Uscita 8 del 11 maggio, l’ultima del corso 2014

Wikipedia recita che le “correnti a getto si formano a circa 11000 metri di quota”. Evidentemente questo non è vero quando la SSA dell’UGET decide di raggiungere il Granpa (che non significa nonnino in inglese ma è il diminutivo di Gran Paradiso per i veri uomini delle nevi). Andiamo con ordine.
Probabilmente stufo del diffuso stato d’incoscienza che s’insinua tra gli allievi durante le sessioni teoriche del corso, soprattutto dopo le ore 22 e prima della birra del mercul, il Diretur deve aver pensato di evidenziare sul campo, durante l’ultima gita, alcune nozioni di meteorologia avanzata e alcune buone pratiche di condotta della gita. “Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare”, diceva il Poeta.
Il mercoledì in sede vengono date precise indicazioni sul materiale da mettere nello zaino per la nostra due giorni: vestiti pesanti, ramponi, imbrago, moschettoni, NO beauty, 1 solo paio di mutande MA ALMENO 2 di guanti.
In teoria partendo di sabato si potrebbero evitare sveglie paranormali, ma per non farci perdere l’abitudine di maledire (per un attimo) il momento in cui ci siamo iscritti al corso, la sveglia non può comunque superare orari umani e quindi partiamo alle 8:30 di sabato, questa volta in macchina.
La carovana di macchine si disperde tra autogrill, scorciatoie, tagli di caselli, sorpassi azzardati (quindici auto e due pullman con striscia continua, per fortuna Matteo che non sei istruttore dell’ACI) e chi prima arriva vince il posto migliore in camerata.
Verso le 12 si parte da un parcheggio poco sotto Pont Valsavarenche, sci in spalle, per un’allegra passeggiata nel parco del Gran Paradiso. Di neve, nemmeno l’ombra. In compenso tanti bei camosci!
Quando finalmente s’intravedono degli sciatori che scendono sugli aghi di pino (eh, la primavera), sulle spalle rimane solo zaino e gli sci ai piedi.
Arrivati in rifugio gli allievi affamati si cimentano subito con i prezzi modici del rfugio Chabod: 3 euro per una bottiglia d’acqua e di lì a salire. Birre a volontà, panini portati al posto del beauty e delle mutande, bische, chiacchiere e relax. Nel pomeriggio gli allievi più diligenti si esercitano sui nodi, altri dormono o spettegolano con Vittorio, altri iniziano a guardare fuori dalla finestra, ignari dell’arrivo della CORRENTE A GETTO.
E’ solo con l’apparizione di Angelo Branduardi (che oltre a cantare, fa anche l’istruttore di scialpinismo e il metereologo in Liguria) verso le 19, che il futuro viene rivelato: l’arrivo del jet stream è imminente. Un fenomeno atmosferico di rara intensità che prevede vento dagli 80 km/h in su per facilitarci la salita sul ghiacciaio. Presi da momenti di sconforto, alcuni pensano di mettersi pietre nello zaino, altri vorrebbero partire immediatamente (la notte è previsto tempo perfetto), la maggior parte è troppo occupata con la cena per preoccuparsi della troposfera. La partenza è prevista alle 5:30, e la meta probabile diventa la schiena d’asino per poi scendere sul rifugio Vittorio Emanuele.
La notte in una super camerata da pigiama party è ricca di risate e rumori di ogni genere e specie.
La mattina si parte divisi in gruppi da 3 persone, già pronti per le cordate. A causa di un pessimo tempo atmosferico la destinazione diventa però il Colle del Gran Neyron, una meta con altitudine inferiore (sui 3450m), con più possibilità di ripararsi dal vento e soprattutto un percorso già conosciuto perché battuto il giorno prima dal Diretur (che non pago della salita al rifugio aveva fatto una sgambettata pomeridiana) e da Sergio e Luca, che il giorno prima avevano affrontato la Becca di Montandayné.
Circa trecentometri sotto la meta i gruppi formano le cordate e c’è spazio per imparare le inversioni da legati e ripassare i nodi principali. Gli ultimi metri invece vengono saliti a piedi, chi con le picche, chi con i ramponi. La neve cade abbondante e il vento freddo si fa sentire, anche se non sembra cattivo per ora.
La discesa nella nebbia si rivela complicata vista la totale assenza di visibilità, gli allievi seguono come non mai il Diretur, che, evidentemente dotato di occhi di gatto, disegna delle tracce perfette incurante dei cambi di pendenza e dei salti rocciosi che ogni tanto compaiono di fronte. Sembra di seguire i fanali di un’auto nella nebbia. All’altezza del rifugio, sui 2730m, la visibilità migliora ma la neve passa da trasformata a crostosa e poi una melma incoerente, causando rovinose cadute, anche illustri. Il gioco diventa scendere il più possibile seguendo le ultime lingue di neve, per evitare di togliere gli sci e continuare sul sentiero, gli allievi che fino a qualche ora prima si beavano dei loro sci nuovi comprati a fine stagione, ora diventano seriamente preoccupati di evitare le rocce affioranti, ogni tanto si sentono suoni sordi seguiti da imprecazioni.

Il Granpa non l’abbiamo raggiunto, ma l’esercitazione sul campo è stata ugualmente piacevole. Che cosa abbiamo imparato da questo bel weekend:
/ il Diretur vede laddove noi comuni mortali non possiamo vedere,
/ Angelo Branduardi è in realtà un metereologo,
/ esistono dei venti che ti fanno sfrecciare le nuvole sulla testa,
/ in rifugio bisogna portarsi dei tappi per le orecchie ma non il beauty,
/ è utile andare alle lezioni teoriche del corso,
/ in montagna fa freddo,
/ con una bella magnata tutti insieme ci si dimentica di non essere arrivati in vetta!!

Grazie a tutti per l’avventuroso weekend passato insieme e per un’ottima conclusione del corso 2014! E’ stato un piacere sciare con voi.

Anna e Stefano

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