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USCITA 2 DEL18/02/18 – COL SERENA

La parte più dura della gita è sempre stata per me la sveglia!

È la promessa della giornata in montagna che mi dà l’energia per iniziare… insieme alla garanzia di un sonnellino sul comodo pullman della scuola.

Quando, sul pullman, sono stata svegliata dalla successiva promessa della gita al Col Serena, sento la svolta! La gita al Col Serena è proprio una bella gita, che mi ha sempre lasciato un ricordo luminoso e, per l’appunto, “sereno”.

Da Aosta, verso il Gran San Bernardo, si arriva al grande piazzale di Crevacol dove i due pullman posteggiano comodamente.

Il cielo è incredibilmente terso, l’anfiteatro bianco del fondovalle è stupefacente.

La gita si snoda attraverso paesaggi e pendenze che cambiano, con un lungo spostamento iniziale a fianco del bosco, sbalzi di salita che raggiungono gli alpeggi, ancora passaggi in falsopiano e poi pendenze più ripide. Uno straterello di neve fresca, caduta da poco, ci fa ben sopportare la salita e allegramente pregustare la discesa.

Gli allievi di quest’anno sono in gamba, salgono veloci e regolari con i loro gruppi, chiacchierano, si raccontano. È così che anch’io incontro Laura, ci scambiamo parole di entusiasmo per la bella giornata e intanto saliamo: Laura mi confida che da anni desiderava iscriversi a questo corso e, ora, spera non sia troppo tardi… Le garantisco che la gita di oggi la rassicurerà (“non è mai troppo tardi” questa volta ci sta proprio bene) e che l’entusiasmo le farà dimenticare i dubbi. Così è stato: me lo ha detto lei, con una fetta di torta di mele in mano, a fine gita.

Un po’ più su, scambio due chiacchiere con Aldo che, con un sorrisetto di soddisfazione, mi confida che sono ben 30 anni che è istruttore!!

Me lo ricordo Aldo, tanti anni fa, forse non 30… Era già istruttore quando sono diventate istruttori (istruttrici?!) le mie sorelle. Un bravo istruttore, gentile e competente, con un ottimo stile di discesa, da me molto ammirato. Scambiando con Aldo questi pensieri, ritornando agli anni passati, mi viene in mente la mia prima gita di sci-alpinismo, con il mio papà, a Madonna di Cotolivier. Ritornano i miei pensieri di bambina: “che bello il nome Madonna di Cotolivier e che bello fare una gita con il mio papà”, abile e rassicurante scialpinista. Così mi rendo conto che da quella gita sono passati 50 anni! Era la primavera del ’68: la mia mamma, anche lei scatenata scialpinista, era a casa con il pancione: a giugno sarebbe nata Silvia.

Io amo la montagna ma vivo in città. Come primogenita sono stata sottoposta ad una disciplina di montagna, forse un po’ troppo severa: ho sempre continuato a sciare ma ho litigato per tanti anni con le gite e la fatica. Mi sono dedicata ad altri sport e a crescere le creature, divertendomi con loro sulla slitta, sugli sci in piccole stazioni sciistiche e poi, quando sono cresciuti, sciando a tutta velocità con amici e cugini.

Poi, pian piano, ho fatto la pace con le gite, con lo scialpinismo, con la fatica vissuta da adulta. Sono tornata e sono stata affettuosamente accolta dalla scuola.

Ma ritorno coi miei pensieri al Cotolivier, alle pelli di foca vere, bianche e nere, a quella prima gita. Fantastico un po’ mentre salgo al Col Serena: sento un sorrisetto malizioso e divertito dentro di me.

La giornata è davvero splendida: i 920 m di dislivello sono ripagati, al Colle, da un panorama mozzafiato! Gli istruttori si prodigano a nominare montagne, a descrivere il manto nevoso che cambia, a riconoscere il tragitto delle valanghe nei valloni circostanti.

Sul Colle ci sono ampi avvallamenti: ci si può rifocillare e poi dedicare alla ricerca ARTVA con sondaggi, scavi, …e sepolti vivi! “Che impressione – mi dice Cristina sbigottita – toccare con la sonda, non la neve, non le pietre, ma un umano!!”.    L’”umano” viene presto liberato, lasciando a Sara e ad Andrea la parola per qualche cenno di primo soccorso in montagna e di primo intervento ad eventuale sciatore estratto da sotto una valanga.

Ormai stiamo tutti fremendo: ci aspetta una gran bella discesa, una vera “goduria”! Tanta neve, leggera e intonsa, tanto spazio per fare una serpentina ciascuno. Gli istruttori fanno fatica a tenere gli allievi che si scatenano felici, con qualche capitombolo quando la neve cambia.

Si arriva presto a valle e ci si prepara per la meritata merenda, ancora al sole. Sui pullman la compagnia è allegra e frizzante, pronta per le prossime gite e alla ricerca di mete per le gite di due giorni.

Last but not least, a casa mi attende un’ottima cena!

Monica

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….e non solo, abbiamo anche un video:

Quanto ci mettiamo a Scendere? CCCiiinnnqqquuueee mmmiiinnnuuutttiiiiiii

 

 

USCITA 1 DEL 04/02/2018 – Punta Moncrons

Correva l’anno 1987. A San Remo vinceva il trio Morandi, Tozzi Ruggeri con  “Si può dare di più” (praticamente l’inno degli sci alpinisti).

In quei tempi, l’appuntamento con il bus della scuola era a Torino, Corso Stati Uniti, angolo Corso Galileo Ferraris, quasi in centro. Per chi abitava nei pressi di Piazza Adriano, un tiro di schioppo; così, un giovanissimo allievo (di belle speranze) andava a recuperare un giovanissimo istruttore (dalle luminose prospettive) con la sua FIAT 500. Il modello era quello “L”, con sedili reclinabili, il che offriva svariate possibilità (eh, eh, eh..), ma la lunghezza ridotta dell’abitacolo non permetteva di ospitarvi gli sci; quindi, ingegnosamente, gli stessi venivano piazzati in verticale, aprendo il tettuccio.

In una buia e fredda domenica mattina, i nostri due si dirigevano dunque all’appuntamento antelucano – con indosso cappello/guanti/giaccavento per proteggersi dall’effetto bora del tettuccio aperto – quando vennero affiancati da un auto dei carabinieri. Il giovane istruttore abbassò il finestrino. Ovviamente il mezzo non disponeva di alzacristalli elettrici, ma di manovella, che azionata produceva un suono (“gnik, gnik, gnik”) tale da rendere vieppiù imbarazzante la situazione dei due tapini, che la luce bluastra del lampeggiante offriva allo sguardo dei tutori dell’ordine incastrati nell’abitacolo ed imbozzolati nell’abbigliamento da sci.

Il carabiniere alla guida – senza cercare di mascherare lo sconforto provocatogli dalla versione giovanile di Fantozzi e Filini –  indicando con un gesto del mento gli sci sporgenti, disse “Non va mica bene guidare così…”. Rispose l’allievo al volante, proprietario del mezzo, e – in virtù della frequentazione della Facoltà di Giurisprudenza – più idoneo ad interloquire con i militari dell’Arma: “Guardi, è solo per un breve tratto, siamo quasi arrivati”.

Intervenne allora il capopattuglia, che insospettito dal verbo di moto utilizzato (“Arrivati”), volle vederci chiaro: “Ma voi, state andando, oppure tornando da sciare?”.

Oggi forse non avrei resistito alla tentazione di rispondere “Eh, il Diretur ci fa fare dei dislivelli tali, che le gite del sabato terminano la mattina di domenica all’alba”… Allora ero più giudizioso, e mi limitai saggiamente a spiegare che il bus ci attendeva a pochi minuti, ottenendo così un benevolo lasciapassare.

Nel 2018 molte cose sono cambiate: i reduci di quel lontano 1987 sono meno di una decina; l’appuntamento con il bus della gita è nelle lande desolate di quel di Rivoli; i bus sono due, grandi e comodi; il tragitto lo effettuo con un auto più capiente, e moltissime combinazioni di reclinabilità dei sedili (eh, averle avute da giovane…).

Ma quel che conta, non è mutato: lo spirito resta quello, resta la voglia di neve, di scarpinare, di vivere la montagna insieme, di condividere emozioni con amici vecchi e nuovi. Questa è la ragione dell’incipit d‘amarcord, che mi sembrava un buon modo di iniziare la relazione della  prima gita della stagione (vabbè, conta anche che io non sono uno restio a raccontarsi …  sulla lapide pensavo di far incidere la scritta “Ma parliamo di me…”).

Ma veniamo alla gita: appuntamento al Mercatò di Rivoli, ore 06.45. Appena giunti al bus si percepisce un persistente profumo di fiori d’arancio…  che – obiettivamente – a Rivoli, in febbraio, è sorprendente…

Prua verso la Val Chisone, meta il Moncrons, m. 2509. Posteggiamo a Patte Mouche, poco dopo Pragelato: ci attendono 910 metri di salita sui pendi esposti a sud.

C’è un bel sole, non fa troppo freddo (-10° fuori dal bus).

Gli allievi iniziano a prendere confidenza con materiali, artva, inversioni. Saliamo tra gli alberi (curiose queste zaffate di fiori d’arancio in un bosco innevato… mah… ), tra lieti conversari. Qualcuno fa un po’ di fatica, rallenta, si ferma… Fatevelo dire da chi queste situazioni le ha vissute e se ne intende: non mollate! Praticare lo sci alpinismo non è questione di talento, ma di militanza … come la vita.

In circa tre ore di salita semplice, breve, piacevole siamo in punta (non fatevi ingannare: altre sfide, altri aggettivi, caratterizzeranno le prossime uscite…). Spuntino, foto tra i conquistatori della cima ed al gran panorama, e si scende.

La prima uscita prevede la canonica dimostrazione della ricerca del travolto da valanga: dopo il preambolo teorico dell’ottimo Luca, entrano in scena gli attori ingaggiati per la piece, che brillano per impegno e realismo. La prossima volta si cimenteranno gli allievi.

@B

Fuori dal bosco i pendii sarebbero fantastici se la neve avesse mollato un po’ di più (nonostante l’esposizione favorevole, le basse temperature non lo concedono), ma ci si diverte lo stesso. Al bus ci attendono le consuete, liete libagioni.

Ma che ne è stato della coppia di ex giovanissimi, allievo ed istruttore?

Il primo – promosso sul campo a “Coordinatore gruppo amici, dotato di radio” –  ha guidato con carisma il suo manipolo (erano 30 anni che non mi davano la radio: lo fece, nel mio primo anno di SSA, l’allora Direttore, in un’epica salita alla Tsanteleina, accompagnando l’investitura con un “arrangiatevi” … erano altri tempi).

Il secondo, dopo aver fatto tutta la gita da persona seria, dispensando paternamente consigli ed insegnamenti, ha dilapidato il patrimonio di autorevolezza appena conquistato avventandosi sulle torte, come un grizzly tra i salmoni….sensa cugnisiun. Certe cose non cambiano mai.

Cavùr

Vuoi vedere tutte le foto della gita?

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le “girls” 2017

Siamo quasi al termine dell’estate, a 4 mesi dalla fine del corso, e, nell’attesa di rispolverare gli sci nella bianca farina (ancora due mesi?!), come da tradizione dobbiamo assolutamente ricordare le “girls” dell’ultimo corso.

53 gli iscritti del 2017, ben 21 le “girls”: il 40% !!!

 

 

 

 

 

 

 

 

Ecco il link allo slide show delle “girls” dell’anno 2017, del 52° corso della SSA : vai allo Slideshow

3 ANNI DI SSA : IMPRESSIONI E RICORDI

Quelli che ci sono sempre stati: pensieri ed immagini di Valerio ed Enrico.

Abbiamo recentemente scoperto che entrambi siamo stati sempre presenti a tutte le gite di questi ultimi 3 anni, uscite su pista comprese! Molto differenti nell’approccio alla scuola e forse alla vita in generale: competitivo-cimaiolo l’uno (ovviamente Enrico!), meditativo-interiorizzante l’altro (ovviamente Valerio!),  Psicologo e ingegnere, ciclista su strada e mountainbiker. Partendo dagli estremi ci siamo “ritrovati”, a volte anche nello stesso gruppo, ma soprattutto nello scherzare e nel riflettere sull’esperienza che insieme stavamo vivendo. Abbiamo deciso di mettere insieme alcuni pensieri di Enrico, un po’ seri e un po’ no, e le foto più belle di Valerio e proporveli.

Prologo.  

Il giorno del mio 50esimo compleanno, il 14 gennaio 2015, mia moglie mi manda alla Tesoriera ad assistere alla presentazione del corso: “quello è il tuo regalo!”. Scopro che la scuola compie esattamente 50 anni. Un segno del destino, inequivocabile!

1

 L’approccio. Prima gita, 1 febbraio 2015. Dopo lo sci “normale”, lo sci di fondo, lo snowboard, il telemark finalmente approdo al Nirvana degli sport invernali: lo sci alpinismo. Tutto quello che ho già sperimentato si ricompone in una nuova “magica miscela” con qualcosa di più: montagne immacolate, lontano da tutto e tutti, se non fosse per il nostro gruppetto di 70 persone. Unica pecca il vento gelido che tutti ricorderanno per sempre: “Col di Vers: io c’ero, le mie mani e miei piedi no”. Avevo talmente freddo che pensavo alla mia prossima evoluzione da Pokemon sportivo: il Curling.

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 Lo shock.

Scoprire che dietro al piacere della fatica e all’ebbrezza della discesa ci sono numeri, calcoli, funzioni, tabelle…….non è possibile!!!! Si può fare cambio di regalo?

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Obiettivi. 

Gli obiettivi di un competitivo-cimaiolo sono assolutamente meschini. Primo anno, riuscire ad arrivare nel gruppo 1 ma soprattutto che il mio caro amico Francesco Ravizza non ci arrivasse. Secondo anno, arrivare in cima un passo dietro a Livio (questo me l’ha insegnato Daniele dutùr). Il terzo anno ho cercato di elevarmi abbassandomi: rendermi utile occupandomi della raccolta differenziata del banchetto condiviso (grande pecca in un’organizzazione impeccabile!).

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Momenti difficili, ovvero il diretùr e il “raggio della morte”.

Il “raggio della morte” è un raggio immaginario di circa 25 metri di una circonferenza immaginaria di cui io sono il centro (la circonferenza misura quindi 157 metri, dato irrilevante ma così mi alleno a fare calcoli). Se Dario mette piede o anche solo lo sci nella circonferenza io faccio una cazzata o la dico. E Dario mi becca (“Cazzo, Enrico!!!!”). Se hai vissuto anche tu l’esperienza del “raggio della morte” non chiuderti in un vergognoso silenzio, parla e sarai aiutato. Spero di non trovarmi da solo nel gruppo di mutuo auto-aiuto.

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Momento indimenticabile.

La riscoperta della fede nella gita a Rocca Bianca il 17 aprile 2016. Per una serie di motivi non ben specificati, la barella non era dove solitamente sta, ovvero nel mio zaino ma, diciamo, piuttosto lontana. Olga inizia la discesa e cade facendosi male. Mentre Livio propone il vecchio metodo “selezione della specie” (“abbandonatela li, vedi come si alza”) e gli istruttori “buonisti” la incoraggiano, io mi raccolgo in preghiera: “ti prego Signore fai che Olga si rompa la gamba quando la barella è nel mio zaino”. E l’Altissimo, la gita dopo, mi ha ascoltato!

Momento da dimenticare.

La traccia unica in discesa: una necessità per la sicurezza ma, complessivamente, meglio una colica renale. Peraltro quando ho avuto veramente la colica renale urlavo ai medici del pronto soccorso: “uccidetemi, brutti bastardi!”. Quanta sofferenza!

Momento esaltante. 

“L’assalto” finale al monte Thabor, 12 aprile 2015. Un rompete le righe assoluto! Chi arriva ultimo è della Sucai e scrive la relazione della gita!

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Mai più senza. Giocare ad Explosion! ad alta quota, 7 maggio 2016 e 23 aprile 2017 al Gastaldi. Sto cercando su ebay una versione del gioco in microfibra e anima in carbonio per grandi raid.

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Consigli preziosi degli istruttori.

Quello di Enzo: “dopo aver passato la sciolina lucida lo sci con il collant di tua moglie”. Grandi soddisfazioni anche con le calze a rete. Skialperotismo.

E quello di Riccardo: “nella neve polenta prova a levitare con i tuoi chakra in gore-tex” (o qualcosa del genere). Skialpmisticismo.

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Sci alpinismo e relazione di coppia. 

Il primo anno mia moglie, oltre ad augurarmi buona gita, mi preparava prelibate torte salate per il banchetto condiviso. Il secondo anno, anche no. Il terzo anno la mia probabile ex moglie indica ai miei figli dei bambini zingarelli abbandonati che chiedono l’elemosina: “anche loro sono figli di uno scialpinista con gli attacchi Atk, gli sci Movement e la tutina Montura”. Con specialissimo “scontone” nei nostri amatissimi negozi di fiducia!

Sci alpinismo e lavoro. 

Nel mio lavoro cerco di sostenere le persone facendomi carico della loro sofferenza. Basta! Faccio un corso di sci alpinismo e penso a me. Poi, quando torno a lavorare dopo la gita, alcune “frasi nella testa” guidano i miei colloqui con i pazienti: “vai piano che non ti sta seguendo nessuno, operazione riuscita-paziente morto” (Luciano), ma è “sicuro” questo passaggio che vuoi fare? Segui la traccia già solcata dal tuo collega, raccogli prima informazioni dal punto di vista visivo, “usa la testa” (Dario), qual’ è il percorso migliore per arrivare alla meta? Scialpinismo e formazione del terapeuta si incrociano e si confondono. Chi l’avrebbe mai detto!

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Motivi per consigliare la scuola a nuovi adepti.

Certo l’organizzazione suprema, certo la sicurezza assoluta, certo la competenza sterminata degli istruttori, certo gli aspetti conviviali e il gruppo. Ma l’essenza della scuola, per me, sta nella presa in carico della singola persona, valorizzando le sue risorse, credendo nei suoi miglioramenti, rinforzando i suoi passi avanti e tollerando, senza giudizio, le sue fatiche. Ingegneri o simil-ingegneri che “sostengono” le persone nel loro percorso di crescita: un incubo? un sogno? In questo caso una realtà.

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L’ingrediente segreto. 

Senza dubbio Cavour, aggregato aggregante, umorista umanista, storico della scuola e dell’umanità in generale, filologo delle “pornai”, fondatore e seguace unico dello “sci alpinismo mite”. La prima volta che lo vedi (ma anche la seconda e la terza) ti chiedi che cosa c’entri con tutto il resto, poi lo capisci. Assolutamente nulla, ma senza la sua presenza la scuola non sarebbe la stessa, e sarebbe meno di quello che è.

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Epilogo.

Ultima gita, Testa dell’Ubac, 7 maggio 2017. Mancano 50 metri. Sono affaticato, complice le 3 ore di sonno causate da una bravata di mio figlio adolescente (o almeno così me la racconto). Alzo la testa e vedo Enzo, il mio occasionale personal trainer, quasi in cima insieme al direttore. Roberto Telemark e Luca, giovane allievo prodigio, mi superano a doppia velocità mentre con i ramponi squarcio con cura i miei costosi pantaloni. Vado su con i muscoli dei neuroni (su, dai, su, dai…). Un po’ annebbiato ce la faccio. Dario si avvicina, mi sorride: “bravo Enrico!”. Sconfitto, temporaneamente, il raggio della morte!!! Le forze sono magicamente tornate. Che la Forza sia anche con voi!

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Saluti finali. 

Un abbraccio forte a tutti, allievi e istruttori, ma soprattutto a Valerio e Valentina, a Enrico e Valentina, a Fabio con i quali abbiamo condiviso tre anni di salite, discese e viaggi assonnati in pullman e sulla mia Multipla. Enrico.

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(Trova Malaccari)

vai ora allo  Slideshow  con la raccolta delle foto scelte da Valerio per ricordare il corso del 2017