Come si legge nell’incipit di Anna Karenina: “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo”.
Posto che la Scuola di Sci Alpinismo è un po’ una famiglia, ed è sicuramente una famiglia felice (non potrebbe essere diversamente, fondandosi su un’adesione volontaria e senza vincoli negoziali duraturi… sto pensando ad un mutuo…), si potrebbe parafrasare Tolstoj concludendo che ogni Corso si somiglia: le Uscite, le Lezioni, gli Istruttori, gli allievi. Attori e scenario non mutano.
Poi, ogni stagione ha le sue peculiarità: c’è quella più fortunata come innevamento e meteo, e quella che invece sembra perseguitata dalla malasorte; ci sono leve vivaci e ben aggregate, altre meno.
Tuttavia, ogni annata – già si sa – si caratterizzerà per qualcosa di unico; per una gita fantastica, per una serata in rifugio, o anche solo per una frase, un episodio.
L’allitterazione “campa an toc ant’la stùa!”, seguita da un estroso “contrastate la porta!!”, rievocheranno immediatamente ai più attempati la notte passata in una gelida baita di Pratorotondo, in un corso del 1988. La ricerca dello sci di un’avvenente allieva, disperso sotto metri di neve – che vide impegnata, con encomiabile dedizione, buona parte dell’organico istruttori – è fissato nella memoria, anche dei più giovani, meglio della favola di Cenerentola e delle vicende della sua scarpetta (cfr. Cavùr, Relazione Uscita del 2.2.2014 – Bosco del Fraiteve).
Che ci riserverà il Corso 2017? Sicuramente qualche meteora, allievi comparsi per una sola stagione e svaniti insieme alla neve; ma forse anche qualche innesto stabile, che magari assurgerà al gotha istruttori. Nasceranno certamente nuove amicizie. E magari anche nuovi amori: qualche anno fa tali eventi erano rari, quieti, per lo più ignoti, ma comunque riservatissimi; l’aplomb sabaudo connotava anche il versante sentimentale. Da qualche tempo si registra una maggior vivacità…
Di ogni nuovo Corso il battesimo – più che la Presentazione o la Prima Lezione – è la Prima Uscita: un evento che inizia in una mattina buia e fredda, e che si gioca sui contrasti: da un lato gli allievi con l’entusiasmo timoroso della prima volta, i materiali che odorano e luccicano di nuovo, i gesti non ancora rodati, il metter – togliere – spostare, con la paura di dimenticare qualcosa; dall’altro gli istruttori, con l’entusiasmo rinnovato dall’inizio di una nuova stagione, nelle divise d’ordinanza e le sincronie ben note.
Quest’anno ricorre il trentennale della mia prima Uscita da allievo (la Rocca nera da Crissolo). Correva l’anno 1987; le immagini di allora hanno quella patina dei tempi andati, tipo il film Sapore di mare…
Lo sci alpinismo – per i neofiti come me – era qualcosa di ignoto, vagamente pericoloso e faticosissimo. Non ricordo se ci fosse una serata di presentazione, una lezione preliminare sui materiali; probabilmente sì, ma è certo che non ne ricavai alcuna indicazione utile. Mi presentai vestito con la stessa divisa che sfoggiavo sulle piste di Pian Benot, ma con qualche capo più pesante, per esorcizzare il timore di tormente glaciali che sicuramente mi avrebbero visto disperso… Indossai infatti un maglione di quelli che mi faceva mia nonna, voluminosi e caldissimi. Calzati gli sci ed iniziata la marcia, per tenere un ritmo che mi sembrava indiavolato, non osai fermarmi fino a quando l’istruttore non autorizzò la svestizione: ma avevo oramai perso la metà dei liquidi corporei e prestazione ed esito della gita erano irrimediabilmente compromessi… La discesa fu un susseguirsi regolare di cadute, che avevano il solo pregio farmi perdere dislivello ed avvicinarmi all’auto.
Ho l’impressione che in allora l’approccio didattico privilegiasse l’esperienza diretta, che – come diceva Platone – non è trasmissibile: quindi, se l’allievo sbagliava a vestirsi (o a salire, o a scendere, ecc.), ne verificava le conseguenze sul campo, e – se sopravviveva – apprendeva e non dimenticava più…
Non era l’unica differenza rispetto ad ora.. Nella Scuola di quel tempo il clima era più formale e meno amichevole. Bastarono alcune frasi sul Liceo torinese che frequentai da giovane per privarmi del diritto al nome e vedermi affibbiato da allora il soprannome con il quale mi firmo, nella vulgata alpinistica.
Agli istruttori non si dava del Lei, ma il tono era deferente. L’attuale Diretùr era già presente nell’organico istruttori, ma giusto come un ragazzo di belle speranze (digito questa frase con il fremito di chi scrivesse “La prima volta che vidi Pelè faceva il raccattapalle” oppure “Quando conobbi Andreotti, era uno stagista al Senato”).
In quegli anni maturai il progetto di fondare una corrente filosofica con un nuovo approccio allo sci alpinismo, che battezzai “Lo sci alpinismo mite”: una rivoluzione nei ritmi, soprattutto di salita, che però non ha attecchito…
Ma veniamo alla prima gita del Corso 2017.
Meta il Clot della Soma, da Pragelato, 900 m di dislivello. Il tempo non è dei migliori: alla partenza da Torino pioviggina, all’arrivo a Pragelato nevica.
Saliamo sulle vecchie piste di Pragelato, non battute e deserte, con qualche puntata nel bosco. La neve appena caduta è soffice sotto i nostri sci, il paesaggio, con gli alberi innevati, da favola.
Il gruppo di testa è su in 2 ore, gli ultimi in un’ora in più. All’arrivo c’è un ampio locale, ricovero per materiali degli impianti, gatto delle nevi, ecc., che ci offre un riparo per mordere qualcosa, prima dell’esercitazione, focalizzata sull’uso delle sonde; questa volta si salta la ricerca Artva ed il suo festoso girovagare, e si considera il sepolto (uno zaino messo in una muta) già localizzato.
Luca Berta ci ammaestra con la consueta chiarezza sull’arte dell’uso della sonda, su come distinguere all’impatto con l’asta terreno e corpi sepolti … Di solito dispensa anche nozioni teoriche, nella convinzione che i concetti – ad una temperatura inferiore allo zero e con gli allievi in stato di ipotermia – si fissino meglio nella mente dei discenti di quanto farebbero al calduccio della sede della Tesoriera; ma questa volta è abbastanza clemente…
Il vero insegnamento pratico però ci attende alla discesa, ed è focalizzato sul concetto di “rinuncia”.
Abbiamo detto che la Prima Uscita è un battesimo, e come ogni battesimo che si rispetti, la liturgia prevede la formula rituale:
Rinunciate voi a libidinose serpentine sulla neve appena caduta?
Rinuncio!
Rinunciate voi alla tentazione di discese a perdifiato nel bosco innevato?
Rinuncio!
Le avverse condizioni climatiche, con cielo molto coperto e nebbia, impedirebbero infatti interventi di soccorso dell’elicottero, ed impongono cautela. D’altra parte, la capacità di rinunciare è nozione fondamentale in montagna, ed è bene inculcarla fin dalla prima occasione.
Quindi, per scongiurare ogni rischio, si scende tutti (o quasi..) su di una traccia, in fila ordinata, dietro al Diretùr, come i sodomiti del canto di Brunetto Latini (Dante, Inf., XV).
Ammetto che dal 1987 ad oggi ho fatto discese di maggior soddisfazione… Invece le libagioni post gita sono state tra le migliori che ricordi, tra salami veri e salami al cioccolato, bugie e formaggi, di tutto di più, degno contorno al genetliaco del Diretùr! (sempre sia lodato).
Alla prossima!
Cavùr
Ed ora, dopo la lunga ma piacevole lettura, goditi le foto
vai allo Slideshow