06-07/04/2013 Thabor

Splendido fine settimana in Valle Stretta che ci ha permesso di raggiungere la sommità del monte Thabor a 3178 metri, 1400 m di dislivello dai rifugi del 3° Alpini e dei Re Magi.
La vetta segnava fino al 1947 la frontiera tra l’Italia e la Francia. Il trattato di Parigi stipulato dopo la seconda guerra mondiale ha fatto sì che attualmente la frontiera sia situata all’inizio della Valle Stretta.
Secondo alcuni studiosi la sua denominazione risalirebbe ai reduci delle Crociate o a pellegrini di ritorno dalla Terra Santa, che in età medioevale gli avrebbero voluto attribuire il nome del monte della Trasfigurazione, alla quale vagamente assomiglia per il colore della sua sommità.
Prima di raggiungere la vetta è presente una cappella dedicata alla Madonna Addolorata (N.D. des Sept Douleurs) che, ricostruita nel 1648, pare abbia origini antichissime.
E a seguire il paragrafo storico …… lo slide show e la relazione.

Gita di due giorni, che faccio? Vado o non vado? Se la meta è la valle stretta e il monte Thabor i dubbi svaniscono, come si fa a rinunciare? Certo se avessi saputo che poi mi toccava la relazione.. mica è semplice scrivere dopo aver letto Cavour & Co e non c’è neanche una relazione delle ottime annate precedenti a cui attingere.
Bando alle ciance: ritrovo alle 14 a Rivoli, non c’è il diretur, degnamente sostituito da Frank nelle operazioni di appello e composizione vetture, e con un fisiologico ritardo sulla tabella di marcia si parte alla volta di Pian del Colle. Alle 15.30 ad accoglierci al parcheggio il diretur e un cielo lattiginoso, ma Meteo France è ottimista per domenica, quindi si parte alla volta dei rifugi della Valle Stretta. Dopo un’ora abbondante di “sci di fondo” in valle ecco apparire le grange e i due rifugi: la comitiva si divide tra “Terzo Alpini” e “Re Magi” perché “l’ingombrante” presenza del CAI di Biella al “Re Magi” ci costringe a separarci. Il pomeriggio al rifugio scorre tranquillo tra chiacchiere, pinnacole (sette carte dello stesso seme in ordine – nota per Marina, fortunata sorella Karamazov), birre e patatine (sarà la dieta giusta degli atleti?) in attesa della cena light.. Antipasti misti, zuppa di sedano rapa, polenta e spezzatino, insalata e dolce in dosi oversize, innaffiate da buon vino, caffè e pusa caffè.. Non è affatto un rancio da caserma ma ci sta la qualifica di “Ottimo e Abbondante”.
Tempo di far scorrere il cibo lungo l’esofago e poi tutti a dormire in camerata. Oddio, non è che proprio tutti abbiano dormito: qualcuno ha dormito sonoramente (nel senso che s’è fatto sentire, eccome), gli altri hanno cercato di riposare nel tipico microclima che si crea nelle camerate: temperatura da presepe e ossigeno ridotto al lumicino (tutto allenamento per l’altura). Alle 5.45 si sbranda, ci si prepara e con un solo occhio aperto si scende a fare colazione, metti caso che il calo di zuccheri fosse in agguato dopo la cena frugale. Alle sette meno un quarto tutti fuori dal rifugio, inizia ad albeggiare tra le nuvole e non fa neanche troppo freddo. Pronti, Partenza.. Via: il mio micro gruppo (Fabio ed io, assistiti da Sara e Fabio) è in prima linea, sono un po’ emozionato ed onorato da questa posizione e faccio del mio meglio per conservarla, combattendo con la colazione che pretende di essere digerita. Il primo tratto è un lungo spostamento in falso piano (al ritorno ci accorgeremo che è piano davvero), giusto per scaldarci, poi si inizia a salire e in un improvviso squarcio tra le nuvole ecco comparire la cappella sopra il Thabor (‘azz se è lontana). Dopo un’ora e mezza facciamo una sosta per scattare qualche foto e studiare la cartina (siamo a scuola e dobbiamo imparare a guardare oltre il faro rosso della giacca dell’istruttore CAI che ci precede); abbiamo percorso circa 4 km e siamo saliti di 600 metri di dislivello (visto che ho il GPS do qualche dato tecnico), mancano ancora 800 metri di salita. Si riparte e attraversiamo le nuvole che al mattino facevano da quinta teatrale al Thabor, all’ombra fa freddino, ma più avanti si vedono spicchi di sole e così ci affrettiamo per “farci baciare” e scaldare. All’improvviso, alle nostre spalle, uno sconosciuto, anzi due, poi si avvicinano e non sono affatto sconosciuti: direttamente da Bardonecchia Vittorio e Daniele ci raggiungono (sospetto abbiano usato una motoslitta dalla dubbia carburazione perché arrivano freschi e le nuvole al loro arrivo magicamente svaniscono). Si rivede la cappella del Thabor e non è che si sia avvicinata granché: altra sosta per rifocillarci e fotografare tutto lo spettacolo che ci circonda e via, si riparte per gli ultimi 400 metri di dislivello (ed io che pensavo di essere quasi arrivato) che, come si dice in gergo tecnico sono “remunerativi”, per i comuni mortali vuol dire “hai presente la pendenza di una scala a pioli? Beh, poco meno..”. Sara detta il ritmo e Fabio ed io, alunni diligenti la seguiamo, mentre diretur e vicediretur, liberi da incarichi didattici, “sgasano” davanti a noi. Finalmente, dopo 1400 metri e 8 km, conquistiamo l’agognata cappella, salvo scoprire che la cima del Monte Thabor è un po’ più avanti.. In realtà il superamento della cappella è stato studiato da Vittorio e Daniele per dar sfogo al loro Harlem Shake (ora Daniele è costretto a far circolare il video) senza turbare la sacralità del luogo. Sosta d’obbligo per cambiarsi, gustare il panorama e il panino (se Matteo non è nei paraggi, se no, ci si accontenta del panorama..), trifacciale solare davanti alla cappella e poi è già ora di scendere.
Sono un gatto (delle nevi e di piombo): finché si tratta di salire nessun problema o quasi (ho risolto il mio rapporto conflittuale con le “guce”) ma quando si deve scendere m’incasino.
“Il coraggio non mi manca. E’ la paura che mi frega” (cito Antonio Albanese, Cavur cita Carlo Emilio Gadda, sono scelte..)
Sotto il Thabor c’è una neve così bella che riesco pure io a lasciare delle scie eleganti: certo dove gli istruttori intimano al “SILENZIO” (con una serie di “S” da far impallidire Vendola e Jovanotti) io scrivo solo una “Z” di Zorro, ma vuoi mettere la soddisfazione… Alcuni istruttori, ebri d’entusiasmo, sarebbero pronti a ripellare per risalire e soprattutto riscendere e per una volta sono d’accordo con loro. Man mano che perdiamo quota la qualità della neve peggiora, ma chi sa, riesce ancora a pennellare serpentine; io, farcito di acido lattico, punto a “scendere”, attività ben diversa da “sciare”. Quando già si intravedono le grange della valle stretta è il momento di affrontare il bosco: dopo aver ballato la lap dance tra i cipressi di Cima Bosco (saranno stati cipressi?? Con alcuni ho avuto incontri così ravvicinati che potevo almeno chiedere il nome..) affronto con meno (un po’ meno) timore reverenziale la discesa e finalmente arrivo al rifugio Re Magi. Il tempo di una birra, quattro chiacchiere e salutare la compagnia, poi Dario dichiara il “Liberi tutti” per scendere fino a Pian del Colle. Un chilometro di “defaticamento” pattinando più o meno elegantemente lungo il pianoro della valle e poi via in discesa lungo i tornanti, cercando di evitare i pedoni, fino al parcheggio. Nonostante il “Liberi tutti” dato al rifugio alla fine ci ritroviamo tutti alle auto contemporaneamente e il diretur mi nomina “redattore per un giorno” come sostituto di Silvia, Cavur, Francesca, Francesca, Raffaella, Daniele…
Stef.Canav8

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