Il glorioso 1976 è un anno di eccellenze, innanzitutto genetliache su scala ultra locale, ma non soltanto: il Toro vince con una formazione da far tremare i polsi un glorioso scudetto, esce l’omonimo disco dei Ramones (tradizionalmente accreditati come primo gruppo punk rock), Cuba approva la Costituzione. Qui ci interessa ricordare che un ventinovenne bolognese, tal Benni Stefano, pubblica il suo romanzo d’esordio, Bar Sport, dal quale si favorisce la seguente citazione:
“Il ristorante rustico è situato spesso in aperta campagna, quasi sempre nei pressi di un canale puzzolentissimo. La sua caratteristica principale è di essere semovente. Se voi infatti scoprite un bel ristorantino rustico, ci mangiate bene e poi volete indicarlo agli amici, non otterrete altro risultato che farli girare per tutta una notte nel buio della campagna. Potete disegnare una mappa precisa al millimetro: potete imparare a memoria tutti i cartelli stradali, deviazioni, case gialle, insegne di caffè, stradine a U che portano al ristorante rustico: i vostri amici finiranno invariabilmente nell’aia di una casa di contadini, con cani ululanti che mordono il cofano della macchina e vecchiette silenziose che vi guardano arrivare come se foste una pattuglia di soldati nazisti. Il ristorante rustico, nel novanta per cento dei casi, è in una stradina non asfaltata dopo una grande curva. Ma gli abitanti del luogo, appena vi hanno visto partire, asfaltano la strada e girano la curva dall’altra parte perché non possiate tornare. Inoltre i ristoranti rustici amano saltare da una parte all’altra dei fiumi, e arrampicarsi sulle montagne. Non dite mai a un amico: conosco un posticino dove si mangia benissimo: dalla provinciale ci saranno due chilometri di salita, si fa tutta in seconda. In realtà, mentre parlate, il ristorante rustico sta già a nove chilometri dalla strada, in cima a uno strappo quasi verticale, con macigni ad altezza d’uomo, pozzanghere velenose, rami che entrano dal finestrino e cunette con in fondo un sasso che aspetta la vostra coppa dell’olio. Trattori vanno e vengono lentamente.“
Nell’epoca del navigatore satellitare, del GPS e di Google maps pare impossibile perdersi, but still…. Il nostro primo anno di corso SA1 con allievi automuniti bradi come cavallini della Giara e non inscatolati su torpedone aziendale è sorprendentemente andato meglio di quanto fosse preventivabile: non abbiamo perso seriamente nessuno – al massimo misplaced qualcuno – e le pochissime pecorelle smarrite hanno riguadagnato rapidamente l’ovile con grande efficienza, forse inizialmente distratte alla ricerca del ristorante rustico anziché del punto di partenza della gita. Fingendo di ignorare, più furbi che belli (come diceva mia nonna), che la piola SEGUE, NON PRECEDE la scialpinistica fatica.
Sentiamo un po’ qui di seguito come ce la mette giù con grande signorilità la Wonderful Allieva Valeria Bianchi, graditissima autrice della Relazione della Settimana, coercizzata in tal senso dall’Aggregato Per Eccellenza, a sua volta sniper d’occasione su mandato della Spietata Redazione.
Prima o dopo avere letto, beccatevi ben due gallerie di immagini: lo Slideshow con le foto del Fourchon e lo Slideshow del Col Serena. E ora la parola a Valeria.
Alla prossima
Eccoci giunti al termine di questo corso SA1 del 2021/2022.
La voglia di salutarsi dopo l’inverno passato insieme era talmente poca che i nostri istruttori hanno pensato di organizzare una doppia gita, un weekend intero che dilatasse nel tempo e nello spazio il piacere della condivisione di questo sport.
Ovviamente, doppia gita significa anche doppia possibilità di pasticci….ma procediamo con ordine:
Giorno uno
Il copione lo conosciamo: sveglia alle 5:00 e parte l’avventura in macchina verso la Valle d’Aosta con l’ormai noto primo obiettivo di non pagare quei dannati 28 euro di casello autostradale.
Superato questo non indifferente scoglio, le macchine in fila si avviano verso la meta della prima gita, Saint Remy en Bosses nella valle del Gran Paradiso. Tutte le macchine tranne quattro, i cui guidatori vengono tratti in inganno dalle mille strade statali valdostane fino a che, colti da una
improvvisa voglia di scavallare il confine, decidono di imboccare la strada per il traforo che porta in Svizzera perdendo così del tutto la credibilità e l’affidabilità (dopotutto, la parte del corso focalizzata su cartine e bussola è ormai un ricordo lontano). In soccorso arriva tuttavia il nostro istruttore che, dopo non poche peripezie tecnologiche, riesce a riportarci sulla retta via e a condurci sul luogo di partenza della gita. A questo punto, l’orario di inizio è oltrepassato e metà dei nostri compagni sono già partiti lungo la linea di salita…per i poveri ritardatari non resta che
iniziare a riscaldare le gambe per recuperare tutto il tempo perso (traduzione: salire ai 100 km/h lungo canalini con una media di 1 gucia ogni 20 secondi).
La giornata, contrariamente a quanto predetto dalle previsioni meteo, si apre radiosa davanti a noi e ci regala un cielo quasi del tutto terso e un clima tropical-like; oltrepassato il primo canale i pendii sono ampi e incorniciati da maestosità rocciose come la Tour de Fous che piano piano ci guidano verso la nostra meta, il Mont Fourchon (mt 2900) da cui godiamo di una vista spettacolare a 360° sul Grand Combin e su parte delle vette del massiccio del Bianco. Dopo qualche foto di rito
sulla cresta inizia la discesa che si rivela essere piuttosto un test di sopravvivenza su crosta da cui solo qualcuno esce indenne. La fine della gita si svolge sulla strada ricoperta da una sottile coltre di neve ormai umida e pesante, ma l’energia è ancora tanta perché l’obiettivo è diventato la birretta finale defaticante. In occasione del week end però, la promozione diventa birra + ultima lezione teorica, ma tutti la accogliamo di buon grado in quanto occasione per stare insieme e
comprendere i dettagli della pianificazione delle gite che faremo in futuro.
Dopo la prima avventura, possiamo finalmente rilassarci al rifugio Marietty a suon di mani di briscola, vino rosso e gnocchi al ragù; la gestione del posto è familiare e qualcuno cerca di corrompere invano l’innocente nipotino del gestore per avere una seconda porzione di pollo.
Dopo la mangiata, tutti ci rintaniamo nelle nostre camere per poter finalmente assaporare un vero sonno ristoratore.
Giorno due
Sveglia alle 7 già sul luogo, attrezzatura pronta dalla sera prima, timido sole all’orizzonte: i presupposti per un inizio giornata con i fiocchi c’erano tutti. Il gruppo coeso parte per raggiungere la località di Crevacol, punto di partenza della gita a Col Serena annoverata tra i classiconi CAI. Le
costellazioni si allineano per la prima ed ultima volta e tutti arriviamo in orario e nel giusto punto di ritrovo. L’esposizione a Nord e il solo moderato dislivello in salita rendono questa gita adatta a tutti noi che abbiamo le gambe un po’ provate ma il morale alto, talmente alto che la maggior parte del gruppo intraprende una breve ma gratificante ripellata. Alcuni invece rimangono sul colle a condividere storie di montagna e di vita perché alla fine, lo abbiamo capito, lo sci alpinismo
è fatto dalle persone con cui scegli di condividerlo. La discesa è inaspettatamente piacevole, la neve è umida ma si lascia sciare come se fosse burro. Arriviamo infine alle macchine, stanchi ma parimenti rigenerati e pronti a ricominciare con questa carica la settimana.
Di sicuro invece non siamo preparati a non vederci più nei prossimi weekend, ma fortunatamente entra in gioco qualcuno che propone una bella cena collettiva che viene accolta con forse più entusiasmo che le gite stesse…
Grazie a tutti, alla prossima pellata insieme!