Il ritrovo di domenica 19 gennaio è alle ore 6.15 al parcheggio di Piazzale Dazio all’incrocio fra Corso Vercelli e Corso Giulio Cesare a Torino, dietro il Mc. Donald’s.
Si può entrare da entrambi i corsi: https://goo.gl/maps/PYMn1Ri7bTCNYtiw7
Il ritrovo di domenica 19 gennaio è alle ore 6.15 al parcheggio di Piazzale Dazio all’incrocio fra Corso Vercelli e Corso Giulio Cesare a Torino, dietro il Mc. Donald’s.
Si può entrare da entrambi i corsi: https://goo.gl/maps/PYMn1Ri7bTCNYtiw7
Con l’aprirsi del 2025, è partito puntuale il nuovo corso di SSA.1 con prima di tutto la tanto temuta prova in pista. Come è oramai tradizione si è svolta in quel di Gressoney – Staffal e ha visto 46 allievi sperimentarsi (chi alle prime armi e chi già con qualche esperienza) in risalite di piste, inversioni (con rispettive gioie e dolori) e discese in pista.
In conseguenza di alcuni incidenti tecnici (e dell’assenza del nostro immancabile Cavour – che oramai sempre più spesso si fa desiderare all’inizio stagione) ci troviamo per questa volta a non poter rievocare la giornata attraverso le parole, le ansie e le soddisfazioni dei principali partecipanti: gli allievi e le allieve.
Confidando che già dalla prossima uscita risolveremo il problema tecnico, auguriamo a tutti un buon inizio stagione!
Appuntamento ore 6.45 al parcheggio di corso IV Novembre a Rivoli
L’iscrizione ai corsi di scialpinismo è stata posticipata alle ore 21:00 del 5 dicembre 2024
La serata di presentazione è invece confermata per il 4 dicembre 2024 ore 21 – Parco della Tesoriera
Per maggiori informazioni si rimanda alla pagina pre-iscrizioni
Siamo pronti per presentarvi i nuovi corsi 2025
Vi aspettiamo numerosi!
Pre-iscrizioni, Per i corsi 2025 si rimanda alla voce
PRE-ISCRIZIONI
(sulla barra in alto orizzontale nera)
Oltre alle foglie per terra e ai colori autunnali, c’è un altro evento che segna l’arrivo dell’autunno, l’aggiornamento su roccia!
Con il consueto bel tempo che caratterizza e contraddistingue questo appuntamento (e chissà poi perché deve essere così?!) i nostri istruttori si sono trovati tra l’umido e le nebbie per fare un ripasso di nodi, manovre e per fare qualche tiro in compagnia!
Chi più e chi meno entusiasta 😉
Quest’anno Luca e Luca hanno guidato la formazione.
Ecco qui le foto
12 maggio 2024
Ultima gita del corso SA2. Si deve finire in bellezza, assolutamente un 4.000, non un metro di meno!
La scelta del team istruttori ricade in Valtournanche, sopra Cervinia: il Breithorn.
Le previsioni sono discrete, la famigerata “finestra” c’è e sembra essere bella spalancata.
Il rendez vous è stato scelto con estrema cura, come d’altronde ogni altro dettaglio della gita. Parcheggio
molto comodo per il rientro e abbastanza vicino alla partenza della funivia (unica possibilità per fare un
breve “portage” in questa stagione di abbondante neve) e rigorosamente non a pagamento, così da
dedicare la somma risparmiata alle lattine di birra da scolare al rientro.
Al parcheggio giungono due gruppi: i reduci della giornata campale del 11 maggio, 1.800 mt di dislivello per
oltre 23 km di percorso intorno al Breithorn e il gruppo di allievi proveniente da Torino costretto alla
consueta levataccia.
Grazie al sacrificio della Direttrice Sara, che si è appostata davanti alle biglietterie, molto prima
dell’apertura degli impianti, entriamo in possesso dei biglietti in tempi record e possiamo salire subito sulle
funivie. Scendiamo quasi tutti a Cime Bianche a quota 2.814 mt, mentre un piccolo gruppo preferisce “un
aiutino” proseguendo per Plateau Rosà. L’idea è di riuscire a ricongiungerci prima della cima.
Ci incamminiamo sul pendio, tra una pista da sci e l’altra, verso Testa Grigia. Intravediamo i primi seracchi
sopra e di fianco a noi. E’ l’unico indizio per capire che ormai siamo sul ghiacciaio. L’enorme spessore di
neve di quest’anno non ci ha permesso di individuare dove fosse iniziata la lingua di ghiaccio.
Raggiungiamo in circa un’ora e mezza Testa Grigia e Plateau Rosà. Ricompattiamo il gruppo e ammiriamo
l’immenso panorama di ghiaccio che ci circonda. Ci incamminiamo sul grande falsopiano del Ghiacciaio del
Ventina in direzione della nostra meta: il Braithorn.
Arriviamo a scorgere la cima Occidentale e la cima Centrale. Pensiamo: sembra facile, siamo quasi arrivati!
Continuiamo ad avvicinarci tenendo la destra per puntare al colle posto tra la cima Occidentale e la cima
Centrale. Incominciamo ad intravedere le persone che si stanno arrampicando sui pendii. Accidenti sono
troppo piccole, sono lontanissime! Altro che facile e quasi arrivati. Il Braithorn è enorme, è altissimo, è
lontanissimo. Inizia la salita al colle, il pendio si fa più ripido. L’aria diventa “sottile”; ci stiamo avvicinando
ai 4.000 e si sente. Non c’è barretta, gel, o bevanda che smorzi la fatica. Non c’è modo di saziare i polmoni,
l’aria che entra non basta mai. Bisogna rallentare il passo, non guardare continuamente quanto manca e
ignorare le vocine che ti dicono “Basta! Torna in dietro, è ora di scendere!”. Non c’è allenamento che ti
prepara all’altitudine. Solo la forza di volontà e la voglia di arrivare in cima ti fanno proseguire.
Arriviamo finalmente al colle in 4 ore dalla partenza, 4.100mt. Ci aspetta alla nostra destra la cima Centrale
4.159 mt, raggiungibile percorrendo una bella e facile cresta di neve da affrontare con ramponi e piccozza.
La percorriamo in una ventina di minuti. Che spettacolo! Circondati a 360 gradi da montagne e ghiacciai. E
le nuvole: così diverse dal solito! Siamo abituati a vederle dal basso grigie e piatte. Ma da lassù, le vediamo
illuminate dal sole, bianche e paffute, come meringhe e panna montata.
Non c’è tempo da perdere in troppe contemplazioni. L’umidità dell’aria sta aumentando e il tempo sembra
peggiorare. Ritorniamo al colle, posizioniamo gli sci sullo zaino e ci incamminiamo sulla cresta, più ripida e
aerea della precedente, che porta in circa 40 minuti alla cima Occidentale del Breithorn, 4.164mt,
formalmente è il nostro secondo 4.000 della giornata.
Qui possiamo rilassarci, ormai ci attende solo la discesa.
Enzo ci indica e elenca i nomi di tutte le cime che ci circondano.: Dufour, Gnifetti, Corno Nero, Liskamm,
Castore, Polluce, sono quelle che sono riuscito a ricordare. Il Cervino è restato nascosto dietro le nuvole
per tutto il giorno, che timidone!
Infiliamo gli sci e iniziamo la discesa sul fianco della Cima Occidentale. Neve difficile, pesante e con solchi di
precedenti tracce ghiacciati. Ce la caviamo nonostante la fatica e le gambe come “tronchetti della felicità”.
In 40 minuti raggiungiamo le piste da sci. La discesa diventa meravigliosa perché prosegue sulle piste
perfettamente innevate, lisce e battute, fino a Cervinia. Ci togliamo gli sci e approntiamo il rituale
banchetto post gita, come sempre sull’asfalto del parcheggio, divorando tutto in pochi minuti.
Si, il corso SA2 è proprio finito in bellezza: grande gita, ghiacciai, cime meravigliose, e due 4.000!.
Ringrazio con affetto tutti gli istruttori che hanno condiviso con noi il loro amore e rispetto per la
montagna.
Ringrazio tutti gli allievi, compagni e amici, di questo meraviglioso corso SA2, “il migliore degli ultimi 35 anni”()!
Ciao a tutti e arrivederci sulle prossime cime!
L’allievo senior Giovanni Bertolaja
() così ci ha definito Enzo nel discorso di fine corso … chissà che non lo dica sempre ad ogni conclusione di
corso … …chissà ?
Santa Caterina Valfurva, SO.
“Chi più in alto sale, più lontano vede; chi più lontano vede, più a lungo sogna.”
Ad inizio anno effettuando l’iscrizione al famigerato corso di sci alpinismo avanzato sicuramente
i quattro giorni consecutivi, durante il ponte del 25 aprile, hanno influenzato le nostre scelte in
modo preponderante caricandolo di grande aspettativa e curiosità.
Ed eccoci in un batter d’occhio, a fine aprile, a preparare lo zaino per quattro giorni di sci
alpinismo in Valfurva.
Dai bollettini metereologici non ci aspettano grandi giornate, per cui decidiamo di sfruttare la
finestra di sole che dovrebbe regalarci il primo giorno svegliandoci alle 3 del mattino, ormai pare
essere diventato un gioco svegliarsi sempre prima.
Così, dopo 4 ore di sonno, ci ritroviamo alle 4 del mattino al solito ritrovo in Corso Giulio Cesare,
fortunatamente gli equipaggi sono già stati fatti e in poco tempo siamo in macchina sognando
cosa ci aspetterà.
Da programma ci sarebbe una cima non troppo impegnativa lasciando tutto il materiale
necessario per le notti in rifugio in macchina, per poi riprenderlo finita la gita. Inaspettatamente,
giunti al parcheggio dei Forni, ci aspetta una giornata tanto soleggiata quanto fredda e così
sotto il consiglio di Francesco Berta e Giulia Campagnoni, con cui avremo la fortuna di
condividere la vetta, viene deciso di cambiare programma e puntare a Cima di Pejo 3549m.
Galvanizzati ed entusiasti partiamo in direzione Cima di Pejo, lungo la strada lasciamo ciò che
ci servirà per i giorni in rifugio alleggerendo i nostri zaini di parecchio e tra un’inversione, un
seracco e un canalino da risalire arriviamo alla vetta. In poco più di 7 ore facciamo da 2139m a
3549m, non male come primo giorno. La vetta e il cielo limpido ci regalano un panorama
mozzafiato, ma la farina che troviamo scendendo è un’emozione unica capace di trasformarci in
pittori che con delicatezza e felicità si divertono a pennellare curve degne di essere
fotografate.
Arrivati al Rifugio Branca ci sistemiamo nelle stanze aspettando con ansia la cena tra una birra
e quattro chiacchere. Con un po’ di incertezza, rispetto al giorno che verrà, andiamo a dormire.
La sveglia suona alle 5:30. Guardiamo fuori e il meteo sembra essere dalla nostra parte.
Colazione e si parte in direzione Palon de la Mare 3703m, il gruppo di testa deve aver fatto il
pieno di energie perché in poco meno di 3h e 30 ci ritroviamo in vetta. Il sole che ci ha
accompagnati per tutto il percorso, arrivati alla cima, però, lascia il posto a nebbia e vento che
non ci permettono di ammirare vette future. Pochi minuti per cambiarsi e spellare molto
velocemente ed eccoci a dimenticare in un batti baleno il freddo e stampare sui nostri volti e nei
nostri sguardi lo stupore e la felicità di sci alpinisti tornati bambini, grazie alla farina che troviamo
scendendo.
Al nostro arrivo al rifugio ci accoglie, quella che nei giorni diventerà la stanza degli odori o degli
orrori, la ski room dall’odore inconfondibile delle fatiche e del sudore di sci alpinisti felici.
Il pomeriggio ci regala momenti di condivisione, tra una birretta e partite di Uno-Solo che
renderanno il gruppo sempre più unito e il clima in rifugio inebriante di risate e battute.
Il Rifugio Branca non perde un colpo e ad ogni cena ci regala pietanze sempre più buone, ma
quando avremo la possibilità di assaggiare quel fantastico piatto di pizzoccheri che qualche ora
prima ci passò davanti?
Il meteo per il giorno seguente sembra peggiorare, ma ormai confidiamo nella finestra di bel
tempo che ci ha assistito. Finestra prevista tra le 10 e le 12. Sveglia alle 5:30 e alle 7 pronti a
partire, direzione Cima San Matteo. Il meteo non è dalla nostra, nella notte è sceso qualche
centimetro di neve ricoprendo la traccia di risalita ed ad ogni metro di altitudine guadagnato la
nebbia diventa sempre più fitta fin quando, dopo 500m, non riusciamo più a distinguere la neve
dal cielo. La finestra si è decisamente chiusa senza grandi velleità di cambiamento.
Ci fermiamo ed inizia un tempo di valutazione ed attesa per decidere se continuare o rientrare.
Si decide di spellare e magari provare a salire sulla Cima Branca, dove, a quanto sembra,
dovrebbe essersi aperto un piccolo spiraglio di luce. La montagna ci insegna così ad essere
umili ed avere il rispetto di lei, a non crederci capaci di essere invincibili, ma anzi ad usare il
cervello con saggezza per saperci sempre divertire in sicurezza. Non ci lasciamo abbattere,
arrivati al rifugio rimettiamo le pelli e via verso Cima Branca 3000m. Salendo, però, la voce
inizia a girare e l’ora di pranzo ad avvicinarsi. Ci meritiamo un buon piatto di pizzoccheri al
rientro. Le aspettative erano tante, ma il gusto ancor di più. Poco tempo per rilassarsi e poi tutti
fuori a vedere e provar a fare i paranchi per imparare a recupere un compagno in caso di
caduta in un crepaccio.
Si conclude così una giornata all’insegna dell’apprendimento, della valutazione e della sicurezza
aspetti che contraddistinguono, da sempre, ogni corso di sci alpinismo della Scuola del Cai
Uget.
Si sa, quando si ci diverte il tempo vola, e senza rendercene conto siamo arrivati all’ultima
giornata. Le previsioni non danno speranza e ormai la finestra di bel tempo pare,
inesorabilmente, allontanarsi, concedendoci 30min di sonno in più.
Ci prepariamo e pronti a partire con destinazione Cima San Giacomo. Nevica e la nebbia è
decisamente fitta, ma noi abbiamo Francesco Berta a farci da guida che con serenità e
tranquillità, un’inversione dopo l’altra, ci porta fino al colle sotto la vetta.
Quello che più mi colpisce è la naturalezza, la confidenza e la sicurezza che Francesco ha con
le sue montagne tanto da riconoscerne i pendii, le curve e le rocce senza veder nulla
regalandoci una discesa in neve fresca spettacolare.
Riassumendo in poche parole questi quattro giorni vorrei usare le parole del grande Walter
Bonatti “Chi più in alto sale, più lontano vede; chi più lontano vede, più a lungo sogna.”
Questi giorni così pieni di condivisione e bellezza ci aprono a nuovi obiettivi e vette. Le grandi
aspettative che avevamo per questo tempo sono state superate di gran lunga riconoscendo nei
compagni di cordata e nella scuola grandi amicizie e competenze.
Semplicemente Grazie a tutti!
Agnese Amoretti
Giorno 1
Giorno 2
Giorno 3+4
Gita di due giorni in Val Formazza 13-14 aprile SA2
Sabato, la sveglia suona alle 4.00 tra un mix di eccitazione ed irritazione colazione e via al ritrovo.
Formate le macchine ci aspe<ano 2.30 h di viaggio per raggiungere Riale, in val formazza.
Sci ai piedi per le 8.30 e si parte in direzione del rifugio Maria Luisa, gli zaini sono molto più grandi e pesanti del solito: ci portiamo dietro il solito kit artva pala, sonda e rampant ma da bravi allievi dell’sa2 non possono mancare imbrago, cordini, ramponi e corde.
400 metri di dislivello e scarichiamo una piccola parte di zaino al rifugio, non ci possiamo beare troppo dello scenario pi<oresco perché giusto il tempo di riorganizzarsi e si riparte.
Il sole è alto ma non ci facciamo scoraggiare, per arrivare a punta di Valrossa ci aspe<ano altri 800 metri di dislivello.
Mentre saliamo possiamo osservare le numerose valanghe a pera dei giorni precedenti come anche la ormai immancabile sabbia rosa.
Più si sale più il caldo diventa insistente, gli atleti iniziano a cedere, neanche delle discutibili tecniche di rimorchio riescono a tirarci su di morale e di energia. Poi arriva un grido, tipo scena finale del signore degli anelli “arrivano le aquile”, si sente invece “qua c’è un po’ più di aria”, allora non ci si arrende pian pianino si riparte e finalmente si arriva in cima.
La visita ripaga, ma il vento dura poco e allora si riscende.
La neve è pesante ma sciabile, quindi un paio di belle curve riusciamo a farle, mentre ci avviciniamo al rifugio la qualità della neve peggiora ma l’idea delle birre<e ci rincuora.
Corsa alle sdraio e abbiamo un’ore<a di relax, prima di dividerci in 3 gruppi per fare esercitazioni.
Un gruppo, so<o la guida del saggio Alberto, si dedica alla stratigrafia, per farlo ovviamente prima bisogna spalare e i nostri baldi giovani non si fanno pregare. Osserviamo gli strati nevosi e notiamo che ci sono ben poche differenze passando dal suolo alla superficie, ad eccezione di 2 strati a circa 30 cm dalla superficie facilmente riconoscibile per il colore rosso della sabbia del saarah. Successivamente si passa alla misura della temperatura e notiamo un isoterma quasi perfe<o ( chiedere ad Alberto per approfondimenti). Infine si valuta la durezza delle neve: morbido in superficie, leggermente più duro all’ aumentare della profondità e a<enzione a<enzione a 50 cm del suolo troviamo un altro strato morbido che ha generato un gran stupore generale.
Una delle altre due esercitazioni invece ci vedeva impiegati nella ricerca dell’artva a più di due metri di profondità, finalmente abbiamo potuto esercitarci con profondità maggiori dai soliti 30/40 cm. Sicuramente la ricerca ed il sondaggio può risultare più complicata anche per i più esperti. Un plauso alla nostra dire<rice per il gesto atletico nel seppellimento dell’artva.
L’ultima esercitazione me<eva alla prova la nostra abilità nel riconoscere una persona rispe<o ad altro durante il sondaggio, sicuramente i due Luca hanno apprezzato essere infilzati da 15 allievi.
Finalmente entriamo in rifugio, anche dentro molto accogliente, e tra un lavaggio di piedi e un cambio di outfit, siamo pronti ahimè non a mangiare, bensì a riescercitarci con i vari nodi. si nota subito la differenza tra chi è più esperto e meno, ed anche la fame non aiuta ad applicarsi. E poi il gestore ha pronunciato le parole che più aspe<avamo “è pronta la cena”. Lasagne, riso<i, cotechini e tomini; la cena è deliziosa e i bis non si fanno a<endere.
Stranamente scarseggiano gli alcolici, forse perché ci era stato appena comunicato che la sveglia dell’indomani sarebbe stata di nuovo alle 4.00. E quindi ci si riprepara lo zaino, si rime<ono le pelli e ci si prepara per la no<e, chi su un comodo materasso e chi su un comodo corridoio.
Domenica
Neanche 5 ore e ci ritroviamo a tavola. Le parole scarseggiano e anche i bis. Ma c’era veramente la torta al cioccolato?
5.30 usciamo dal rifugio con sci ai piedi ed anche questa volta lo scenario ripaga la sveglia: cielo stellato, i piccoli gruppi si dividono e partono facendo luce nella no<e.
Arriviamo alle prime luci dell’alba all’a<acco del canale. La neve è croccante, nella no<e qualcosa ha rigelato nonostante la temperatura relativamente alta (confermando leziona della sera precedente), quindi rampant ai piedi e si inizia la salita.
Un’inversione tira l’altra ed arriviamo al colle, altezza 2700 metri circa. Da qui in poi inizia la parte tecnica della gita.
Superato un ostico traverso sul ripido pendio ci troviamo ai piedi del ghiacciaio, solo una discesina con crepaccio terminale ci separano da esso, condita da qualche rimprovero su dove rime<ere gli sci.
È il momento di me<ere all’opera la nostra preparazione sui nodi, in scioltezza e in neanche un’ora siamo cordati e pronti a ripartire. Affrontiamo il ghiacciaio un’inversione dopo un’altra, inizia ad arrivare il caldo e le energie calano. Ma sembra manchi ancora molto alla
cima, in realtà ai piedi dell’ultimo pendio ci liberiamo dai pesanti compagni di cordata e siamo pronti a fare le ultime bollenti inversioni prima di lasciare gli sci.
Bisogna tirare fuori picca e ramponi, dimostrando che tu<a l’a<rezzatura nello zaino avesse un senso. Incalziamo la cresta con grinta, la visuale dalla ve<a ci aspe<a, ma senza la corda fissata dagli istru<ori, non si sa in quanti l’avrebbero raggiunta, incluso l sa2 di Lecco.
È ora di scendere, non per Luca e Davide che si sono affezionati alla cima, la discesa sul ghiaccio è veramente bella (abbiamo finito gli agge<ivi), scendiamo allegri e pimpanti, fino al momento di rime<ere le pelli. cambiamo asse<o per riaffrontare il traverso della ma<inata, manteniamo bene le distanze per non irritare troppo la montagna al nostro passaggio.
Il canale in discesa ci regala emozioni, gli sci scorrono so<o i piedi ed arriviamo in un ba<ibaleno al pane<one che ci riporta al rifugio. E qua è ora di spingere. Ma di nuovo il pensiero delle birre e delle sdraio non ci fa mollare.
Il weekend sta volgendo al termine, è ora di tornare al parcheggio, la neve nell’ultimo pezzo è “leggermente” pesante. La paura di perdere le ginocchia è tanta, ed a parte qualche intrepido sciatore si procede con cautela.
Si arriva al parcheggio e finalmente si tolgono gli scarponi, ci guardiamo in faccia e capiamo che oltre a fare pratica con i nodi, in vista della gita da 4 giorni, dovremmo esercitarci anche a me<ere la crema solare
Ah la meta di oggi era cima Basodino 3200 mt slm, avremmo altre cose da aggiungere ma siamo arrivati a Torino.
Federica, con la scarsa collaborazione dei compagni di macchina (Davide Alberto e Guglielmo)
VALLI DI LANZO, DAL PIAN DELLA MUSSA
Molto soffrì nel glorioso acquisto
Questo verso continua a venirmi in mente, come i ritornelli dei tormentoni estivi che ti entrano in
testa, mentre con i ramponi salgo un canalino ripido e stretto, zaino e sci in spalla.
Credo che qualche sinapsi colleghi la situazione al bellissimo tema recentemente assegnato a mio
figlio: il confronto tra il proemio dell’Orlando Furioso e quello della Gerusalemme Liberata.
Li ripropongo, come invito alla lettura, e come omaggio ad una docente, che – con un coraggio che
rasenta la temerarietà – ha propinato a teenager fruitori compulsivi di TIK TOK e Instagram
argomenti lontani anni luce dalla loro quotidianità.
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto
Canto l’arme pietose, e ’l Capitano
Che ’l gran sepolcro liberò di Cristo.
Molto egli oprò col senno e con la mano;
Molto soffrì nel glorioso acquisto:
I primi versi preannunciano già moltissimo dei poemi: gli infiniti intrecci che l’Ariosto si prepara a
dipanare (oggi farebbe lo sceneggiatore di fiction); la precisione del Tasso, che subito punta un
faro sul suo condottiero, Goffredo di Buglione; l’ossimoro “armi pietose”, con la “pietas” che è
quella di Enea, e non c’entra nulla con la pietà che faccio io quando arranco in salita o discesa.
Come sarebbe bello dedicarci oggi a questi temi, ora che abbiamo letto di più, abbiamo più
strumenti per capire, siamo più maturi.
Nota a margine: tengo a precisare che in ambito scientifico, di tutti gli studi fatti, ricordo, oltre alle
tabelline, solo (a + b) 2 , che – senza avere la più pallida idea del perché – credo faccia a 2 + 2ab + b 2 .
Ore di lezione spazzate via, come lacrime nella pioggia. Ho una memoria selettiva.
Lo so, l’ho presa alla larga.
Ero partito bene, entrando in medias res, ma poi ho divagato. Avrei potuto iniziare dalla sveglia,
che ha suonato alle 04.20. Dal ritrovo a Venaria. Dalla risalita sui tornanti della valle buia, con Riky
che – sognando una sosta caffè (invano, sono le 06.30) – guida come un pilota di Formula 1.
Meta Balme. Solo perché ci sono le condizioni di neve migliori di tutto l’arco alpino. Anche se
qualcuno ha accennato alla lobby degli istruttori della Val di Lanzo, potente come la corrente
andreottiana della DC anni ’80. Non è vero, è la solita macchina del fango, Kia è di Torino, ed ha
subito detto sì. Omettiamo il fatto che Kia è la donna che dice sempre sì (alle gite).
Oggi è la prima uscita dell’SSA2, il corso avanzato. Che differenza con la prima dell’SSA1. Allora il
pullman, tanti neofiti, una festosa confusione, condita di un po’ di imbarazzo. Qui tutti pronti,
determinati. Il solito drastico crollo della presenza femminile.
Prima di calzare gli sci, Luca ci descrive la gita. Quando pronuncia “canalino” e spiega “è una gita
un po’ particolare” abbiamo già capito come andrà. La prima mezz’oretta – risalendo la stradina,
con dolce pendenza – non ci illude. Presto l’abbandoniamo, e ci raduniamo alla base del canalino.
Qualche inversione, e poi tocca ai ramponi.
Salgo, lentamente. Alcuni culi sopra di me; alcune facce stravolte quasi come la mia, sotto di me.
Lontano, i gruppi di testa, che non si faranno mai raggiungere, neppure quando usciremo dal
canalino, leveremo i raponi, rimetteremo gli sci ai piedi.
Ma li avete odiati anche voi quelli che quando arrivi trafelato, ripartono riposati? Manco fosse una
staffetta. Ma aspetta, facciamo quattro chiacchiere!
Prima che mi scappi, ho giusto il tempo di fare – per la millesima volta, la millesima gita – la solita
battuta a Vitto: “Che bello fare le gite insieme… domani, controlla i necrologi della Stampa, mi
raccomando! Così vedi se sono rientrato o no”.
Il tempo è nuvoloso. Saliamo su pendii con chiazze gialle: è la sabbia del Sahara. Chissà se qualche
migrante capitato in Val di Lanzo si è avventurato sulla neve, cosa ha pensato davanti a quella
sabbia che ha fatto la sua strada, con meno fatica. Se gli è cresciuta la nostalgia di casa.
La Rossa di Sea è sopra di noi. In cima l’altimetro si fermerà a 1.420 metri di dislivello. I primi
gruppi sono qui da mezz’ora; il tempo di accasciarmi, e arriva l’ordine per la discesa. La feroce
staffetta di cui sopra.
La neve solo a tratti dà qualche soddisfazione: è pesante, con ondulazioni infide; per lo più sembra
di sciare sulla polenta. Ma il bello, lo sappiamo, arriverà al canalino. Lì la scelta sarà tra il derapare
prudente o lo scendere con gli sci in mano.
Ultimo tratto sulla stradina, verso le auto, le cibarie, con meritata sosta supplementare a
Martassina, birra e merenda sinoira.
Siamo tutti contenti di essere qui, dopo arduo cimento, dopo aver molto sofferto nel glorioso
acquisto della vetta. Ci sarebbe da chiedersi: perché? Me lo chiedo ancora, dopo quasi 40 anni di
sci alpinismo; cosa ci rende felici della fatica, a volte neanche ripagata dalle condizioni favorevoli?
Forse un’originale spiegazione me l’ha fornita un podcast del Post, “Tienimi Bordone”, che mi
sento di consigliare sentitamente (questo, e gli altri podcast del Post https://www.ilpost.it/).
L’autore, Matteo Bordone (che spazia giornalmente da attualità a musica, libri, chi più ne ha ne
metta), ha fatto una recente puntata sui parassiti.
Orbene, ho scoperto che il Cordyceps è un fungo parassita che infetta insetti come formiche e altri
invertebrati. Le spore del fungo spingono gli insetti a comportamenti non convenzionali,
assumendo apparentemente il loro controllo motorio e mentale, riducendoli ad una condizione
che in qualcuno ha evocato il parallelo con gli zombie. Quando il Cordyceps raggiunge l’organismo
di un ragno, un coleottero, una formica, lo porta a camminare molto, ad allontanarsi dal luogo in
cui si trova e poi a salire, su di un albero, un arbusto. Tutto questo è funzionale al fatto che poi
l’animale muore, ed il luogo elevato agisce come un trampolino di lancio, perché dal cadavere
nasceranno dei funghi e le spore, sospinte dal vento, si diffonderanno.
Ecco, sarebbe interessante capire se gli sci alpinisti sono portatori (sani) del Cordyceps. Nel caso, in
quelli dell’SSA2 la manifestazione è cronica.
Cavùr