When things get tough. Si fa dura, ad Aprile. Tra veri o presunti impegni lavorativi, doveri coniugali e/o genitoriali, matrimoni, cresime, tentazioni enogastronomiche, previsioni meteo tanto inquietanti quanto inaffidabili, o semplice allergia a una doppia levataccia consecutiva. Insomma, la selezione diventa severa. Più di quella imposta dal Comitato Direttivo per la promozione da SSA1 a SSA2. Al terzo appuntamento con la classica gita-di-due-giorni, il nostro gruppo di indomiti registra inevitabili defezioni.
(track: Hero, Family of the Year
The tough get going. Il primo frame del weekend è l’usuale appuntamento nel
piazzale un tempo noto come Toxic Park. Uno dei luoghi più tristanzuoli del
nord ovest. Forse serve a marcare più nettamente la differenza tra imbarco e
destinazione. A rendere più acuto il desiderio di evasione. Funziona.
(Certo che. Ecco lo spettacolo che Torino offre ai visitatori defluiti
dall’autostrada: casermoni Falchera, grattacieli corso Vercelli, McDrive,
Auchan. E il massimo del kitsch, la statua della Sfinge che signoreggia al
centro della rotonda. Una lacca da madamine sullo squallore periferico.
Scusate, non riesco a trattenermi. Fine digressione)
Salpiamo. Il corpo assonnato cigola nell’alba subalpina, ma l’occhio scintilla di voglie malandrine. La montagna chiama, come un magnete inesorabile. Il piacere di vedere intorno a te volti amici e sorrisi ormai familiari corrobora l’ottimismo. C’è tempo per una tappa? Sicuro: ci vuole un caffè, magari un cornetto. Ma niente autogrill, non scherziamo. Abbiamo già il nostro bar totemico, lungo la statale della Vallèe, non ricordo il nome, ma è perfetto, prepara cappuccini alla curcuma, must have, e soprattutto cheap: tutto a 1 euro.
Imbuchiamo
la Val di Rhemes, il morale lievita con l’altitudine, tornante dopo tornante.
(track: 50 million year trip, Kyuss
La
gita di oggi, ancora lo ignoriamo, appartiene alla categoria “no pain, no
gain”. 21 km complessivi. Una mezza maratona non esattamente indicata per chi è
reduce da una settimana di orari coatti, lavoro sedentario e abitudini malsane.
Niente di estremo, per carità. Solo un estenuante sviluppo orizzontale, che
significa lunghi “traversi”, una metronomica tortura per caviglie, stinchi e
malleoli, insomma tutto ciò che sta compresso nello scarpone.
Partiamo baldanzosi, ovvio, incoraggiati dal dolce pendio che scricchiola sotto
le nostre lamine foderate in pelle. Destinazione Rifugio Benevolo, nome
antifrastico per un rifugio CAI che non ama i gruppi CAI, segnatamente le
Scuole di Sci Alpinismo. Lo ricambiamo, girando al largo. Laggiù, a sud ovest,
occhieggia il Vallone della Vaudala, che in breve si apre lasciando intravedere
la nostra meta: Grand Vaudala. Si prende quota dapprima dolcemente, persino
troppo, tra un saliscendi di gobbe. Poi il pendio diventa ripido, scatenando
l’istinto killer del peraltro diretùr, il quale impone un’andatura da tappone
dolomitico.
(track: The Badge, Pantera
https://open.spotify.com/track/3HO3nXKWRhvkibVvsONrle?si=HEJeIXl8RD2hFYz8QWDvPA)
Gli
incauti che cercano di resistergli arrivano in vetta parecchio provati. E con
troppo anticipo: mentre si attende il resto del gruppone, contemplando la
sagoma regale del Gran Paradiso, quel che non ha fatto la salita lo completa il
wind chill, surgelando energie ed entusiasmi. Beati gli ultimi, insomma.
Discesa dal versante nord-ovest (mi pare): neve superba in alto, poi da
“interpretare”. In basso ci attendono i traversoni della mattina, da
ripercorrere in senso inverso. L’alternativa sarebbe rimettere le pelli per
guadagnare quota. Mozione respinta, con sollievo che immagino collettivo.
Meglio i traversoni. Molti di noi già sognano doccia, leccornie e cervogia, non
necessariamente in quest’ordine. Io mi accontenterei di sfilare gli scarponi,
qualcuno deve avermi conficcato un chiodo nelle tibie.
(track: I want to go to the beach, Iggy
Pop
https://open.spotify.com/track/3Jeyxi4v6n8VakOmiG4TPf?si=fOg-zy3DSHmSGsdSbosncg)
La
Valle di Rhemes ha due, diciamo, capoluoghi: St. Georges e Notre Dame. La Val
di Gressoney, per dire, ha St. Jean e La Trinitè. Una regione devota, la
Vallèe.
Rhemes Notre Dame (fa un certo effetto, stasera, scrivere “Notre Dame”) è dove
passeremo la notte. L’Hotel Galisia, dopo la randonnée odierna, ci sembra il
Plaza. Ok, manca l’incanto del Rifugio degli Angeli: ma vuoi mettere il
disincanto di avere acqua corrente, calda per di più, e un letto con lenzuola?
A cena viene servito il tipico menu locale ammazza vegani, in quantità tali da
coprire il fabbisogno calorico di una settimana normale. Ma oggi abbiamo
bruciato, cazzo se abbiamo bruciato. Terminata la crapula, si è fatta una
certa. Il paese non offre molto, quanto a vita notturna. In alta montagna si
tende a fruire del buio in termini spenti e orizzontali. A nanna, ragazzi.
Domani ci aspetta l’Entrelor, che suona come Everest. Ma sopra di noi, il cielo
valdostano trafitto di costellazioni promette un’altra giornata colorata
d’azzurro.
(track: This Lullaby, Queens of the Stone Age https://open.spotify.com/track/2txYQHjhRTZx6ur9f15LEa?si=WrbGsiP8StOdSx7nSLftqQ)
“Suppongo che andiamo all’Everest perché – in una parola – non possiamo farne a meno”, diceva George Mallory, pragmatico come tutti gli alpinisti e concreto come un vero figlio d’Albione, “chi rifiuta l’avventura corre il rischio di inaridirsi”.
Il nostro Everest, la nostra avventura, oggi si chiama anticima dell’Entrelor (l’ho già detto, si), una sgambata di 1.700 metri di dislivello. Lasciamo il paese poco dopo le 7. Si sale, sci in spalla, attraverso un ripido bosco di conifere. Portage inevitabile, ma proficuo. Acquistiamo quota rapidamente, scaldiamo i muscoli. Fa un freddo becco. L’inverno incompiuto ha ancora in serbo qualche colpo di coda. Uno di questi ci tende l’agguato all’uscita del bosco, dove la pendenza digrada per raccordarsi con il Vallone di Entrelor, soffia un vento caimano. Ripariamo al vicino Rifugio delle Marmotte. Altro che Benevolo. Qui ci accolgono come vecchi amici e un bicchiere di tè che è un vero salvavita. Ripartiamo con il termometro che segna -10, sempre in compagnia di Eolo. La neve a quota 2200-2300 ha la consistenza del marmo. Laggiù, in fondo al vallone, un’ipotesi di sole illumina la nostra meta. Sembra lontanissima. È bellissima. Andiamo a prenderla.
(Track:
Goose Snow Cone, Aimee Mann
https://open.spotify.com/track/76BshcT59ADyckxGhwXhNc?si=M_08BSOtQCWenk5zh30yAA)
Attraversiamo il vallone mantenendo una leggera sinistra orografica, fino a un colletto pianeggiante. Qui scatta la giornata dell’orgoglio femminile: Francesca Restano guadagna la testa del gruppo, diventa capobranco e trova un passo che mette d’accordo tutti, i belli con i brutti. In breve, seguendo una traccia evidente come una pista da bob, risaliamo ripidi pendii, pieghiamo a sinistra in direzione della cresta spartiacque e poi a destra per uscire finalmente in vetta, a quota 3.397.
Il vento si è posato, l’aria è secca, energizzante, allegra. Intorno a noi, un’assemblea di giganti. Gran Paradiso, Ciarforon, Monciair, Tresenta, Bioula, Herbetet, Grivola, Gran Nomenon. Qualcuno si schermisce sdegnoso dietro nubi paffute. Se rinasco, voglio dare il nome a una montagna.
(Track:
Serenade in E major, II, Antonin Dvorak
https://open.spotify.com/track/6HGzj1FMXVBAi2AtBCbhCQ?si=_XVQsIqaRiOhTf2vIAN7XQ)
Per buona parte della discesa, il vallone di Entrelor ci regala emozioni
sopraffine. C’è gloria e polvere per tutti, o quasi. Gemiti di piacere e
barbarici “yawp!” echeggiano tra l’aspre rupi mentre ariamo coscienziosamente
il pendio. Troviamo qualche tratto di crosta, ma è poca roba, non c’è rosa
senza spina.
In basso, in compenso, la neve ha mantenuto quasi la consistenza marmorea del
mattino. Un ultimo sforzo di quadricipiti e siamo in vista del rifugio. Sono le
14, come previsto da Sergio Bandini. Diavolo di un ingegnere.
(Track: Land of 1000 dances, Wilson Pickett
Siamo
attesi da una polentata terrificante e facciamo onore al cuoco. Il rifugio
Delle Marmotte è gestito da volontari dell’Operazione Mato Grosso. Gli incassi
dei pasti e dei pernottamenti coprono le spese e l’utile va nelle casse
dell’OMG, per sostenere le attività svolte in Sudamerica a favore dei
bisognosi.
Sono ragazzi e ragazze che dedicano al rifugio il tempo libero. Scenderanno
stasera, dopo di noi. Hanno turbina idroelettrica e pannello solare per
produrre energia, usano detersivi ecologici, piatti e posate sono in materiale
compostabile.
Questa canzone è per voi, ragazzi.
(Track: Just your friends, Mink Deville
https://open.spotify.com/track/0zMmvmPBgRSDEKGyyTTeMd?si=PiTYViroT9Si1odsXaIRsA)
Scendiamo
a valle, sciando finché lo permette l’innevamento a macchie di leopardo, poi a
piedi fuori dal bosco, fino in paese. È andata. Ci aspetta il sublime piacere
di sfilare gli scarponi e la delizia di una birra ghiacciata. Brindiamo al Dio
Delle Piccole Cose, che ci ha regalato la Giornata Perfetta.
(Track: Del tempo che passa la felicità, Motta
Si avvicina “l’ora che volge il disio ai navicanti”, ora di riprendere la strada di casa. Salutarsi è un po’ più difficile del solito. O forse sono io a essere diverso, oggi. Non so. Siamo tutti piccoli battelli ebbri, in fondo, non vediamo l’ora di spezzare gli ormeggi e lasciare le rotte abituali, di quando in quando. Tenere vive e ardenti le “inutili” passioni: è l’unica cosa che ci fa vivere. La saggezza ci fa semplicemente durare.
È stato un onore e una gioia “suonare” con voi, oggi. Siete un gruppo fantastico. Grazie a tutti, ma proprio tutti. Anche quelli di cui non ricordo mai il nome. Ma tra buoni compagni di viaggio ci perdoniamo questi dettagli. Ai nomi penseremo la prossima volta.
Un grazie speciale a Francesca e Dario: sono la ragione per cui sto scrivendo queste righe, che vado a terminare, ringraziando infine chi è arrivato fin qui a leggerle. Spero di non aver tediato troppo. Apposta ho aggiunto le musiche. E questo è tutto.
(Track: Can’t find my way home, Blind Faith
“We few, we happy few, we band of brothers”.
Andrea O.
….e le foto della gita? eccole qui di seguito >>>