La relazione di Randagia

Pullman da Mirafiori, meta Monte Creusa, da Limonetto. La prima uscita pelli ai piedi. Ci dividono a gruppi: tre allievi due istruttori, che se uno si impappina almeno un istruttore con lui rimane. E ci fanno l’annuncio “Ragazzi, abbiamo sbagliato, oggi ci sono qui anche quelli della scuola SUCAI, ma loro vanno su un colle, noi sull’altro”. In fondo la montagna è di tutti. Noi 60, loro più di 100. Tanti omini che salgono così, a linea continua, non li avevo mai visti. La montagna sarà anche di tutti, ma almeno si potrebbe fare a turni? Al confronto le piste sembrano deserte. Non pensiamoci, concentriamoci sulla salita che già darà i suoi problemi. In gruppo con me quelle che il Diretur chiama “le due toste del bosco”. E toste sono: attrezzatura “aggressive” e fisico longilineo. I miei chili di troppo invece, non mi lasciano sola neanche oggi. Come dicono gli amici NoTav “sarà dura”. Ed infatti lo è: io voglio andare avanti, gli sci scivolano indietro. Il mio angelo custode del giorno, che non ha le ali ma indossa quella giacca con scritto “istruttore”, mi spiega che se evito di grattare con il naso la punta degli sci, ma sto un po’ più perpendicolare al terreno, le pelli fanno il loro dovere. E mica conta balle. Si sale. Le longilinee partono con un passo invidiabile, che subito seguo, poi mi limito ad invidiare. Zig. Zag. E la spiegazione della curva in salita. Zig. Zag. Che se non l’hai capita la rispiegano. Zig. Zag. A fa caud. Zig Zag. Zig. Zag.”53!” urla l’angelo custode. Quando la fatica già si fa sentire, subentra il panico “53 Zig Zag ancora??!!” No, 53 sono le persone davanti. Tra le due cose, non so cosa sia peggio. Forse con 53 Zig Zag la tecnica della curva l’avrei capita! Poi la neve si fa più dura, qualcuno cade. Parola d’ordine “coltelli”. Geniale metterli a mani nude!
Quando arrivo alla cima, affollata come Rimini a Ferragosto, non distinguo più i nostri da quelli dell’altra scuola. Ma non dovevano andare sull’altro colle? O i colli son così vicini? Troppo vento per farsi tutte queste domande. Due passi senza sci alla cima. Troppo vento per mangiare qui. Spelliamo, attacchi da discesa. Il solito casino per azzeccare la punta, ma poi un colpo di tacco e son fissati.
Il pendio è largo, e non è ripido. Scendere non sarebbe difficile, se non ci fosse quest’orda di cristiani da far invidia al Sestriere sotto le feste di Natale. Aspettare dieci minuti che scendano gli altri? No, qui aspettare non si fa. E si scende. Sperando che nessuno ti infili, perché se in pista riesci ad evitare gli altri, qui puoi solo sperare che gli altri riescano ad evitare te. Peccato che lo stiamo sperando tutti.
Arrivati a valle, il sole ci scalda ancora mentre assistiamo alla “demo” della ricerca artva, pensando ognuno con il suo io “Se toccasse a me, avreste tempo a morire, e non ne serve tanto.”. Ma impareremo no? E’ solo questione di allenamento.
Qualcuno arranca verso il pullman chiedendosi chi gliel’ha fatto fare, qualcun’altro sfoggia un sorriso estremamente goduto, qualcuno toglie gli scarponi con un sospiro di sollievo, ma la maggior parte dei volti dice “fame”. E dagli zaini, dalle sacche degli scarponi, da angoli reconditi escono quiche, salami, tome, paste di meliga, torte, casse di birra.

Randagia, che la montagna riempie il cuore, ma anche lo stomaco vuole la sua parte

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