MONTE MOREFREDDO, m 2769
La seconda gita è stata effettuata nella Val Chisone e la meta scelta è stata il Morefreddo, da Pattemouche, poco dopo Pragelato, con 1150m di dislivello ed una esposizione prevalente Ovest.
Bonjour à tout le monde. Good morning, SsaCaiuget! Qui, è la vostra new mascotte, Marina, in veste di reporter che vi scrive. Ebbene sì, sono qui per raccontarvi la seconda uscita del Corso di scialpinismo, una giornata spettacolare che abbiamo trascorso tutti insieme e che ho la responsabilità di farvi rivivere almeno con lo stesso entusiasmo e la stessa gioia, con cui l’abbiamo affrontata. D’altronde, Vittorio, il nostro mitico Vice-Diretur, mi ha nominato “volontaria”!
Il ritrovo è stato alle 7.15, quando i nostri baldi sci-alpinisti si sono accorti di essere riusciti a sedersi sul pullman e, quindi, di essersi in qualche modo miracolosamente alzati, nutriti abbondantemente, lavati, vestiti, trasportati e arrivati con zaino, sci e tutto il necessario
Ma non stiamo dimenticando qualcuno? Eh, già! Mancava il caro Diretur,
impegnato “seriamente” in un’altra uscita, ma che ci ha lasciato in buonissime mani, quelle di Vittorio e della nostra guida, i nostri due angioletti custodi.
Giunti a destinazione, abbiamo attraversato “indenni” (senza incidenti contro qualche fondista di passaggio) la pista dello sci di fondo, per avventurarci su per un boschetto. Avrete certamente notato che giusto all’uscita da quest’ultimo, ci siamo imbattuti in un cardo selvatico. Ebbene, sì, Signore e Signori: dopo il ciliegio selvatico della Valle Pesio, c’è chi ha giurato di aver visto proprio un cardo selvatico. Un po’ striminzito e congelato, ma pareva proprio lui.
La salita è stata ricca di belle emozioni e di grandi sudate! Il sole brillava sopra di noi, che con un passo più o meno spedito, salivamo osservando entusiasti i mille sastrugi che si erano formati sulla neve e che ci dimostravano che il vento aveva tirato a più riprese e da direzioni diverse nei giorni precedenti: “brezza marina” di cui ci siamo accorti arrivando in cima! E poi su e ancora su, a dar dimostrazione e far esercizio di guce; e poi su e ancora su, superata Banchetta alla nostra destra, ad ammirare il paesaggio; e poi su e ancora su, oh mamma! E più salivamo, più incontravamo qualche “raffichetta” di vento, quella brezza di cui vi parlavo poco prima, che ha spelacchiato la punta e che ha scoraggiato anche i più coraggiosi dei nostri, anche i più affamati, a bivaccare e rifocillarsi lì in quota. In realtà, qualcuno è riuscito a sostare, mettendosi a riparo dietro il muretto di una casetta in pietra, anch’essa diroccata (ma non era stata una stalla per pascoli estivi, mi sono informata: era una casermetta militare!) e a riscaldarsi bevendo un po’ di tè, mentre sbocconcellava un pezzo di cioccolata o di pane.
Aprirei qui una parentesi, per confessarvi che sono giunta alla conclusione che, etimologicamente parlando, il nome di questo monte tragga origine dal freddo polare, causato dalle raffiche di vento, che accolgono gli sci-alpinisti che giungono in vetta! Ma dobbiamo consolarci che almeno non l’hanno chiamato “morir-di-freddo”, che avrebbe reso la gita un po’ meno allettante, almeno da un punto di vista formale.
E, dunque, arrivammo in cima!
E, poi, via! Uno dopo l’altro, i gruppetti hanno cominciato a scendere, per fermarsi giusto un po’ più in basso a bordo-pista al fine di mettere in pratica loro stessi la prima lezione teorica del nostro Vice, nonché la grandissima dimostrazione data dai nostri istruttori alla Gardiola: la ricerca dell’ARTVA sepolta nella neve con successivo scavo per il suo recupero.
Oh, mamma! Ragazzi, questa sì che è stata una grande emozione. E, come primo tentativo, possiamo dirlo? Ma sì, possiamo: non siamo stati affatto male; d’altronde, abbiamo impiegato una manciata di minuti per localizzare ed estrarre dalla neve lo strumento, senza seppelire noi stessi o gli istruttori! Se posso esprimere un’opinione, è stata un’esperienza incredibile: anche se si trattava (per fortuna!) solo di una simulazione, ci ha coinvolto moltissimo e il cuore batteva in gola come se chi si dovesse soccorrere non fosse quella specie di buffo bracciolo giallo, in cui era nascosto l’ARTVA, ma un essere umano.
A questo punto, erano all’incirca le tre del pomeriggio, quando abbiamo iniziato la discesa (che è proooprio il mio punto forte!) e bisogna ammettere che la neve era un po’ crostosa e non proprio facilissima, tanto che – anche se facciamo finta che nessuno abbia visto niente – abbiamo assistito a cadute di vario genere, le mie e quelle certamente più “stilose” di qualcuno molto più esperto!
Ma ormai il pancino si faceva sentire: era l’ora della merenda! Per la qual cosa, abbiamo “slalomato” tenaci e imperturbabili, fino a raggiungere nuovamente la pista di sci di fondo (ancora una volta senza incidenti rocamboleschi con i fondisti) e in tempi rapidi ci siamo tutti riuniti intorno al pullman per dare via alle inebrianti danze di cibarie, che si sono susseguite… e non ci siamo proprio fatti mancare nulla! Torte dolci e torte salate; biscotti e salatini; pizzette, frutta e cioccolata; pinte di birra gigantesche e bottiglie di vino, bibite e succhi! Pieni come degli ovetti, si è pure udito qualcuno sussurrare che vi era fin troppa abbondanza. Ma anche in questo caso, faremo finta di niente!
E’ con questo lieto fine, che si è conclusa la nostra gita e che vi saluto, augurandovi arrivederci alla prossima uscita e lasciandovi un petit cadeau come congedo.
“La vita è come una bicicletta: per mantenere l’equilibrio, bisogna sempre muoversi” (A.Einstein)