Dannazione! Follia! Mai abbassare la guardia, mai rilassarsi!
E’ bastato un attimo di distrazione, complici Bacco ed una serena sazietà, ed ecco che ti ritrovi incastrato.
Anni di abili sotterfugi e pietose sceneggiate gettati al vento. Quando ormai ti sentivi al sicuro, ecco che il destino si compie, il Maelstrom ti inghiotte!
Con un inaspettato e plateale colpo di mano, il Diretur ti affibbia l’incarico più temuto: la relazione di fine gita.
D’altra parte, come hai potuto anche solo aver avuto l’ardire di pensare di fargliela sotto il naso?
Relatori ben più degni del sottoscritto hanno già in queste pagine descritto la mirabile potenza del raggio della morte del Diretur. Diavolo di un uomo!
E’ quindi con rassegnazione ed umiltà che proverò a redigere qualche riga a memoria dell’ultima gita del corso di sci-alpinismo del CAI-UGET 2019.
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Notte fonda, appuntamenti a orari improbabili in luoghi ancor meno probabili sono ormai cosa trita e ritrita.
A questo giro niente bus. Che diamine, siamo figli del XX secolo, l’impero dell’automobile!
Raccattate masserizie e stanche ossa, proprie e degli amici e compagni, ci si avvia lungo buie statali verso Pian della Mussa, punto di ritrovo designato.
Le prime luci non illuminano uno straccio di bar aperto lungo la strada. Peggio per loro.
Al piazzale tira un vento siberiano. Aprire la portiera e scendere mi pare una pessima idea, ma tant’è.
Al riparo di un muretto pescato da una zona di guerra, uno sparuto gruppetto di istruttori e allievi confabula.
Li osservo: questa è gente tosta, che le rocce le sbriciola passandogli attraverso, mica le aggira. Roba da tana delle tigri, per chi ha presente.
Dopo circa trenta secondi di permanenza all’esterno sono colto da un certo pessimismo. In effetti, passa qualche minuto e giunge la decisione di scendere verso Balme alla ricerca di condizioni più agevoli.
Ripenso con piacere alle lezioni in cui si è detto quanto sia saggio saper rinunciare quando non è cosa.
Ecco.
Non è cosa.
Tornare a dormire non sarà certo disonorevole. Noi ci si è provato.
Purtroppo (ehm…) pare che la nuova località (frazione Cornetti) sia al momento più adatta allo sci-alpinismo, oltre che alla vita umana in genere.
Sci a spalle, scarponi attaccati in qualche modo, trolley, pollame e via, per un’oretta di portage che ci porta ad un migliaio di metri dalla destinazione, il colle sotto la cima degli Ortetti. Si calzano sci e coltelli.
Per tutelare la privacy dell’istruttore capo del mio gruppo, gli verrà assegnato un nome di fantasia: Vittorio Barella. Sapendo di poter contare sulla straordinaria condizione atletica dei suoi allievi, oltre che su di una loro naturale predisposizione alla fatica ed infine su una tecnica sopraffina, Vittorio impone fin da subito un ritmo indiavolato. Ci si fa beffe del ripido pendio aggredendolo nei punti più ardui ed uscendone con leggerezza. E’ una danza di punti e virgola e di rapide accelerazioni nel candore delle nevi, quella che ci conduce ad uno stretto canalone, dove il gioco si fa duro, e la neve sfasciosa. Divorato l’ostacolo come un dolce babà, solo un lungo piano inclinato (muro insormontabile è una definizione troppo forte?) ci separa dalla meta.
Graziosi animaletti spuntano tra le nevi lungo l’ascesa e si chiedono:
– Chi sono questi tizi? Forse una nuova specie di ungulati, che nelle loro mute variopinte salgono veloci verso le cime per la stagione degli amori?
– No, piccolo amico peloso. Essi sono sci-alpinisti. Salgono perché fa bene all’apparato cardio-respiratorio, perché amano la bellezza delle vedute e perché adorano scivolare veloci in discesa. Alcuni cercano la sfida, altri la pace, in generale sono degli squilibrati, insomma. La colorazione vivace serve ai commercianti per vendergli l’attrezzatura a caro prezzo.
-Aaah, ok. Fico! Addio, addio!
Salutato Pikachu, capisco che è il caso di rallentare un pelo per consentire un maggior afflusso di ossigeno verso il sistema nervoso centrale.
Ma ecco che vedo il Diretur di vedetta, ecco che compare il gruppo di amici. E’ fatta! Non siamo sulla cima, ma più o meno al colle sottostante (quota 2900, tricabranca…) Va bene così. La vista spazia, la temperatura non è troppo bassa, il vento non eccessivo. Delle pessime condizioni viste poche ore prima e pochi chilometri più in là, non resta che il ricordo.
La discesa è piuttosto divertente. Neve strana, ma non traditrice. Avesse mollato ancora un po’, chissà… Io una bella bella dieci minuti di riposo in più me la sarei fatta, ma le decisioni della scuola rispettano un superiore piano infallibile, la sicurezza prima di tutto.
I tradizionali banchetti finali sono ormai sfacciati. Si sta prendendo l’abitudine di andare nei ristoranti a mangiare le cibarie che ci siamo portati da casa. Fantastico! Il prossimo passo sarà di calare sui villaggi per metterli a ferro e fuoco.
Ma tutto questo il vostro relatore lo leggerà sui giornali l’anno prossimo. Già, perché il corso 2019 è terminato, e per me e qualche altro/a è stato il fatidico terzo anno, l’ultimo possibile.
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Tutto iniziò sotto una romantica nevicata nel bosco di Pragelato…
Stop! Vi risparmierò struggenti commiati, ma voglio sinceramente ringraziare maestre e maestri che nelle decine di giornate trascorse insieme ci hanno regalato la loro pazienza e soprattutto il loro tempo. Mica è roba che si compra al supermercato.
Certo, è chiaro che con campioni del nostro calibro la soddisfazione deve poi essere notevole!
A presto. Riccardo
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