Preambolo a cura di un Sopravvissuto.
23 aprile.
Ci siamo. E’ sopraggiunta la famigerata lezione di nodi. Esibizione da parte degli istruttori con abilità manipolatorie paritetiche a quelle dei biscazzieri del sottopasso di Porta Nuova esperti nelle tre carte. E sguardo allucinatorio da parte degli allievi.
Tutto da copione.
E arriva la notizia inaspettata. La mitica traversata del “contrabbandiere” franco-italiota, inizialmente pianificata, non sarà possibile. Il profeta ha parlato. Un battito di farfalla nel nord America ha generato un’instabilità nell’ordine metereologico mondiale. Arriverà uno tsunami, una tempesta di cavallette, un’eruzione vulcanica e del brutto tempo.
Notizie non pessime. Non dovrò sobbarcarmi le due bottiglie di vino per 1600 metri di dislivello. Bacco 1-0 sul Diretur. Momentaneamente però. Con abile contromossa l’illuminato annuncia l’orario del ritrovo. Diretur vince su Bacco e mi è passata la voglia di bere.
1° giorno
Dopo tre ore e mezza di sonno la sveglia suona implacabile. Non sembra neppure un trillo ma una sirena di inizio turno in fabbrica. Risveglio agghiacciante.
Oggi è il 25 aprile. Dove andare a festeggiarlo? In Francia!!
Raccolgo un compagno di avventura per strada (mi si presenta già con l’imbrago calzato!!) e ci aggiriamo per la città popolata dalla tribù dei nottambuli. Consumati dalla notte brava.
Il cielo è plumbeo. Il “profeta” aveva parlato. Tutto era scritto.
Arriviamo strisciando al luogo dell’appuntamento. I segni del risveglio forzato si leggono sulle facce. E nel dialogo monosillabico ed essenziale: “si, no , andare, bene, ok.”.
Si parte!!!! Destinazione: Refuge d’Avérole.
Ma subito si impone la prima sosta tecnica. Autogrill di Bardonecchia. Dove fra nerboruti camionisti indaffarati nelle abluzioni mattutine i nostri iniziano a dare sfoggio di essere dei veri atleti. A cominciare dalla fame. Il mio compare pasteggia all’alba delle sette con speck. Sembra il conte Ugolino.
Ripartenza. Involato il traforo del Frejus e percorsa la valle della Haute Maurienne fino a Bessan la transumanza termina nella valletta laterale, presso lo spiazzo adibito a parcheggio, sottostante l’agognato rifugio.
Rapido scarico degli zaini e via sulle lingue di neve che ci separano dalla nostra meta. Maciniamo circa 200 metri di dislivello e giungiamo alla nostra magione. Finalmente possiamo sgravarci della zavorra. Riempiamo le cassette di plastica ad uso armadietto e lascio momentaneamente il vino gelosamente trasportato. Il personale del rifugio è gentile e disponibile.
Ci siamo. Inizia il cimento.
Vinco la corda!! Ormai ho creato con lei un sodalizio. Mi chiedo se per evitarla mi devo appellare alla Sacra Rota. Con la mia fedele compagna inizio a risalire il pendio. Assieme ai componenti del mio gruppo. Il meno preparato fisicamente è come un eroe della Canzone dei Nibelunghi. Immaginiamoci gli altri. Istruttore capogruppo Enzo. Che con una completa e continua dissertazione su materiali e tecnica inizia a risalire la montagna come un capriolo. Ma come fa a parlare e prendere fiato mentre mulina le gambe? Avrà le branchie?
Direzione nord est. Obiettivo: col della Bessanese.
La neve a quota rifugio scarseggia. Superiamo agevolmente dei tratti con sci a spalla e finalmente calziamo definitivamente gli sci. Si sale lesti. Infiliamo dei canaloni su cui possiamo dare sfoggio di inversioni. Sembra di essere alla gita degli Alcolisti Anonimi a vedere i barcollamenti. Ma si sale, sempre più in alto. Il cielo diventa più grigio. Ma dove sarà finito l’antico potere sui nembi del Diretur? Paragonabile a novello Mosè riusciva a squarciare il cielo e rifulgere di luce. Oggi sarà un po’ scarico forse.
Prima sosta. Punto mappa. Incrocio di griglie, bussole, sestanti, altimetri, astrolabi e profezie Maya. Scopriamo di essere nella giusta direzione. Per forza, mica sono io ad aprire la traccia.
L’ascensione prosegue. E inizia a nevicare. Nulla ferma i nostri eroi.
Seconda sosta. Sempre punto mappa. Ma cribbio, nessuno mangia? Sono in uscita con una delegazione di bonzi tibetani? Tra poco raspano la neve e si cibano di radici!!
Buone notizie. Mancano solo poche centinaia di metri alla meta. La carovana riparte con maggior impeto. La nevicata diventa più abbondante. Il vento cresce. La neve sottostante, causa il mancato rigelo notturno, cede sotto il nostro peso.
Ma si arriva. Altri mille metri di dislivello archiviati.
L’umore è alto. Parte un karaoke incontrollato. Il paragone con gli Alcolisti Anonimi è sempre più calzante. Si tolgono le pelli e si inizia la discesa.
La neve non rigelata è insidiosa. Bisogna fare attenzione. Guardo verso il basso e vedo che strategia ha messo a punto il Diretur per l’occasione. Uno dietro all’altro. Un’unica traccia. Mi sembra di assistere a quelle ben note scene estive sull’Aurelia. Coda modello serpentone e incidenti qua e là.
Ma la fiumana scende. Sotto l’occhio vigile di Frank. Il quale è onnipresente. Un tempo vedevo sui muri l’occhio nel triangolo con la scritta sottostante “Zeus ti vede”. Che Zeus si faccia chiamare ora Frank?
Infiliamo un canalone. Sotto si vede il rifugio, a poche centinaia di metri. Il famigerato canalone. Che si prende il primo caduto. Daniele giace al suolo. Il ginocchio cigola. Un fremito attraversa il gruppo. Messaggi radio all’impazzata. Ok ragazzi. Tirate fuori gli altri componenti della barella. Io ho la corda. E voi? In quel momento scopro che l’unico Barella presente è Vittorio, la vera barella l’omonimo l’ha lasciata in auto. Alla domanda “ma io la corda cosa l’ho portata a fare?” mi viene male e raggiungo la dimensione di sofferenza di Daniele. Il quale, novello Ettore, nel dolore e nella fatica intraprende la discesa. Con uno sci e una chiappa. E, miracolo, inizia a camminare. Ma chi sei, Lazzaro? Mi viene voglia di toccarlo. Avrà mica poteri taumaturgici?
Si arriva al rifugio. Lavaggio d’obbligo e ritrovo nella salle a manger. Ordinazione in francese modello Totò e Peppino. Almeno non devo chiedere “l’indiriss”.
Nell’occasione emerge lo stile italiota. Nel tavolo vicino un francese, amante della montagna, che si solletica la gola con un infuso di erbe e legge interessato un libro in un’aura di intellettualità. Tavolo di fianco. La falange dell’Elmo di Scipio. Urla e schiamazzi tra boccali di birra, manate sul tavolo nel corso di partita a carte all’ultimo sangue. Si gioca a “Tappo”. Ma l’italica gente comprende di essere in territorio straniero. L’essere ospiti impone il rispetto di un’etichetta. Un dovere di cortesia. Di venire incontro ai nostri fratelli d’oltralpe. Detto fatto. Il tanto misterioso vocabolo Tappo urlato a squarciagola ed ignoto all’orecchio francese viene sostituito con il ben più noto “merda”, con tanti omaggi a Cambronne. Viva l’Europa unita.
Cena abbondante (innaffiata dall’agognato vino!!!) e ripellaggio degli sci. Corteo di novelli marconisti sulle alture circostanti nel tentativo di stabilire un contatto con la linea telefonica. Calano le tenebre. Le stalle si riempiono di animali russanti e maleodoranti. Si attende il D-Day. Il Diretur ha promesso il sole. Vedremo….
2° giorno a cura di una Sopravvissuta.
Ore 4: sveglia. Ah no, è quella di ieri!! Ore 4.10. Sveglia. Ecco, no, non dovevi semplicemente posporla, caro amico sbadato… oggi si può dormire “molto di più”!
Ore 5.30: sveglia. Eh sì, questa è quella giusta. Alla spicciolata ci troviamo a fare colazione nella calda sala del rifugio: caffè, the, pane e marmellata. Si riempiono i thermos con il the preparato dai gentili gestori (VUOI VEDERE L’ALTRA FACCIA DEI GESTORI? VAI AL PUNTO D), una veloce ripassata d’acqua ghiacciata per togliere le ultime ombre della notte dai nostri visi, scarponi calzati, sci piazzati alla bell’e meglio sullo zaino (molto meglio se con l’aiuto degli istruttori) e alle 7 ci troviamo pronti per intraprendere l’ascesa. Che oggi però inizia con una breve discesa. (NON VUOI PERDERE DISLIVELLO? VAI AL PUNTO A). E così ci incamminiamo silenziosi verso il vallone dove finalmente, incontrata la neve, calziamo gli sci. Il sole non è ancora sorto sul nostro cammino, ma il cielo pare sgombro da nubi e le cime attorno a noi riflettono già una bella luce calda e gialla… forse la previsioni per oggi sono state azzeccate…
La neve in questo tratto in ombra è ancora piuttosto dura, meglio mettere i coltelli.
A. E così a quota 2180 iniziamo la salita. E che salita! La pendenza che ci attende è a dir poco impegnativa. Ma si risparmia il fiato e con tenacia si procede, tra gùcie e traversi, fino a raggiungere un primo avvallamento: il gruppo si ricompatta e tende lo sguardo verso la cima che ci aspetta… Punta d’Arnas, 3560 mt, pare lontanissima. E in effetti ancora lo è (VUOI ARRIVARE SUBITO IN CIMA? VAI AL PUNTO C). Maciniamo altro dislivello. Questa volta c’è un fuori programma. Un’allieva, che finora non ha perso un colpo, finisce il fiato. Attimo di panico. C’è chi le dice “seee, chi te crede”, chi la esorta con il classico “stringi i denti” e poi c’è il mitico Frank su cui l’allieva si accascia. Nel giro di pochi minuti il Diretur, ancora pellato, saetta “a uovo” sul luogo della tribolazione e si mantiene in contatto via radio con la centrale operativa del 118 de noiartri. In breve l’allarme è cessato, l’allieva sta meglio, si riprende, si alza e ritorna ad essere lo stambecco di sempre (VUOI SAPERE SE L’ALLIEVA ARRIVERÀ IN CIMA? VAI AL PUNTO B).
Raggiungiamo il Col d’Arberon da cui si può ammirare il profilo maestoso di Punta d’Arnas.
Riprendiamo un po’ di forze nel dolce avvallamento che precede la nuova pendenza. È dura, ma ce l’abbiamo quasi fatta! La dedizione e pazienza degli istruttori motivano a suon di “stringi i denti”, “brava, dai che vai bene!“, “manca poco, ci siamo!”. E poco importa se non è del tutto vero… (un personale “grazie” a Giamberto e Luca!).
A 250 metri dalla vetta è ora di togliersi gli sci e calzare i ramponi. E già che ci siamo utilizziamo anche gli imbraghi che indossiamo.
Così alcuni gruppi salgono in cordata, il che rende la salita, agli occhi di chi scrive, una super impresa alpinistica.
B. Baldanzosa arriva in cima anche l’allieva che aveva finito il fiato!
C. Lassù c’è clima di festa. Si è accolti da grandi abbracci e congratulazioni da chi è già arrivato: “ce l’hai fatta!”. È bello essere un gruppo! La vista è superiore alle aspettative: Gran Paradiso, Monte Bianco, Monviso, la collina di Superga: grandi e piccoli sono lì, schierati davanti a noi, a 360°.
La discesa che ci aspetta non è di minor fascino: la neve del ghiacciaio d’Arberon è senza traccia, immacolata, farinosa, aspetta proprio la nostra mandria per venire ricamata a dovere!
Il rientro alla base è denso di fatica, certo, ma soprattutto di soddisfazione, allegria e voglia di… bere una birra!!
Intanto le nuvole si vanno ammassando sulle cime intorno a noi. Nuvole dense, color bianco sporco… non promettono nulla di buono. O forse sì?
E. Serpeggia tra gli allievi, ma non solo (!!), la segreta speranza che le amiche del cielo portino una perturbazione importante, di quelle che lasciano poco margine alla fantasia degli scialpinisti avventurieri. Insomma, si augurano che l’indomani sia all’insegna di una conviviale pigrizia…
3° giorno a cura dei Sopravvissuti.
Seconda notte al rifugio. Sembra un girone dantesco. Miasmi e rumori. Il sonno tarda ad arrivare.
Si vocifera di Punta Maria. L’unica Maria che riesco per ora a percepire è quella dell’Ave Maria, ripetuta come una giaculatoria nella speranza del brutto tempo degli atleti, ispirati dall’acido lattico dei propri muscoli.
Le preghiere forse sono accolte. Nel buio della camerata prorompe un compagno di avventura con un “sta nevicando”, proferito con un tono tra il soddisfatto e lo speranzoso.
Preghiere vane. All’alba della colazione il Diretur, a stregua di novello Capitan Achab, fiero nello sguardo ed inflessibile nella tenacia sentenzia: aspettiamo un’ora. Si alterna la nebbia ma alla fine la visibilità migliora.
Si parte.
Sembra di essere a Stalingrado nel 1943.
Le truppe sconfitte si ritirano immerse in un universo bianco impenetrabile. Si palpa il clima di ammutinamento. Non bisogna fermarsi. Potrebbe sopraggiungere la morte bianca.
La gita inizia dal fondovalle del giorno precedente. Solamente si imbocca a poche centinaia si metri un canalone sulla sinistra. Si sale e pian piano cresce il morale. Altro canalone altro muro. Sequenza di inversioni da brivido e raggiungiamo i quasi 3000 metri. Solo ottocento di dislivello. Un aperitivo. Ma la nevicata costringe a ripiegare. Neve farinosa condisce la discesa. Umore alle stelle. Peccato la visibilità da cataratta.
Si arriva al rifugio…
D. Al rifugio… il grande tradimento. I nostri gentili gestori ci hanno letteralmente cacciati fuori dalle nostre stanze! Ahhhh che insanabile rottura di un’amicizia!! In realtà la scelta non si rivela poi così sbagliata: ci velocizza nel ricompattare gli zaini e nel dirigerci con gli sci alle macchine.
La gitona di 3 giorni si conclude ufficialmente sotto una neve degna di un pieno inverno. Ufficiosamente però si prolunga, con chi ha ancora del tempo a disposizione, presso una piola di Exilles (l’Ultima Stisa).
A questo punto pare giusto dare voce ai protagonisti della gita del terzo giorno. Ecco cosa alcuni di loro hanno risposto alle domande “ma tu, potessi tornare indietro, rifaresti la gita di oggi? Cosa ne pensi della gita sotto la neve e con nebbia?” (NON TI RICORDI QUALE FOSSE IL SENTIMENTO DELLA SERA PRIMA? TORNA AL PUNTO E):
INTERVISTE.
Iniziamo dai pochi coraggiosi che sono andati controcorrente:
• Anonimo (allievo): non penso che la rifarei. Ma ho potuto ammirare il senso d’orientamento degli istruttori.
• Anonimo (istruttore, inizia con la F): non la rifarei. Perché bagnarsi?!
Qui sotto tutti gli altri, parevano convinti…
gli istruttori:
• Luca (Capogita): certo che la rifarei! Col sole son tutti buoni a salire. DOMANDA: PERCHE’ CI SIAMO FERMATI? perché non si vedeva più nulla e man mano che si sale fa anche più freddo.
• Diretur: con la neve che c’era, di sicuro andava fatta! Quando nevica si può sempre fare, poi valuti se continuare. Anche se non si arriva ad una meta precisa, non importa!
• Vice-Diretur: ‘na m..da! ovvero: grande soddisfazione! Anche con il tempo brutto si riesce a fare qualcosa.
• Diretur + Vice-Diretur: noi siamo la meta, l’importate è che voi ci raggiungiate.
• Matteo: giornata nevosa, ma allievi stratosferici perché hanno affrontato un tempo pessimo. La neve era stupenda.
• Stefano: andava fatta perché le previsioni davano un miglioramento. Se si fosse aperto, ne sarebbe valsa la pena.
• Enzo: sì, andava fatta senza ombra di dubbio. Se c’è un briciolo di possibilità che le cose vadano bene, ogni lasciata è persa.
• Franco – Giamberto – Luciano : andava fatta, è stata una gita molto istruttiva.
Gli allievi/aggregati:
• Federica: sì, la rifarei. Siamo arrivati in un punto, non sappiamo dove fosse, ma è stato bello comunque.
• Andrea: gita molto utile, didattica.
• Lucia: ho apprezzato molto la gita perché ero con Vitto.
• Maria: siamo saliti di circa 800 metri, con questo tempaccio è andata bene così. In salita temevo per la discesa con la nebbia. Poi è andata bene. Aò.
• Daniele: certo! Ottima gita! Non poteva andare meglio! Discesa memorabile!!
• Alessio: la rifarei, mi piace l’avventura e la nebbia mi ha molto affascinato.
• Francesca – Valter – Luigi – Federica – Matteo (tanti altri): sì, la rifarei.
• Alessandro: avrei fatto ancora 30 metri per arrivare a quota 3000.
• Marta: la rifarei. È stato bello perché eravamo tutti insieme.
• Marina: ne è valsa la pena! Se gli istruttori dicono che si può fare è perché siamo in sicurezza.
… la potenza dello scialpinismo!
Sono stati dei super giorni, grazie compagni d’avventura… alla prossima!
Titoli di coda:
• Laura (la cameriera della piola): un gruppo come il vostro non l’ho mai incontrato. Per fortuna.
• Matteo (il cuoco): il piatto che ho preparato con più cura e passione per voi sono stati i tajarin al ragù. Ecco la ricetta del ragù: per il soffritto fare imbiondire le cipolle con del sedano, carota, lardo ed un mazzetto di salvia e rosmarino. Aggiungere la carne tritata (passata 2 volte) e quando diventa grigia unire i pomodori pelati e il pepe. Cuocere per un’ora e mezza e infine salare.
Firmato: Due Sopravvissuti (Fabio & Paola)
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