche ripidi e ghiacciati!
Tutto meraviglioso: la sfida con se stessi e con le proprie possibilità è uno stimolo impareggiabile. E gli istruttori del CAI, preparatissimi e attentissimi, sono pronti ad aiutare e a spiegare le tecniche di salita con delicatezza e fermezza.
Per me è stata la prima volta che ho provato un’inversione: incredibile! certi numeri che neanche una ballerina di classica!!!
A rendere il tutto veramente magico è l’eterogeneità del gruppo! Etá diverse, origini diverse, professioni diverse………tutti accomunati dalla passione per la montagna e per la sfida nel superare se stessi!
La nostra meta è Gressoney La Trinitè. Arrivati sul posto, divisione in gruppi e breve ma importante momento di conoscenza con il proprio. Prova dell’artva, e via a prendere l’ovovia che ci porta sulle piste dove ha inizio la salita. È durante questo primo momento che il gruppo si affiata. Il meteo lievemente ostile non spegne la fiamma che ci lega con un filo invisibile di rispetto e attenzione reciproca. Io ho percepito questo in particolare durante la discesa: tutti con stili e velocitá di andatura diversi, anche in parecchi sullo stesso tratto di pista: non ho mai sentito l’ansia di un’eventuale collisione come invece mi capita normalmente sulle piste affollate! Ciascuno attento a se e agli altri intorno! Per me questa modalitá di discesa è una coccola!
Fatta anche la prova di discesa per testare la capacitá di controllo della sciata di ciascuno; poi giú a valle per rimettere le pelli, risalire verso Gabiet con un’altra ovovia e risalire con gli sci verso il Passo dei Salati per poi gustare una gradevolissima discesa verso Staffal dove ad attenderci il pullman e un buffet ricco di cibo e di simpatia!
Il Rifugio Nacamuli abbarbicato tra le rocce_ foto Kia
Il rifugio mi appare all’improvviso, dietro una svolta. Non cerco mai con lo sguardo i rifugi durante la salita, forse sono sempre troppo stanco per scrutare in alto tra le rocce, o forse mi piace trovarmeli davanti all’ultimo, come un’oasi che ti si para davanti, e accoglie gambe stanche e spalle doloranti per il peso degli spallacci.
Stanco questa volta lo sono decisamente, dopo un portage lungo assai, che il tempo uggioso non ha consentito di allietare con la vista dello splendido Lago di Place Moulin, che il sentiero all’inizio costeggia, ma la foschia cela.
Il rifugio si chiama Nacamuli. Sembra il nome di una remota valle nepalese, invece è il cognome di un ragazzo di Torino, Alessandro, morto in Pakistan a metà degli anni ’80. I genitori hanno fatto una donazione al CAI, con la condizione di usarla per un rifugio a lui dedicato.
Qui un ricordo di una sua amica.
“Alla fine qualcuno pensò – per ricordarlo – a un rifugio da ristrutturare, a nome del Naca. Se lo fosse scelto da solo, non avrebbe fatto di meglio, arroccato com’era tra le pietraie e le nevi di una valle selvaggia, uno di quei terreni avventurosi e faticosissimi in cui si svolgevano le “nacamulate”, un classico estivo, interminabili arrancate collettive che conducevano il nostro gruppo in quell’insidiosa zona psicologica che sta tra l’esaltazione e la crisi isterica”. (https://marinamorpurgo.weebly.com/il-cane-magico.html)
Mi sono ritrovato in questa frase, che fotografa lo stato d’animo di tante mie stagioni sci alpinistiche, vissute tra “l’esaltazione e la crisi isterica”.
Il rifugio è veramente abbarbicato tra le rocce, un nido d’aquila; ma il pezzo forte è il cesso, una sottospecie di cabina telefonica cui si accede scendendo una ripida scala di ferro, ben ancorati ad un provvidenziale corrimano. Quando lo vedo, un solo pensiero: Signore, che stanotte non mi scappi da pisciare..
Il gestore, Giorgio, ci accoglie con la verve di chi non parla con nessuno da giorni: “Siete solo voi, mettetevi dove volete nelle due camerate; l’acqua esce dalla pompa, è acqua di fusione, arriva finchè la pompa non ghiaccia”. Alle 19 non esce più niente.
Ottima cena: minestrone, pasta, pollo e piselli, budino; sbraniamo tutto.
Mi informo con la Diretura sui progetti di domani: attacca un “Saliamo lì, poi scendiamo là, poi risaliamo su, poi riscendiamo giù..”. Sembra il programma di un giornaliero al Sestriere. Non ce la farò mai…
La notte scende sul rifugio e sul suo aereo bagno _Foto Cavùr
La sveglia suona alle 4.55; rispetto a quella di sabato abbiamo guadagnato 10 minuti. Però siamo a 2.900 metri, non in Corso Vittorio; speravo meglio…
La prima ora dal risveglio è quel festoso frullatore che caratterizza le partenze da rifugio, un affaccendarsi tra fette biscottate ed imbraghi, tra calzate di scarponi e piegamento di coperte, che termina quando il rifugio ci risputa fuori, alla fioca luce ed al freddo becco…
Salita al Col Collon, 3.114 metri, e di li al Col dell’Eveque, 3.350 m. Poi scendiamo, per quasi 300 metri, sui 20 centimetri della nevicata recente: una libidine, la miglior neve della stagione.
Secondo il feroce programma della giornata si dovrebbe risalire alla Cima d’Eveque, per poi tornare sui nostri passi, scendendo e risalendo nuovamente al colle, per calare infine alle auto. Col Parusso ci scambiamo uno sguardo d’intesa: è stata una bella gita, coronamento di una bella stagione; portiamo a casa la pelle, comprese gambe e polmoni. La vecchiaia ci ha reso cauti e saggi.
In tre decidiamo dunque di rinunciare alla vetta; risaliamo al Col dell’Eveque, con quella calma che permette di fare foto e godersi il panorama, e giunti al colle ci sistemiamo ed aspettiamo. Che spettacolo: la vista spazia tra cime che svettano superbe, un ambiente magico, sotto uno splendido sole.
I giovani e forti invece, formate le cordate, sono partiti per la vetta. In cima non arriveranno, si fermeranno 200 m. sotto il ripido pendio finale: il ghiaccio sotto la neve fresca rende pericoloso osare di più, anche tra i giovani e forti prevale la prudenza.
L’avvicinamento all’Eveque in cordata_ Foto Kia
La nostra attesa dura un paio d’ore: l’apertura ci raggiunge al colle, ma non viene verso di noi, punta sulla Becca d’Oren. Ma ‘sta gente in casa ha una ruota da gabbia di criceto, sulla quale sfogarsi fino allo sfinimento?
“Piaceva/ essere così pochi intirizziti/ uniti, /come ultimi uomini su un monte” Umberto Saba _ Foto Cavùr
La discesa è lunga lunga, con sciata a tratti piacevole; poi inizia la ricerca delle lingue di neve che ci consentano di scendere tra le rocce affioranti, ed infine il lungo portage di ritorno, fino al lago, che stavolta si manifesta nel suo azzurro alabastro. Il giovane Parussino – in un emblematico passaggio di consegne – si carica gli sci dell’anziano genitore, come fece Enea con Anchise, in fuga da Troia in fiamme. Son cose belle.
Il giovane allievo, come Enea con Anchise in fuga da Troia in fiamme, si carica gli sci dell’anziano genitore. _foto Cavùr
Questa la relazione della gita di chiusura. Ma trattandosi di una stagione peculiare, unica, penso sia doveroso aggiungere qualcosa, un bilancio consuntivo; ed avendo partecipato a tutte, dico tutte, le gite (solo io ed Enzo possiamo fregiarci di questo successo), non posso esimermi.
I protagonisti di questa ultima gita Foto_Autori vari, collage Gaia
COSA E’ ANDATO BENE
E’ stata la stagione del ritorno alle gite della Scuola, dopo due anni di stop Covid. Ed è stato bellissimo ricominciare, e farlo insieme a tanti vecchi e nuovi amici.
E’ stata la stagione del passaggio di consegne dal Sommo Diretùr dei Diretùr, alla nuova Diretura. Ella ha condotto in porto la stagione con pugno di ferro in guanto di velluto; pacata, equilibrata, ha ispirato sicurezza, condita con lampi di ironia. La leadership del nuovo millennio, si sa, è donna.
E’ stata una stagione avara di neve, che ci ha costretto a confinare la quasi totalità delle gite in Val d’Aosta. La partenza alle 06.00 da Corso Giulio è stata una costante così reiterata, che ho rischiato di dirigermi lì pure in settimana, invece che in ufficio.
E’ stata la stagione in cui le relazioni della scuola (la SSA del CAI UGET può vantare le migliori relazioni non solo in area torinese, ma dell’orbe terracqueo) hanno visto contributi qualificati di numerosi neoallievi. Un plauso speciale alle prefazioni di Lady Restano: la sopracitata si ammanta di una certa rudezza dell’approccio, la cifra espressiva ricorda quella di Crudelia Demon verso i dalmati, ma con la tastiera in mano incanta: originale, eclettica, i suoi incipit hanno un ritmo tambureggiante. A lei anche il merito di aver inaugurato una nuova sezione del sito, la pinacoteca virtuale, una galleria di immagini affidata al talentuoso pennino di Alessandro Vicario.
E’ stato l’anno della svolta internazionale: con la presenza di austriaci e cecoslovacchi, e di giovani che padroneggiano la lingua della perfida Albione, al desco in rifugio i phrasal verbs hanno preso il posto dei cori e delle barzellette sconce in piemontese.
COSA E’ ANDATO MALE
Nulla. Tutto è andato benissimo. Solo nella logica ad maiora, mi sia consentito qualche spunto di miglioramento…
Il corso SA1 è stato un normale corso di sci alpinismo. Gite tutto sommato tranquille, un bel gruppo di nuove leve, ingentilito da cospicua presenza femminile. Poi è iniziato il corso SA2.
Il film di Tarantino “Dal tramonto all’alba” (1996) per la prima parte è un classico film su di una rapina in banca, sparatorie, inseguimenti, tutto secondo copione. Poi, inaspettatamente, spuntano i vampiri. E’ quel che è successo con l’SA2; improvvisamente una svolta sovrannaturale: i ritmi sono diventati disumani; le graziose allieve sono scomparse (non va mica bene.. tutte ‘ste rivendicazioni, la parità, il soffitto di cristallo, e poi le donne si fanno da parte?!). Sono rimasti solo maschi; un manipolo di guerrieri masai desiderosi di sfoggiare il proprio vigore, tutti infoiati, per la gioia di infoiatissimi istruttori.
Il nobile aggregato durante la marcia e dopo.. Foto Pietro
L’SA2 è stato quanto di più lontano dallo sci alpinismo mite, di cui mi fregio del titolo di caposcuola; si è virato verso l’eresia del coiptus frettolosus, manifestazione ossessivo compulsiva che mi auguro (per compagni e compagne di talamo) i contagiati riservino solo alle scorribande montane.
“Ripellare” è stata la parola d’ordine di tutte le gite, accompagnata da “portage”. Sono cose brutte, termini che non vorremmo sentire.. Per non parlare degli onnipresenti ramponi nello zaino. Nota di metodo: il rampone pesa, tanto; bisogna meditare attentamente se portarlo, non è come un ventaglio… Poi il rampone sta benissimo a casa, nell’armadio, non si sente solo. Tambien la picozza..
Per la prossima stagione propongo una svolta verso il festina lente (“affrettati lentamente”); mi farò all’uopo promotore di iniziative celebrative: inizio a presentare l’ultima opera del maestro Vicario, che trovate riprodotta in calce, ed anticipo che ne verrà tratto un distintivo, da appuntare sulla giacca dei seguaci. Ordinatelo per tempo..
Locandina dello Scialpinismo Mite
Per la stagione 2023 adottiamo dunque una condotta di gita che preveda progressione con chiacchiere, osservazione dell’ambiente circostante, prolungate soste in punta con libagioni; in sostanza, una relazione con l’oggetto del desiderio – in questo caso la montagna – che contempli il petting.
Lo scorso weekend ha visto nuovamente i nostri eroici allievi e istruttori solcare i pendii della Valle d’Aosta, quest’anno va così. Sappiamo bene , suvvia, che l’atmosfera la fanno le persone, non necessariamente i luoghi e il morale è sempre alto quando ci si ritrova. La Redazione, assente in questa lieta occasione, sarà necessariamente laconica, come insegna quel fighetto radical chic di Moretti in Ecce Bombo (good old “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?“) e per fare apprezzare maggiormente gli alati slanci testuali dei prossimi intro-a-relazione. Questa volta, pertanto, non chiamatemi Ismael. Aigor, piuttosto.
Eccovi qui lo Slideshow con le foto di sabato e lo Slideshowdella gita di domenica sono qui nel solito link verdino. I fatti del weekend ce li propone questa volta il bro Pietro Parusso, figlio d’arte, gamba potente, sciata entusiasmante, gioventù in fiore. Invidia generalizzata di tutti. Vai, Pit!
Ecco a voi le istruzioni con i diversi ingredienti per ottenere un week-end scialpinistico fenomenale:
1. Mettere nello zaino una picca, ramponi, imbrago, moschettoni e cordini; pare che nell’ attraversata dalla hall fino alla cucina dell’albergo, si debba passare lungo una cresta molto esposta ed è facile perdere coscienza sentendo i profumi provenienti dai piatti fumanti.
2. Effettuare gita da Cheneil con direzione Santuario Clavalitè e lasciarsi sollevare verso il cielo da un leggero vento, a tratti piacevole e molto rigenerante.
2 B. Aggiungere quantità non definibili di dislivello e macinarli a ritmo di gatto delle nevi. Scendere quindi su piste battute con neve marmorea e cercare di non schiantarsi su lastre di ghiaccio e, successivamente, ritornare sui propri passi.
3. Esercitarsi a cercare, sondare e scavare velocemente!! Attenzione ad effettuare queste operazioni senza sci, si potrebbero provocare buchi neri di proporzioni notevoli e rimanerci incastrati dentro.
4. Invadere il primo bar che incombe sulla strada del rientro e divorare qualsiasi cosa capiti a tiro, commestibile e non. Con faccia leggermente ustionata cercare di sorridere alla cameriera per farsi regalare un Hamburger in più. (cameriera è più furba, nessun regalo commestibile ricevuto)
5. Aggiungere un pizzico di zucchero, quanto basta.
6. Docciarsi, mangiare e riprovare stessa tecnica con cameriere…Con qualcuno ha funzionato!! Finalmente si può andare a collassare sulla prima superficie piana disponibile.
7. Cercare di non finire nel burrone della diga di Beauregard, effettuando una retro pazzesca su salita ripidissima con presenza di sottile strato di ghiaccio infamello.
7 B. Mai seguire macchina bianca di istruttore ignoto e troppo avventuriero!!
8. Incamminarsi lungo la strada che punta al Sigaro partendo dall’ Hotel Foyer de Montagne, cercare di saltare da una striscia di neve e asfalto all’altra, non preoccuparsi troppo di procurare righe sotto gli sci, a questo punto due in più o due in meno non si vedono nemmeno, anzi stanno ad indicare che il mestiere sta entrando alla grande!!
9. Inserire una marcia che ti permetta di non esplodere, possibilmente una ridotta. Far parlare tanto le lepri del gruppo sperando che prima o poi si spengano ed esauriscano l’ossigeno vitale. Se non dovesse funzionare, provocare danni alle rotule o sperare che si formi uno zoccolo sotto le pelli!
10. Passaggio delicato: godersi le discese in neve farinosa, disegnare curvette su pendii dolci, sognare di farne altre per potersi sentire di nuovo piccoli e un po’ invincibili 🙂
11. Scoprire con grande tristezza che la poca neve sulla strada percorsa al mattino, se ne sia già andata da un pezzo. Dopo pochi attimi di crisi isteriche, iniziare il portage e tagliare più curve possibili!
Agli inglesi non fai il mazzo facilmente per mare. Non c’è riuscito, a conti fatti, Karl Doenitz, nonostante i suoi micidiali U-Boot sguinzagliati con la tattica del branco di lupi contro i convogliche rifornivano Sua Maestà britannica, attraverso l’Atlantico, di materie prime e armamenti. E taciamo dell’incredibile eroismo civile inglese in occasione dell’evacuazione delle truppe anglo-francesi superstiti da Dunkerque. Ancora meno successo ha avuto circa un secolo e mezzo prima la flotta franco- spagnola che si illudeva di preparare via mare lo sbarco della Grande Armée in terra d’Albione. Risate fuori campo. Nelson a Trafalgar li ha spazzati via, in svantaggio numerico ma capace di una strategia non convenzionale e di rara audacia, senza perdere una sola nave. Ci ha lasciato la pelle, si dirà, ma quanti eroi sono poi tornati in patria all’interno di un barile di gin(o era brandy?), ove ne vennero immerse le spoglie per preservarle dal disfacimento durante le settimane di navigazione fino a Portsmouth? Il dettaglio è veramente hard rock, Keith Moon o John Belushi avrebbero meritato il medesimo trattamento. La mattina dello scontro navale il prode Horatio fece sbandierare dall’albero maestro della nave ammiraglia, la Victory, un incitamento per i suoi uomini e la flotta tutta: “England expects that every man will do his duty”. And so does la Scuola di scialpinismo, ma la realtà supera la fantasia e il gruppetto di allievi del corso SA2 performa alla grandissima, indomito e indomabile. Che roba, che soddisfazione. Spezzarli è fuori discussione, piegarli parrebbe nemmeno, si tenta di stropicciarli appena un po’, ma questi non mollano di un centimetro. Ci stiamo davvero, davvero divertendo. In questo weekend con una gita lunga sull’orizzontale e calda più una fredda e lunga sul verticale non hanno fatto un plissé. Alcuni hanno addirittura goduto di un bonus di SR (“Scuola Ravanage”), con una briosa scammellata in discesa, ideale per amanti del portage spinto nel bosco tra la croce e il paese. Nelson sarebbe fiero di voi.
Ma veniamo al sodo: lo Slideshow con le foto dell’Aiguille d’Artanavaz e lo Slideshowdel’Entrelor sono qui nel solito link verdino, mentre le due gite del weekend appena trascorso ce le racconta Felix Ackermann, capigliatura leonina e andatura dinoccolata. Sentiamolo un po’.
Alla vigilia della prima due giorni del corso SA2 c’è tanta voglia di pellare ma anche la consapevolezza delle condizioni meteo che ci costringono a fare i migranti climatici in direzione valle d’Aosta. Ritrovo quindi ore 6 in corso Giulio angolo corso Vercelli. Tutti gli ingranaggi sembrano ben lubrificati, c’è automatismo e rapidità nell’organizzazione delle macchine, però rimane sempre qualcosa di non prevedibile: la geografia della Val d’Aosta non sembra essere chiara a tutti. Ergo: da Planaval sopra La Salle si parte in ritardo rispetto alla tabella di marcia. È da valutare quindi minima conoscenza geografica come condizione di ammissibilità al corso di scialpinismo Arrivati in loco, di neve ghe n’è ben poca. S’inizia quindi la marcia tra qualche sprazzo bianco misto erba. Le previsioni per il rientro non sono delle migliori. Obbiettivo quindi è la Aiguille d’Artanavaz. In mezzo alla salita c’è un breve spiano per rifiatare, ed arrivati in cima lo spettatore viene premiato con vista sul Bianco e sul Cervino. Solito patatrac in cima, abbracci foto etc. e poi si scende. Discesa che non scherza ed è molto ripida in un tratto. Ma siamo ugetini quindi anche questo ostacolo non ci ferma. Arrivati sani alle macchine, ci si sposta verso l’Albergo. Seguono menate varie e poi la cena, molto gioviale: si scambiano due chiacchiere con i vicini di tavolo. L’autore della relazione per esempio scopre che tra gli istruttori vi è anche un ‚Eidgenosse us Zürii‘ (svizzerotto zurighese) con cui non può fare a meno di scambiare due chiacchiere. Ma la giornata non finisce quì: segue lezione su metamorfismi della neve, balzata però da qualche frequentatrice del corso (non si fanno nomi). Inizia giornata due. Partenza a piedi dall’albergo, immersione totale nel ambiente di montagna. Nel tratto iniziale scarpinata nel boschetto. Poi, dopo 1h 30 min si apre maestosamente davanti a noi la montagna. Durante la salita, taluni dimostrano di essere all’avanguardia, alzando gli sci mentre li muovono. Altri notano che le loro inversioni sono sempre più armoniche. La salita è morbida, la pendenza molto graduale. ‚Oben angekommen‘, giunti in cima – Berg heil’, salutiamo la montagna. Poi la Discesa. Discesa con la ‚D‘ maiuscola: Pietrone valuta se ripellare per tornare in cima mentre il Dugono disegna una linea perfetta di discesa che fa rimanere senza parole l’autore di questa relazione: felicità alle stelle – Felix Vallée d’Aoste. Arrivati alle macchine, non resta che brindare, dimenticando qualsiasi obbligo implicito da coniuge/a, rischiando quindi che il matrimonio vada in frantumi causa chiamata non pervenuta dopo il rientro. Però che gita!PS: lode a chi coglie il riferimento ‚Felix Vallée d’Aoste‘.
La Direttrice della Scuola, nella posa del bronzo etrusco noto come “Arringatore”, recita un commovente motivational speech di fine corso
Il glorioso 1976 è un anno di eccellenze, innanzitutto genetliache su scala ultra locale, ma non soltanto: il Toro vince con una formazione da far tremare i polsi un glorioso scudetto, esce l’omonimo disco dei Ramones (tradizionalmente accreditati come primo gruppo punk rock), Cuba approva la Costituzione. Qui ci interessa ricordare che un ventinovenne bolognese, tal Benni Stefano, pubblica il suo romanzo d’esordio, Bar Sport, dal quale si favorisce la seguente citazione: “Il ristorante rustico è situato spesso in aperta campagna, quasi sempre nei pressi di un canale puzzolentissimo. La sua caratteristica principale è di essere semovente. Se voi infatti scoprite un bel ristorantino rustico, ci mangiate bene e poi volete indicarlo agli amici, non otterrete altro risultato che farli girare per tutta una notte nel buio della campagna. Potete disegnare una mappa precisa al millimetro: potete imparare a memoria tutti i cartelli stradali, deviazioni, case gialle, insegne di caffè, stradine a U che portano al ristorante rustico: i vostri amici finiranno invariabilmente nell’aia di una casa di contadini, con cani ululanti che mordono il cofano della macchina e vecchiette silenziose che vi guardano arrivare come se foste una pattuglia di soldati nazisti. Il ristorante rustico, nel novanta per cento dei casi, è in una stradina non asfaltata dopo una grande curva. Ma gli abitanti del luogo, appena vi hanno visto partire, asfaltano la strada e girano la curva dall’altra parte perché non possiate tornare. Inoltre i ristoranti rustici amano saltare da una parte all’altra dei fiumi, e arrampicarsi sulle montagne. Non dite mai a un amico: conosco un posticino dove si mangia benissimo: dalla provinciale ci saranno due chilometri di salita, si fa tutta in seconda. In realtà, mentre parlate, il ristorante rustico sta già a nove chilometri dalla strada, in cima a uno strappo quasi verticale, con macigni ad altezza d’uomo, pozzanghere velenose, rami che entrano dal finestrino e cunette con in fondo un sasso che aspetta la vostra coppa dell’olio. Trattori vanno e vengono lentamente.“ Nell’epoca del navigatore satellitare, del GPS e di Google maps pare impossibile perdersi, but still…. Il nostro primo anno di corso SA1 con allievi automuniti bradi come cavallini della Giara e non inscatolati su torpedone aziendale è sorprendentemente andato meglio di quanto fosse preventivabile: non abbiamo perso seriamente nessuno – al massimo misplaced qualcuno – e le pochissime pecorelle smarrite hanno riguadagnato rapidamente l’ovile con grande efficienza, forse inizialmente distratte alla ricerca del ristorante rustico anziché del punto di partenza della gita. Fingendo di ignorare, più furbi che belli (come diceva mia nonna), che la piola SEGUE, NON PRECEDE la scialpinistica fatica.
Sentiamo un po’ qui di seguito come ce la mette giù con grande signorilitàla Wonderful Allieva Valeria Bianchi, graditissima autrice della Relazione della Settimana, coercizzata in tal senso dall’Aggregato Per Eccellenza, a sua volta sniper d’occasione su mandato della Spietata Redazione.
Prima o dopo avere letto, beccatevi ben due gallerie di immagini: lo Slideshow con le foto del Fourchon e lo Slideshowdel Col Serena. E ora la parola a Valeria.
Alla prossima Eccoci giunti al termine di questo corso SA1 del 2021/2022. La voglia di salutarsi dopo l’inverno passato insieme era talmente poca che i nostri istruttori hanno pensato di organizzare una doppia gita, un weekend intero che dilatasse nel tempo e nello spazio il piacere della condivisione di questo sport. Ovviamente, doppia gita significa anche doppia possibilità di pasticci….ma procediamo con ordine: Giorno uno Il copione lo conosciamo: sveglia alle 5:00 e parte l’avventura in macchina verso la Valle d’Aosta con l’ormai noto primo obiettivo di non pagare quei dannati 28 euro di casello autostradale. Superato questo non indifferente scoglio, le macchine in fila si avviano verso la meta della prima gita, Saint Remy en Bosses nella valle del Gran Paradiso. Tutte le macchine tranne quattro, i cui guidatori vengono tratti in inganno dalle mille strade statali valdostane fino a che, colti da una improvvisa voglia di scavallare il confine, decidono di imboccare la strada per il traforo che porta in Svizzera perdendo così del tutto la credibilità e l’affidabilità (dopotutto, la parte del corso focalizzata su cartine e bussola è ormai un ricordo lontano). In soccorso arriva tuttavia il nostro istruttore che, dopo non poche peripezie tecnologiche, riesce a riportarci sulla retta via e a condurci sul luogo di partenza della gita. A questo punto, l’orario di inizio è oltrepassato e metà dei nostri compagni sono già partiti lungo la linea di salita…per i poveri ritardatari non resta che iniziare a riscaldare le gambe per recuperare tutto il tempo perso (traduzione: salire ai 100 km/h lungo canalini con una media di 1 gucia ogni 20 secondi). La giornata, contrariamente a quanto predetto dalle previsioni meteo, si apre radiosa davanti a noi e ci regala un cielo quasi del tutto terso e un clima tropical-like; oltrepassato il primo canale i pendii sono ampi e incorniciati da maestosità rocciose come la Tour de Fous che piano piano ci guidano verso la nostra meta, il Mont Fourchon (mt 2900) da cui godiamo di una vista spettacolare a 360° sul Grand Combin e su parte delle vette del massiccio del Bianco. Dopo qualche foto di rito sulla cresta inizia la discesa che si rivela essere piuttosto un test di sopravvivenza su crosta da cui solo qualcuno esce indenne. La fine della gita si svolge sulla strada ricoperta da una sottile coltre di neve ormai umida e pesante, ma l’energia è ancora tanta perché l’obiettivo è diventato la birretta finale defaticante. In occasione del week end però, la promozione diventa birra + ultima lezione teorica, ma tutti la accogliamo di buon grado in quanto occasione per stare insieme e comprendere i dettagli della pianificazione delle gite che faremo in futuro. Dopo la prima avventura, possiamo finalmente rilassarci al rifugio Marietty a suon di mani di briscola, vino rosso e gnocchi al ragù; la gestione del posto è familiare e qualcuno cerca di corrompere invano l’innocente nipotino del gestore per avere una seconda porzione di pollo. Dopo la mangiata, tutti ci rintaniamo nelle nostre camere per poter finalmente assaporare un vero sonno ristoratore. Giorno due Sveglia alle 7 già sul luogo, attrezzatura pronta dalla sera prima, timido sole all’orizzonte: i presupposti per un inizio giornata con i fiocchi c’erano tutti. Il gruppo coeso parte per raggiungere la località di Crevacol, punto di partenza della gita a Col Serena annoverata tra i classiconi CAI. Le costellazioni si allineano per la prima ed ultima volta e tutti arriviamo in orario e nel giusto punto di ritrovo. L’esposizione a Nord e il solo moderato dislivello in salita rendono questa gita adatta a tutti noi che abbiamo le gambe un po’ provate ma il morale alto, talmente alto che la maggior parte del gruppo intraprende una breve ma gratificante ripellata. Alcuni invece rimangono sul colle a condividere storie di montagna e di vita perché alla fine, lo abbiamo capito, lo sci alpinismo è fatto dalle persone con cui scegli di condividerlo. La discesa è inaspettatamente piacevole, la neve è umida ma si lascia sciare come se fosse burro. Arriviamo infine alle macchine, stanchi ma parimenti rigenerati e pronti a ricominciare con questa carica la settimana. Di sicuro invece non siamo preparati a non vederci più nei prossimi weekend, ma fortunatamente entra in gioco qualcuno che propone una bella cena collettiva che viene accolta con forse più entusiasmo che le gite stesse… Grazie a tutti, alla prossima pellata insieme!
Da destra a sinistra, l’Autore della relazione, Colui che è tornato per il corso SA2, Colei che sorride giuliva per neve e amici (foto @KiaTender)
Il mese di Marzo qui alla Scuola di scialpinismo del Cai UGET offre una programmazione fitta e ricca di eventi che si intersecano; per godersi appieno la nostra frizzante pianificazione, occorre munirsi della determinazione di chi volesse assistere a ogni proiezione al Telluride Film Festival. Domenica 13 marzo è iniziato il nostro corso avanzato SA2, che impegnerà allievi che abbiano già frequentato quello base in gite più impegnative ed evolute. Siamo dei vecchi cuori di panna ed è stato emozionante e gratificante ritrovare vecchie conoscenze del tempo pre-pandemico e rimettere le pelli con loro. Un gruppo necessariamente più contenuto rispetto al primo corso, la solitudine della conca di Cheneil e le stratigrafie capricciose di nuvole in innumerevoli variazioni di bianco-grigio ci hanno regalato un’atmosfera raccolta e ovattata in cui ci siamo goduti la compagnia e l’ascensione in una sinfonia armonica e raccolta. Bello, molto bello. Siamo andati nuovamente in Valle d’Aosta, ça va sans dire. L’alternativa quest’anno parrebbe essere che ciascuno si portasse la neve che intende sciare e la stendesse sul pendio, per poi riporla con cura in una borsa frigo una terminata la discesa. S’oggi questa mi torna gradita, Forse un’altra, Forse un’altra doman lo sarà In genere lo scialpinista medio è come il Duca di Mantova del Rigoletto, non proprio nel senso letterale di un lurido, privo di empatia e di scrupoli, ma piuttosto una versione annacquata, uno spensierato libertino delle nevi che salterella di cima in cima, cogliendo il fiore della bellezza della neve più giovane, più morbida, più invitante. La temporanea affezione alla VdAnon faccia pensare che il lupo abbia perso in una volta sola pelo e vizio e abbia ristretto il suo territorio di caccia al giardino, tra l’oleandro e il baobab. Siamo pronti a farci trasportare lontano come gli acheni del soffione (cerca con Google “Tarassaco comune”) spinti via dal fiato dei bimbi, in paziente (rassegnata? spasmodica?) attesa di una nevicata comme il faut in qualche altra porzione dell’arco alpino occidentale.
Questa settimana ci racconta l’uscita il nostro allievo e amico Mauro Pezzana, poderosa gamba ciclistica e Nostro Signore delle acciughe, che con lui non fanno il pallone, ma un bel tuffo carpiato in morbidi panini a fine gita. Grazie di tutto Mauro! E nella migliore tradizione, Slideshow for you.
Gita del 13 marzo, obiettivo Becca Trecare, da Cheneil, vetta di 3032 m situata fra Valtournanche e Val d’ Ayas. Prima uscita del temutissimo corso SA2. Il direttivo opta per una marcatura a uomo con un rapporto giubbe rosse allievi di 1 a 1 Chiaro che si farà sul serio…. Siamo pronti. Alcuni eletti attaccano rabbiosamente il primo strappo con un confortevole passaggio in ascensore, molti altri no, al traino a fune prediligono le pelli… Ricompattati sul pianoro soprastante si parte. Si procede agevolmente in salita fino all’attacco del Col da Fontaines (credo si chiami così) raggiungibile con un traverso finale piuttosto insidioso ( che non ha mancato di mettere in difficoltà il marconista qui ai tasti) Ora ci troviamo sul versante di Chamois, dopo una perdita di quota di circa 50 metri nuovamente implotonati ci dirigiamo verso il colle successivo (non so come si chiami, ammettendo che abbia un nome…) dal quale a passo di fanfara guadagniamo la cresta soprastante introducendoci agli ultimi 150 metri che ci separano dalla vetta, quest’ultimo tratto verrà percorso con i ramponi. Sempre bello schiacciare la punta di una montagna, bello nonostante un meteo non crudele ma nemmeno particolarmente indulgente che durante la salita ci concede di muoverci in una bolla di aria chiara fra le nubi che incombono sulla testa e la nebbia che è lì poco più in basso a farci la posta. Questo giunti in vetta, ci impedisce di dare un occhio tutt’intorno, li da qualche parte ci dovrebbe essere il Cervino, con il Gruppo del Rosa appena quattro dita più in là.. e poi tutto il resto, ma nulla, nebbia 1 Cervino 0 ( per questa volta) A quel punto appare subito chiaro che date le condizioni meteo conviene un’azione di ripiego piuttosto rapida, scelta più che mai azzeccata, in effetti non sono in grado di dire se siano state le nubi a scendere o la nebbia a salire, ma sta di fatto che via via la visibilità diminuisce. Nonostante la tragica penuria, troviamo anche qualche sparuto e breve tratto di neve in buone condizioni, probabilmente dimenticata lì nella sua nobile condizione da tutte le avversità climatiche che quest’anno si danno appuntamento per farle dispetto. Si scende per pendii e canali, chi con eleganza musicale, chi con piglio rigoroso e sobrio, preciso che non mi sento di includermi in alcuna delle qui descritte modalità. Si ripella per risalire sul colle che ci permette di affacciarci nuovamente sul versante di Cheneil, e giù fra nevi purtroppo improbabili a tratti e boschetti fitti fitti fino alla piazzola di parcheggio. Io, nel mio piccolo, a parte il rischio di un paio di decessi in salita e una discesa in stile socialismo sovietico sono contento perché sopravvissuto… Niente finiranno con il bocciarmi… Ma ne parleremo… Dicevamo, parcheggio/merenda e via. Ma alla fine di neve, nebbia, nubi, sole, non mi importa, ciò che di più mi piace è l’atmosfera che si respira quando ci troviamo. Mi piace il condividere questo modo di stare al mondo. Alla prossima, anche al costo di portarci la neve da casa… Ecco…
Alla conquista diagonale della nostra cima – foto Gianberto Picca Garino
Quando si ritrova a sfornare cappelli introduttivi random per le relazioni delle gite, alla Redazione sovviene ogni volta di quel novembre dell’ anno del Signore 2011. La politica italiana stagnava – incredibilmente – nelle consuete, ben note acque torbide dell’ennesima crisi di governo. Fastidiosa come un attacco di candida ad agosto. Tristanzuola come il riso avanzato, ormai scotto e smollato, che ti tocca finire dopo due giorni perché o sei no waste o sei una persona orribile. Il popolo tutto, al solito, ce ne aveva dueballecosí. Ma grazie al cielo esiste, resiste la satira e quel genio del male di Metilparaben si inventò il generatore automatico di governi tecnici. Bastava un allegro refresh alla pagina per cambiarne la composizione, in un loop inebriante. La compulsione a reiterare CTRL + F5 era incontrollabile. Se ne agevola di seguito il link: http://metilparaben.blogspot.com/2011/11/generatore-automatico-di-governi.html?m=1 La Redazione non nasconde di sognare a occhi aperti che qualche Mr. Robot prestato allo scialpinismo aggeggi un generatore automatico di preamboli e relativo companatico di relazioni da attivare effortless il lunedì mattina per servire la narrazione delle imprese della Scuola bella croccante come un croissant di pasticceria. Ma tant’è. Questa settimana l’Aggregato per Eccellenza ci soccorre nuovamente (ma tenga bene a mente che la saga di Batman ha tipo milacento film, quindi non si consideri ancora congedato) e leggiamo di seguito il suo provvidenziale contributo al mantenimento del necessario ordine cosmico gita/relazione/slideshow. Grazie, Ico. Ognuno ha l’angelo custode che merita (NdR: santo cielo!). Se tale scansione saltasse, vedreste comparire nel cielo Quattro Cavalieri. E andrebbe molto, molto male. Ecco perché qui potete agevolmente cliccare e godervi lo Slideshow con le foto della gita.
6 marzo 2072 (duemilasettantadue)
V° gita della Scuola di Sci Alpinismo CAI UGET – Mont Arp Vieille
Anche per questa quinta uscita la meta è la Val d’Aosta, l’unica destinazione dove contiamo di trovare neve a sufficienza.
Appuntamento sempre alle 06.00, in Corso Giulio Cesare.
I contagi sono in significativo calo, ma meglio mantenere il distanziamento, la variante Sigma-Tau quater è insidiosa. Quindi niente aliscafo per Aosta, salpiamo dal molo dietro il McDonald’s con le nostre imbarcazioni.
Ormai quasi tutti gli equipaggi si sono abituati ad una breve sosta colazione; noi attracchiamo alla spettacolare la Pasticceria Dupon, alle palafitte di Villeneuve.
Prua verso la Val Grisanche, fino a Bonne. Qui ormeggiare non è facile; c’è anche un’altra Scuola (neve poca, si è detto, quindi tutti qui stiamo). Tra barche e pedalò, con un po’ di fatica, troviamo un buchino.
Calziamo le infradito e partiamo di gran carriera. Pure troppo. Prima bisognerebbe fare i gruppi, ma qualcuno è già andato avanti: un equivoco, Enzo ha detto: “Aspettate tutti ai nidi di gabbiani”, qualcuno ha capito “pellicani”, ed è andato su.
Avanziamo tra prati di girasoli, sotto un bel sole. Dopo qualche tornante, a circa 2.200 mt., superiamo l’alpeggio dell’Arp Vieille, e poi – totalizzando circa 1.200 di dislivello – raggiungiamo la punta, a quota 2.963. Panorama spettacolare, il Ruitor svetta dinanzi a noi.
L’ostensione della neve è prevista per mezzogiorno, e noi siamo puntualissimi: gli addetti della Regione Valle d’Aosta scostano i teloni, e davanti a noi appare un bel pendio di neve, candida, bianca bianca. Proprio come me la ricordavo! Saranno ben 50 metri! Ci godiamo proprio le tre, quattro serpentine. I soliti scalmanati vorrebbero ripellare, ma gli addetti sono intransigenti: una discesa a testa.
Che bella giornata! Se al ritorno vediamo le balene all’altezza di Ivrea posso veramente dire di essere felice!
Note tecniche (per non essere pensionato anzitempo dal Direttivo)
Alla partenza il termometro segna –9, ma la salita è su pendii assolati, assolutamente gradevole, fa quasi caldo.
Discesa su neve tendenzialmente dura, ma insidiosamente mutevole.
Sosta ricerca Arva. Dai gruppetti sparpagliati nell’ampio vallone provengono urla “Non respira, non respira!”. Ormai si è presa confidenza con Artva, sonda e pala, e l’obiettivo degli istruttori è alzare il livello di stress..
Un gruppo scava una truna: doppio ingresso, due camere, cucina. Peccato non dormire qui.
Avvisi
Giovedì prossimo, parrocchia dei Santi Angeli, il Direttivo della Scuola organizza una veglia di preghiera per la neve. Intervenite numerosi.
Ristoro e descanso all’Alpe Rantin (foto @Stefano Bertolotto)
Chi si ritrovi un filino ansiato, come schiacciato dalla percezione di un’ineludibile aspettativa sociale a essere sempre sul pezzo e senza tentennamenti provi a figurarsi che vitaccia deve essersi smazzato per tutta la carriera Giorgio Forattini. Una vignetta al giorno, sulla prima pagina di un quotidiano a tiratura nazionale, contrattualmente vincolato a riuscire sempre graffiante, brillante, sagace. Sempre. Any given uscita la Redazione individua l’autore della relazione del giorno nel mucchietto stropicciato dei gitanti appena rigurgitati dalle auto, inermi, cacciando un cipiglietto da decimazione e salda nella convinzione di somministrare al fortunato prescelto una pillolina di stress dalla caratura pari a mezzo Tic Tac. Mica il poderoso pallet di nevrosi che la quotidiana produzione di contenuti arguti deve avere ingenerato nel noto vignettista. Che poi magari è sempre stato un uomo in armonia con se stesso e col cosmo, ma grazie al cielo nel presente testo contraddittorio non datur. Questa settimana abbiamo messo all’opera niente meno che un collettivo, quasi una gemmazione nella Valle di Planaval del Luther Blisset Project, i cui membri in questa circostanza, con grande magnificenza, rinunciano alll’anonimato: Claudia Canuto, Matteo Gallo, Francesco Tasca.Grazie cari!
Intanto, tra intro e testo, vi trovate anche lo Slideshow con le foto della gita.
DIALOGO FRA TRE SCIALPINISTI SMEMORATI
Sono ricordi di pietra le borgate, intarsi nella montagna. Matteo Meloni
SCENA PRIMA
Tramonto, terrazza della Jolie Bergere (loc. Planaval)
Di fronte a una birra, tre scialpinisti ricordano i momenti migliori della giornata.
Gli ultimi raggi di sole, la stanchezza della gita: i ricordi affiorano e si mischiano ai sogni…
FRANCESCO: Che bella gita!
CLAUDIA: Davvero… hanno scelto una meta vicino a casa!
MATTEO: E poi per una volta ci siamo svegliati con calma!
FRANCESCO: Già… finalmente!
CLAUDIA: Il ritrovo alle 8:00
FRANCESCO: e la pausa caffè in autogrill
CLAUDIA: e poi sul pullman puoi ancora farti una dormita
MATTEO: Che bello non doversi preoccupare della guida e della strada!
CLAUDIA: Almeno in autostrada non c’era la nebbia
FRANCESCO: ottima visibilità
MATTEO: se dici che sei della UGET al casello ti fanno lo sconto
FRANCESCO: In ogni caso avevamo il navigatore
MATTEO: e la strada era semplice
CLAUDIA: forse ho visto auto salire per prati, ma non sono sicura!
FRANCESCO: Però non abbiamo dovuto mettere i coltelli!
MATTEO: Rimasti in fondo allo zaino
CLAUDIA: Che meraviglia il pranzetto sulla cima…
FRANCESCO: mangiare senza guanti, in un posto riparato
MATTEO: Il panorama dalla cima? FRANCESCO: Impagabile
CLAUDIA: Cima o cime?
MATTEO: Ma che cima abbiamo raggiunto?
FRANCESCO: Punta Serena?
CLAUDIA: Colle Serena?
MATTEO: Cresta Serena?
FRANCESCO: ma almeno la neve…farina pura!
MATTEO: che sciata, che curve!
CLAUDIA: ma tanto non le sai fare le curve belle
FRANCESCO: Dopo pranzo un riposino, scaldati dal sole tiepido
CLAUDIA: Figurati se a qualcuno viene in mente di ripellare
FRANCESCO: però oggi abbiamo imparato a usare la barella!
CLAUDIA: finalmente!
MATTEO: Era la barella o la bussola?
CLAUDIA: meno male che nessun gruppo ha sciato sul prato per tagliare i tornanti al ritorno!
FRANCESCO: o sulle pietre
MATTEO: E che salvezza le acciughe al verde all’arrivo
CLAUDIA: e un bicchiere di vino rosso
FRANCESCO: alla fine però queste giornate sono belle
CLAUDIA: si davvero, bella gita, posti stupendi e istruttori fantastici
MATTEO: talmente belle che alla fine dimentichi tutte le fatiche
[finisce la birra ed è ora di tornare a casa]
CLAUDIA: ciao ragazzi! ci vediamo fra due settimane!
MATTEO E FRANCESCO: se non ci sospenderanno per questa relazione del c***o
Note tecniche (per non farci sospendere dagli istruttori!)
20/02/2022 – 4° uscita SA1: Costa di Serena (2785 m) da Planaval (AO)
Dal parcheggio di Planaval – (1762 m) situato dietro al ristorante- prendiamo la strada poderale che sale in direzione NE alla base della Testa dei Frà. In queste condizioni di innevamento, non vi è stata alcuna possibilità di tagliare i diversi tornanti nè in salita nè in discesa (qualche istruttore ha tagliato un paio di curve con il suo gruppo!). Attualmente sulla strada poderale sono presenti alcuni conoidi di neve ghiacciata che ostacolano il passaggio, infatti possono essere utili i rampant.
Seguendo la strada poderale, superata quota 2200, si può individuare Col Serena in cima al canalone che si sviluppa a NE. Ma non è la nostra meta, quindi si punta in direzione N verso il visibile Alpe Rantin (2345 m). Raggiunti gli edifici, risaliamo direttamente sopra l’alpeggio verso il colletto che permette l’ingresso al pianoro superiore. Si prosegue in direzione N per i dolci pendii del vallone che termina con il colle della Costa di Serena (2675 m). Saliamo sulla punta a sinistra del colle (2785 m) per poi scendere, ripellare e giungere in cima ad una seconda punta a SE (2736 m).
Scendiamo sullo stesso itinerario di salita che, esposto a sud, offre una morbida neve trasformata.
“La progressione verso la cima”, scatto d(ell)’autore
“Il vento fa il suo giro” è il titolo di un eccezionale film di Giorgio Diritti del 2005, un condensato di poesia, ambiente, sentimenti forti nelle viscere, doloroso e inebriante. Quasi come il sommesso, rassegnato rimuginio interiore ingenerato nei gitanti dall’arietta che soffiava cattivella domenica mattina nella parte bassa del vallone del Flassin, noto freezer. Il giro è arrivato e, guadagnati nuovi pendii solatii alla Tza de Flassin (le baite, insomma), l’aria mossa non sarebbe stata sufficiente nemmeno a gonfiare il favoloso abito di Marylin Monroe sulla grata della metro di NYC, come nella celeberrima scena di “The seven year itch” (per rimanere in campo cinematografico).Vamos a godercela, allora, la fine di questa salita, con sorrisoni che ricompongono mascelle non più irrigidite dal freddo. Questa settimana la Redazione ha graziosamente accolto l’accorata richiesta di Elisa Gilli di poter essere nominata penna della scuola dalla conca del Flassin. Ecco il suo testo: con grande fair play l’autrice denuncia l’irrinunciabile collaborazione di Riccardo Foresto nella stesura, nonché nella scelta dell’immagine che hanno individuato per accompagnarla. Enjoy!
E come in un cocktail mangia e bevi, vi serviamo anche loSlideshowcon le foto della gita. Gli scatti di questa settimana sono di Bertolotto, De Nicola, Francone, Garolini, Quaranta e Vecchio: grazie agli autori per averle condivise!
“Non c’è due senza tre”.
Così il nostro corso procede con la terza gita e, ahinoi, l’ora della sveglia viene anticipata.
Al ritrovo tante espressioni assonnate ma accomunate dalla stessa voglia di metter gli sci ai piedi dopo una settimana di break. Quale la destinazione?
Quest’anno la scelta della gita è un arduo compito per gli istruttori. La neve al suolo è poca e chi ama la powder dovrà chetare il proprio animo ancora per un po’. Inoltre questa settimana il Föhn ha soffiato forte scaldando ancor più questo già insolitamente mite gennaio. Tenendo conto di tutte le variabili che cercan di trasmetter a noi allievi, i nostri istruttori hanno fatto ricadere la scelta su un grande classico della Val d’Aosta: Monte Flassin, Valle del Gran san Bernardo.
Sopraggiungendo a destinazione, ci guardiamo fuori dai finestrini un po’ perplessi: i pendii che ci circondano sembrano completamente pelati. Ci aspetteranno forse ore di portage (ndr. pratica masochista diffusa nello scialpinismo)?
Arriviamo nella frazione di Saint Oyen, a quota 1.370m, dove parcheggiamo e veniamo accolti da un freddo pungente. La presenza di un bar ci fa sperare in un caffè caldo prima di iniziare, ma, poiché è chiuso, non abbiamo altro modo di scaldarci se non incominciare a muover le gambe, ovviamente dopo aver diligentemente completato il check ARTVA. Sci ai piedi e direzione Nord, verso un vallone incredibilmente tutto imbiancato.
L’itinerario di salita presenta inizialmente ampi pendii lievi e prosegue regolare serpeggiando all’interno di un bosco solcato da un torrente. Al termine della radura veniamo accolti da un vento gelido che non riesce però a distoglierci dallo splendido paesaggio: si intravedono alcuni alpeggi e, più in lontananza, Mont Flassin e la Tete Cordellaz.
Finalmente lontani dalle piste!
Durante la salita le nostre orecchie sono pronte a captare gli insegnamenti degli istruttori e i nostri occhi notano attenti tutti i particolari: le cornici sulle creste che segnalano la direzione del vento degli ultimi giorni, l’altezza degli alberi nei canaloni circostanti che ricorda l’origine delle valanghe staccate negli anni precedenti. Ci si rilassa ma, cito la prima frase che ci ha detto il diretùr: “Quando si fa sci alpinismo si pensa allo sci alpinismo. I pensieri per il lavoro, la famiglia, la lavatrice, etc etc rimangono a casa”. Il bello è anche questo!
Una volta raggiunti gli alpeggi veniamo finalmente baciati dal sole e facciamo una sosta veloce prima di ripartire. Qui l’ambiente inizia a diventare più impegnativo, i pendii si fanno più ripidi e richiedono qualche gucia (o gruccia?) …insomma, qualche inversione, ma la meta ormai è vicina e la voglia di arrivare compensa la fatica.
Giungiamo al colle del Monte Flassin, quota 2620m, appena sotto l’anticima e restiamo senza fiato: non tanto per i 1300 m circa di dislivello, quanto per lo stupore della vista che ha riempito i nostri sguardi. Sua maestà il Monte Bianco proprio di fronte a noi e all’orizzonte la cornice delle Alpi che si staglia su un cielo così limpido da permetterci di vedere anche il Cervino e il Monte Rosa. Esiste un posto migliore dove prenotare per il brunch della domenica?
Con gli sci ai piedi percorriamo il primo ripido pendio di discesa e assistiamo ad una simulazione di soccorso valanga preparata dai nostri istruttori. Bravi e temerari!
Proseguiamo la nostra discesa verso il bosco. La neve, anche se cambia e richiede gambe pronte ad accogliere le sue diverse forme e consistenze, a tratti è incredibilmente bella e invernale. Raggiungiamo infine il parcheggio e incrociamo gli sguardi stanchi ma soddisfatti dei nostri compagni di salita: complimenti a tutti!
Ahimè ancora costretti a rinunciare al lauto banchetto di fine gita, alcuni di noi trovano consolazione in una birra ghiacciata al bar del parcheggio. Non c’è fatica senza premio… dico bene?