Nel calcio si dice che quando un modulo funziona è bene non cambiarlo, come il famoso e versatile 4-2-3-1 dell’ Inter di Mourinho o della Juventus di Allegri (nota bene, l’unico dei moduli che non contemplava Mazzarri al Toro, e ora capiamo il perché di tante cose … lo dico da tifosa granata!).
Ebbene, la prima cosa che ho imparato alla scuola di Alpinismo del CAI UGET è proprio che, qui, è tutta un’altra cosa.
Se alla Pitre de l’Aigle il modulo dato da: “700m dislivello, istruttori propensi alla didattica, incedere soft” (ogni riferimento alla prima relazione del mitico Cavùr è puramente casuale 😉 ) era stato alla portata delle nostre forze, la seconda uscita CAI regala invece il brivido dello stravolgimento di campo, del “cambio modulo” in favore di Cima Saurel: “1020m dislivello, istruttori propensi a pregare che ogni allievo arrivi in cima, ed incedere grintoso” – Luca Berta batte traccia con passo da bersagliere.
E così se Cavùr rimpiangeva, nella prima relazione, quelle vecchie scritte con stile eroicomico e dal canovaccio standard come nella filmografia di Bollywood… ecco che la seconda uscita ci regala un tuffo nel passato.
La partenza è da Bousson: felicissimo portage iniziale con scarponi ai piedi e annesso rischio volo su ghiaccio, che già ci mette tutti alla prova (come nei migliori film d’azione potremmo dire che “è solo l’inizio!”); i nostri istruttori si trasformano in cercatori d’oro: si prega per un po’ di neve su cui poter far “scorrere” gli sci, almeno in salita con le pelli!
La lunga strada verso la meta è resa però davvero piacevole dal bel sole che ci accompagna, dalla compagnia dei “compagni di sventura” e dal panorama di ampio respiro che davvero molto spesso regala dei WOW (il più delle volte non detti, ma solo pensati, perché – si sa – bisogna conservare il fiato! 🙂 )
Capanna Mautino e i suoi 2100m sanno alquanto di tentazione: al profumo di polenta e spezzatino che arriva dalla cucina, si pensa a disertare! Bella la soddisfazione della cima – per carità -, ma vuoi mettere una bella sosta lì… così facciamo tornare in auge anche il “dato tecnico” delle “mangiate pantagrueliche” che sempre il buon Cavùr ricordava nella sua prima relazione.
Ma chi si ferma è perduto… e così, dritti alla meta.
Un po’ alla spicciolata…finalmente arriva Cima Saurel con i suoi 2451m: eccola lì la “visione dell’arrivo”, del dislivello macinato e della strada percorsa! Tutti sopravvissuti al momento e pronti alla discesa, da un altro versante, perché -ormai l’abbiamo capito- il brivido è il nostro mestiere e l’ignoto ci appartiene!
Ultimo sforzo è la prova didattica della ricerca artva: la suspance, anche qui, non è mancata, soprattutto nel gruppo di Aldo che, ad un certo punto, ha provato l’ebrezza di rimanere solo sulla montagna, a scavare mezzo vallone nel tentativo di ritrovare il dispositivo del proprio istruttore (nuovo di zecca, per di più!) che risultava “proprio lì” … eppure “lì”, non c’era mai! (Cavùr, non era spento l’artva ma ti assicuro, ci siamo divertiti come quella volta! 😉 )
Le piste di Claviere ci portano veloci al piazzale dei pullman, dove ci aspetta la solita abbuffata – questo sì un classico – che rimette al mondo tutti dopo una seconda uscita importante, che fa mettere benzina nelle gambe e ci ricorda (con le parole di saluto a fine gita del nostro mitico Diretur) che “il meglio deve ancora venire”! 🙂
Cristina
Il percorso di salita:
Ora vai allo slide-show, 110 foto tra le più belle ricevute:
Inizio da dove avevo terminato. Dallo splendido weekend del 13-14 aprile 2019, con l’accoppiata Gran Vaudala ed Entrelor. 3.200 m di dislivello in due giorni, il record della Scuola di Sci Alpinismo Cai Uget in 55 anni.. ed io c’ero… 😊 (c’ero anche sabato, alla peggior sconfitta del Toro in 113 anni di storia…. ma non divaghiamo).
La settima uscita dell’altr’anno ci aveva regalato un’accoppiata sontuosa; parto da lì, perché la prima uscita del corso di solito non rende giustizia di quel che seguirà, ed è giusto che i nuovi allievi (benvenuti!!) sappiano che grandi soddisfazioni li attendono. Gli scenari saranno ben più appaganti della Pitre de l’Aigle da Borgata che ci ha impegnato domenica; certo, le gite si faranno via via più impegnative dei 700 m di dislivello percorsi, ma si sarà messa benzina nelle gambe, e la tecnica si sarà affinata. E – si spera – la neve sarà più gratificante di quella trovata in questa discesa: dura, soprattutto in alto, battuta dai passaggi precedenti; ma non è andata malissimo, per brevi tratti c’era perfino qualche oasi di farina….
Comunque, dicevamo, andatevi a leggere la relazione dell’uscita Gran Vaudala + Entrelor, conservata nel ricco archivio del sito della Scuola; l’impresa è stata magnificamente cantata da Andrea. Percepite la goduria di quel week end, e, con l’occasione, traete spunti, perché a qualche neofita toccherà stendere le prossime relazioni (io, per tradizione, mi smazzo la prima…).
E fare le relazioni delle gite, ragazzi, mica è facile come un tempo… Una volta gli ingredienti della relazione (pubblicata su di un glorioso, ma tristanzuolo bollettino cartaceo), avevano un canovaccio standard, come i film di Albano e Romina, o la filmografia di Bollywood (lui, lei, il cattivo, balli e musica): la gita era narrata con stile eroicomico, condito con qualche dato tecnico ed immancabili riferimenti a mangiate pantagrueliche in piole remote. Un uso corretto del congiuntivo era un buon titolo di merito per l’articolista, ma non essenziale.
Oggi, mica basta più… bisogna spremersi le meningi, cercare lo spunto ad effetto. Andrea ha fatto una cronaca simpatica, frizzante, di gran ritmo e notevole penna, con un tocco di originalità, inserendo link a brani musicali… proprio carina l’idea di associare la scarpinata ad una colonna sonora! Mi piacerebbe raccogliere la sfida, ma io come cultura musicale sto sottozero… Ognuno ha il suo backround… al Liceo che mi ha lasciato in dote il soprannome con cui mi firmo, poco si suonava e molto si veniva suonati… sono cose che segnano… Sarà per questo che i miei rimandi sono alla Gerusalemme liberata del Tasso, in cui trovo magnificamente rappresentata la condotta di una gita di sci alpinismo.
Il saggio Capitan con dolce morso I desideri lor guida e seconda: ….. Gli ordina, gl’incammina, e ’n suon gli regge Rapido sì, ma rapido con legge. Ali ha ciascuno al core, ed ali al piede: Nè del suo ratto andar però s’accorge. … Ecco apparir Gerusalem si vede: Ecco additar Gerusalem si scorge: Ecco da mille voci unitamente Gerusalemme salutar si sente.
Ditemi se non c’è tutto! “Il saggio Capitan” che “guida e seconda” la truppa… Il Diretùr!
(con questa captatio benevolentiae mi sono assicurato il posto bus per la stagione…)
Il “Rapido sì, ma rapido con legge” è una magistrale sintesi di tutte le lezioni che vi propineranno nell’anno.
E nell’anafora con cui i crociati salutano Gerusalemme c’è tutta la gioia dello sci alpinista per l’arrivo in cima (l’accostamento della cima a Gerusalemme, poi, è azzeccatissima… io di solito nell’ultimo tratto di salita vedo la Madonna e tutti i Patriarchi…)
Dovessi poi descrivere cosa associo alla fine di ogni gita, virerei su Dante.
E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,
così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva
Vedrete, quando si macinerà dislivello, come cara apparirà la visione dell’arrivo, delle macchine, della piola… e quale sarà lo stupore, voltandosi indietro, per tutta la strada percorsa… e che tutti siano sopravvissuti..
Comunque, questa è fatta, la “prima” l’abbiamo portata a casa…
Gli istruttori, in questa salita, erano particolarmente propensi alla didattica, quindi l’incedere è stato molto soft; la discesa è stata interrotta da una ricerca Artva (ormai un classico della prima uscita) che dura una fracca di tempo….
Utile, utilissima, imprescindibile questa ricerca Artva, ci mancherebbe.. poi attori bravi e calati nel ruolo… voce narrante competente e preparata… però non prende, non appassiona… l’happy end è ormai scontato.. ci siamo divertiti un pò di più solo quella volta che si è seppellito un Artva spento…
Dannazione! Follia! Mai
abbassare la guardia, mai rilassarsi!
E’ bastato un attimo di
distrazione, complici Bacco ed una serena sazietà, ed ecco che ti ritrovi
incastrato.
Anni di abili sotterfugi e
pietose sceneggiate gettati al vento. Quando ormai ti sentivi al sicuro, ecco
che il destino si compie, il Maelstrom ti inghiotte!
Con un inaspettato e plateale
colpo di mano, il Diretur ti affibbia l’incarico più temuto: la relazione di
fine gita.
D’altra parte, come hai
potuto anche solo aver avuto l’ardire di pensare di fargliela sotto il naso?
Relatori ben più degni del
sottoscritto hanno già in queste pagine descritto la mirabile potenza del
raggio della morte del Diretur. Diavolo di un uomo!
E’ quindi con rassegnazione
ed umiltà che proverò a redigere qualche riga a memoria dell’ultima gita del
corso di sci-alpinismo del CAI-UGET 2019.
——————-
Notte fonda, appuntamenti a
orari improbabili in luoghi ancor meno probabili sono ormai cosa trita e
ritrita.
A questo giro niente bus. Che
diamine, siamo figli del XX secolo, l’impero dell’automobile!
Raccattate masserizie e
stanche ossa, proprie e degli amici e compagni, ci si avvia lungo buie statali
verso Pian della Mussa, punto di ritrovo designato.
Le prime luci non illuminano
uno straccio di bar aperto lungo la strada. Peggio per loro.
Al piazzale tira un vento
siberiano. Aprire la portiera e scendere mi pare una pessima idea, ma tant’è.
Al riparo di un muretto
pescato da una zona di guerra, uno sparuto gruppetto di istruttori e allievi
confabula.
Li osservo: questa è gente
tosta, che le rocce le sbriciola passandogli attraverso, mica le aggira. Roba
da tana delle tigri, per chi ha presente.
Dopo circa trenta secondi di
permanenza all’esterno sono colto da un certo pessimismo. In effetti, passa
qualche minuto e giunge la decisione di scendere verso Balme alla ricerca di
condizioni più agevoli.
Ripenso con piacere alle
lezioni in cui si è detto quanto sia saggio saper rinunciare quando non è cosa.
Ecco. Non è cosa.
Tornare a dormire non sarà certo
disonorevole. Noi ci si è provato.
Purtroppo (ehm…) pare che
la nuova località (frazione Cornetti) sia al momento più adatta allo
sci-alpinismo, oltre che alla vita umana in genere.
Sci a spalle, scarponi
attaccati in qualche modo, trolley, pollame e via, per un’oretta di portage che
ci porta ad un migliaio di metri dalla destinazione, il colle sotto la cima
degli Ortetti. Si calzano sci e coltelli.
Per tutelare la privacy
dell’istruttore capo del mio gruppo, gli verrà assegnato un nome di fantasia:
Vittorio Barella. Sapendo di poter contare sulla straordinaria condizione
atletica dei suoi allievi, oltre che su di una loro naturale predisposizione
alla fatica ed infine su una tecnica sopraffina, Vittorio impone fin da subito
un ritmo indiavolato. Ci si fa beffe del ripido pendio aggredendolo nei punti
più ardui ed uscendone con leggerezza. E’ una danza di punti e virgola e di
rapide accelerazioni nel candore delle nevi, quella che ci conduce ad uno
stretto canalone, dove il gioco si fa duro, e la neve sfasciosa. Divorato
l’ostacolo come un dolce babà, solo un lungo piano inclinato (muro
insormontabile è una definizione troppo forte?) ci separa dalla meta.
Graziosi animaletti spuntano tra le nevi lungo l’ascesa e si chiedono: – Chi sono questi tizi? Forse una nuova specie di ungulati, che nelle loro mute variopinte salgono veloci verso le cime per la stagione degli amori? – No, piccolo amico peloso. Essi sono sci-alpinisti. Salgono perché fa bene all’apparato cardio-respiratorio, perché amano la bellezza delle vedute e perché adorano scivolare veloci in discesa. Alcuni cercano la sfida, altri la pace, in generale sono degli squilibrati, insomma. La colorazione vivace serve ai commercianti per vendergli l’attrezzatura a caro prezzo. -Aaah, ok. Fico! Addio, addio!
Salutato Pikachu, capisco che
è il caso di rallentare un pelo per consentire un maggior afflusso di ossigeno
verso il sistema nervoso centrale.
Ma ecco che vedo il Diretur
di vedetta, ecco che compare il gruppo di amici. E’ fatta! Non siamo sulla
cima, ma più o meno al colle sottostante (quota 2900, tricabranca…) Va bene così. La vista spazia, la temperatura
non è troppo bassa, il vento non eccessivo. Delle pessime condizioni viste
poche ore prima e pochi chilometri più in là, non resta che il ricordo.
La discesa è piuttosto
divertente. Neve strana, ma non traditrice. Avesse mollato ancora un po’,
chissà… Io una bella bella dieci minuti di riposo in più me la sarei fatta,
ma le decisioni della scuola rispettano un superiore piano infallibile, la
sicurezza prima di tutto.
I tradizionali banchetti
finali sono ormai sfacciati. Si sta prendendo l’abitudine di andare nei
ristoranti a mangiare le cibarie che ci siamo portati da casa. Fantastico! Il
prossimo passo sarà di calare sui villaggi per metterli a ferro e fuoco.
Ma tutto questo il vostro
relatore lo leggerà sui giornali l’anno prossimo. Già, perché il corso 2019 è
terminato, e per me e qualche altro/a è stato il fatidico terzo anno, l’ultimo
possibile.
——————-
Tutto iniziò sotto una
romantica nevicata nel bosco di Pragelato…
Stop! Vi risparmierò
struggenti commiati, ma voglio sinceramente ringraziare maestre e maestri che
nelle decine di giornate trascorse insieme ci hanno regalato la loro pazienza e
soprattutto il loro tempo. Mica è roba che si compra al supermercato.
Certo, è chiaro che con
campioni del nostro calibro la soddisfazione deve poi essere notevole!
When things get tough. Si fa dura, ad Aprile. Tra veri o presunti impegni lavorativi, doveri coniugali e/o genitoriali, matrimoni, cresime, tentazioni enogastronomiche, previsioni meteo tanto inquietanti quanto inaffidabili, o semplice allergia a una doppia levataccia consecutiva. Insomma, la selezione diventa severa. Più di quella imposta dal Comitato Direttivo per la promozione da SSA1 a SSA2. Al terzo appuntamento con la classica gita-di-due-giorni, il nostro gruppo di indomiti registra inevitabili defezioni.
(track: Hero, Family of
the Year
The tough get going. Il primo frame del weekend è l’usuale appuntamento nel
piazzale un tempo noto come Toxic Park. Uno dei luoghi più tristanzuoli del
nord ovest. Forse serve a marcare più nettamente la differenza tra imbarco e
destinazione. A rendere più acuto il desiderio di evasione. Funziona.
(Certo che. Ecco lo spettacolo che Torino offre ai visitatori defluiti
dall’autostrada: casermoni Falchera, grattacieli corso Vercelli, McDrive,
Auchan. E il massimo del kitsch, la statua della Sfinge che signoreggia al
centro della rotonda. Una lacca da madamine sullo squallore periferico.
Scusate, non riesco a trattenermi. Fine digressione)
Salpiamo.
Il corpo assonnato cigola nell’alba subalpina, ma l’occhio scintilla di voglie
malandrine. La montagna chiama, come un magnete inesorabile. Il piacere di
vedere intorno a te volti amici e sorrisi ormai familiari corrobora
l’ottimismo. C’è tempo per una tappa? Sicuro: ci vuole un caffè, magari un
cornetto. Ma niente autogrill, non scherziamo. Abbiamo già il nostro bar
totemico, lungo la statale della Vallèe, non ricordo il nome, ma è perfetto,
prepara cappuccini alla curcuma, must have, e soprattutto cheap: tutto a 1
euro.
Imbuchiamo
la Val di Rhemes, il morale lievita con l’altitudine, tornante dopo tornante.
(track: 50 million year trip, Kyuss
La
gita di oggi, ancora lo ignoriamo, appartiene alla categoria “no pain, no
gain”. 21 km complessivi. Una mezza maratona non esattamente indicata per chi è
reduce da una settimana di orari coatti, lavoro sedentario e abitudini malsane.
Niente di estremo, per carità. Solo un estenuante sviluppo orizzontale, che
significa lunghi “traversi”, una metronomica tortura per caviglie, stinchi e
malleoli, insomma tutto ciò che sta compresso nello scarpone.
Partiamo baldanzosi, ovvio, incoraggiati dal dolce pendio che scricchiola sotto
le nostre lamine foderate in pelle. Destinazione Rifugio Benevolo, nome
antifrastico per un rifugio CAI che non ama i gruppi CAI, segnatamente le
Scuole di Sci Alpinismo. Lo ricambiamo, girando al largo. Laggiù, a sud ovest,
occhieggia il Vallone della Vaudala, che in breve si apre lasciando intravedere
la nostra meta: Grand Vaudala. Si prende quota dapprima dolcemente, persino
troppo, tra un saliscendi di gobbe. Poi il pendio diventa ripido, scatenando
l’istinto killer del peraltro diretùr, il quale impone un’andatura da tappone
dolomitico.
Gli
incauti che cercano di resistergli arrivano in vetta parecchio provati. E con
troppo anticipo: mentre si attende il resto del gruppone, contemplando la
sagoma regale del Gran Paradiso, quel che non ha fatto la salita lo completa il
wind chill, surgelando energie ed entusiasmi. Beati gli ultimi, insomma.
Discesa dal versante nord-ovest (mi pare): neve superba in alto, poi da
“interpretare”. In basso ci attendono i traversoni della mattina, da
ripercorrere in senso inverso. L’alternativa sarebbe rimettere le pelli per
guadagnare quota. Mozione respinta, con sollievo che immagino collettivo.
Meglio i traversoni. Molti di noi già sognano doccia, leccornie e cervogia, non
necessariamente in quest’ordine. Io mi accontenterei di sfilare gli scarponi,
qualcuno deve avermi conficcato un chiodo nelle tibie.
La
Valle di Rhemes ha due, diciamo, capoluoghi: St. Georges e Notre Dame. La Val
di Gressoney, per dire, ha St. Jean e La Trinitè. Una regione devota, la
Vallèe.
Rhemes Notre Dame (fa un certo effetto, stasera, scrivere “Notre Dame”) è dove
passeremo la notte. L’Hotel Galisia, dopo la randonnée odierna, ci sembra il
Plaza. Ok, manca l’incanto del Rifugio degli Angeli: ma vuoi mettere il
disincanto di avere acqua corrente, calda per di più, e un letto con lenzuola?
A cena viene servito il tipico menu locale ammazza vegani, in quantità tali da
coprire il fabbisogno calorico di una settimana normale. Ma oggi abbiamo
bruciato, cazzo se abbiamo bruciato. Terminata la crapula, si è fatta una
certa. Il paese non offre molto, quanto a vita notturna. In alta montagna si
tende a fruire del buio in termini spenti e orizzontali. A nanna, ragazzi.
Domani ci aspetta l’Entrelor, che suona come Everest. Ma sopra di noi, il cielo
valdostano trafitto di costellazioni promette un’altra giornata colorata
d’azzurro.
“Suppongo
che andiamo all’Everest perché – in una parola – non possiamo farne a meno”,
diceva George Mallory, pragmatico come tutti gli alpinisti e concreto come un
vero figlio d’Albione, “chi rifiuta l’avventura corre il rischio di inaridirsi”.
Il
nostro Everest, la nostra avventura, oggi si chiama anticima dell’Entrelor
(l’ho già detto, si), una sgambata di 1.700 metri di dislivello. Lasciamo il
paese poco dopo le 7. Si sale, sci in spalla, attraverso un ripido bosco di
conifere. Portage inevitabile, ma proficuo. Acquistiamo quota rapidamente,
scaldiamo i muscoli. Fa un freddo becco. L’inverno incompiuto ha ancora in
serbo qualche colpo di coda. Uno di questi ci tende l’agguato all’uscita del
bosco, dove la pendenza digrada per raccordarsi con il
Vallone di Entrelor, soffia un vento caimano. Ripariamo al vicino Rifugio delle
Marmotte. Altro che Benevolo. Qui ci accolgono come vecchi amici e un bicchiere
di tè che è un vero salvavita. Ripartiamo con il termometro che segna -10,
sempre in compagnia di Eolo. La neve a quota 2200-2300 ha la consistenza del
marmo. Laggiù, in fondo al vallone, un’ipotesi di sole illumina la nostra meta.
Sembra lontanissima. È bellissima. Andiamo a prenderla.
Attraversiamo
il vallone mantenendo una leggera sinistra orografica, fino a un colletto
pianeggiante. Qui scatta la giornata dell’orgoglio femminile: Francesca Restano
guadagna la testa del gruppo, diventa capobranco e trova un passo che mette
d’accordo tutti, i belli con i brutti. In breve, seguendo una traccia evidente
come una pista da bob, risaliamo ripidi pendii, pieghiamo a sinistra in
direzione della cresta spartiacque e poi a destra per uscire finalmente in
vetta, a quota 3.397.
Il
vento si è posato, l’aria è secca, energizzante, allegra. Intorno a noi,
un’assemblea di giganti. Gran Paradiso, Ciarforon, Monciair, Tresenta, Bioula,
Herbetet, Grivola, Gran Nomenon. Qualcuno si schermisce sdegnoso dietro nubi
paffute. Se rinasco, voglio dare il nome a una montagna.
Per buona parte della discesa, il vallone di Entrelor ci regala emozioni
sopraffine. C’è gloria e polvere per tutti, o quasi. Gemiti di piacere e
barbarici “yawp!” echeggiano tra l’aspre rupi mentre ariamo coscienziosamente
il pendio. Troviamo qualche tratto di crosta, ma è poca roba, non c’è rosa
senza spina.
In basso, in compenso, la neve ha mantenuto quasi la consistenza marmorea del
mattino. Un ultimo sforzo di quadricipiti e siamo in vista del rifugio. Sono le
14, come previsto da Sergio Bandini. Diavolo di un ingegnere.
(Track: Land of 1000 dances, Wilson
Pickett
Siamo
attesi da una polentata terrificante e facciamo onore al cuoco. Il rifugio
Delle Marmotte è gestito da volontari dell’Operazione Mato Grosso. Gli incassi
dei pasti e dei pernottamenti coprono le spese e l’utile va nelle casse
dell’OMG, per sostenere le attività svolte in Sudamerica a favore dei
bisognosi.
Sono ragazzi e ragazze che dedicano al rifugio il tempo libero. Scenderanno
stasera, dopo di noi. Hanno turbina idroelettrica e pannello solare per
produrre energia, usano detersivi ecologici, piatti e posate sono in materiale
compostabile.
Scendiamo
a valle, sciando finché lo permette l’innevamento a macchie di leopardo, poi a
piedi fuori dal bosco, fino in paese. È andata. Ci aspetta il sublime piacere
di sfilare gli scarponi e la delizia di una birra ghiacciata. Brindiamo al Dio
Delle Piccole Cose, che ci ha regalato la Giornata Perfetta.
(Track: Del tempo che passa la felicità, Motta
Si
avvicina “l’ora che volge il disio ai navicanti”, ora di riprendere la strada
di casa. Salutarsi è un po’ più difficile del solito. O forse sono io a essere
diverso, oggi. Non so. Siamo tutti piccoli battelli ebbri, in fondo, non
vediamo l’ora di spezzare gli ormeggi e lasciare le rotte abituali, di quando
in quando. Tenere vive e ardenti le “inutili” passioni: è l’unica cosa che ci
fa vivere. La saggezza ci fa semplicemente durare.
È
stato un onore e una gioia “suonare” con voi, oggi. Siete un gruppo fantastico.
Grazie a tutti, ma proprio tutti. Anche quelli di cui non ricordo mai il nome.
Ma tra buoni compagni di viaggio ci perdoniamo questi dettagli. Ai nomi
penseremo la prossima volta.
Un
grazie speciale a Francesca e Dario: sono la ragione per cui sto scrivendo
queste righe, che vado a terminare, ringraziando infine chi è arrivato fin qui
a leggerle. Spero di non aver tediato troppo. Apposta ho aggiunto le musiche. E questo è
tutto.
Sudore, sole, caldo, stelle, freddo, neve, salire, scendere, mangiare, bere, albe, tramonti, sorridere, soffrire, parole, insegnamenti, amicizie, sentirsi vivi. Grazie Rutor! Davide L.
Aumentano difficoltà e soddisfazioni, aumenta il ritmo del respiro e la bucolica bellezza dei panorami. L’unico rimpianto è di non aver avuto occhi sufficientemente grandi per poter catturare tutto ciò in cui ci siamo immersi, e poter rivedere ora, fotogrammo per fotogrammo volti, sorrisi, sensazioni e paesaggi, splendore di ciò che sto imparando con voi. E’ un peccato perché è ciò mi manca in questo momento. Comunque sono pronto, ho rifatto il pieno, quando torniamo? Mauro P.
Cosa mi è piaciuto: l’ambiente montano severo e attraente;
il supporto degli istruttori; la cena di sabato sera seduto al tavolo con
persone che non conoscevo prima, parlando delle nostre piccole grandi passioni;
la discesa, che per me è la parte più bella della gita(insieme alla
merenda)lunga e su bei pendii.
Cosa mi è piaciuto di meno: ho fatto troppa fatica negli
ultimi tratti delle due salite; l’ultimo pezzo di discesa a piedi per arrivare
in paese.
Giudizio complessivo: sono rimasto molto contento; Machrider
In merito al rifugio: sono stati davvero carini. È la prima volta che vado in un rifugio gestito da volontari di questo tipo… Forse c’è un pizzico in più di improvvisazione, ma ampiamente compensato dalla cortesia, senza considerare il fine caritatevole degli introiti. Ottima scelta! Cavùr
Due giorni che valgono una vacanza, questo quello che
pensavo mentre, sci sullo zaino, camminavo giù per il bosco. Fatica e sudore e
determinazione nel raggiungere quel passo in più, l’esperienza di tante cose
nuove imparate, allegria complicità e armonia, bella gente, tante bellissime
immagini da cartolina quello che rimarrà di questi fantastici due giorni.
PS: siete un gruppo davvero fantastico! Grazie davvero di cuore per questo bellissimo percorso fatto assieme, dove ci avete guidato e supportato passo per passo e mi avete permesso di realizzare un sogno!!! Enrico V.
Se qualche pigro allievo dalla scarsa attitudine
atletica si fosse chiesto, mentre cuoceva a bassa temperatura risalendo verso
l’accogliente rifugio degli Angeli, si fosse chiesto, dicevo, “Ma chi me
lo ha fatto fare?”, ebbene, egli avrebbe trovato la risposta il giorno
successivo, vedendo emergere dal pannosissimo ghiacciaio del Rutor il massiccio
del Bianco e tutta l’allegra combriccola di celebri montagnole della zona, che
non staremo qui a citare.
Poi, l’infantile eccitazione derivata dalla plastica discesa nella pannositá poc’anzi citata gli avrebbe fatto persino dimenticare la domanda. E non sarebbero certo stati i doloranti polpacci, nei giorni successivi, a indurlo al pentimento e a smorzare il suo entusiasmo. Figurarsi che bellezza per noi veri duri. Riccardo R.
Dal Rutor non si vede il mare. Se il cielo è terso, e questo fine settimana lo era, dalla cima del Rutor (a 3486 m s.l.m.) la vista è incredibile. Ma no, non si vede il mare. Si vede il Monte Bianco, con le sue lingue glaciali infinite e i suoi seracchi, si vedono il Mont Maudit e il Mont Blanc du Tacul, si vedono le Aguille du Diable, le paurose creste dell’innominata e la cresta Kuffner, si vede l’Aguille Noire e l’Aguille Verte, si vedono i satelliti e il magico Grand Capucin, si vedono le Aguille d’Entreves e i Flambeaux, il Dente del Gigante, la cresta di Rochefort e la parete est delle Grand Jorasses. Si vedono vari 4000 della Svizzera dai nomi impronunciabili ma che senza dubbio terminano con -horn, si vede il Gran Combin, il Cervino i Breithorn i Lyskamm e tutte le vette del Monte Rosa, si vede anche la nord del Gran Paradiso. Certo non si vede il mare. Ma qualcuno lo voleva vedere? LDN
Che dire…….forse la mia prima vera gita completa di sci alpinismo……splendido! Un non ottimale stato di forma e l’esposizione di alcuni passaggi ai quali non sono troppo abituato hanno fatto sì che abbia avuto bisogno di un aiuto ed ecco prontissimi gli istruttori e i compagni, chi con una parola in più chi con una bomba energetica e chi, come il diretur, con un pusun…….grazie a tutti per l’ottima compagnia e la bellissima esperienza! Fabrizio Z.
Siamo una squadra fortissima.
Aggrediamo le montagne come le stufe in muratura, ci arrostiamo al sole e
dormiamo al freddo ma, soprattutto, passiamo dalle barrette energetiche alle
acciughe di Mauro senza la minima vergogna!!!
Marco C.
Punto di vista della retroguardia. In fondo al gruppo. Ben distanziati. Che vocazione! Ci siamo nati. Non è per caso, né costrizione, che manteniamo la posizione. Non esploriamo. Niente ambizione. Tanto ci basta, che al nostro passaggio tranquillizzato si ritrovi il paesaggio. Siamo partiti piuttosto male. Per distrazione. Troppo veloci. In mezzo al gruppo è innaturale. Non ci troviamo. Tornare in fondo l’aspirazione. E’ senza sforzo che ci riusciamo. Secondo giorno. Rivoluzione. Colpo di mano in diagonale. Quale riscatto di condizione. Ci ritroviamo davanti a un passo. Quegli altri allocchi tanto più in basso. Questa è avanguardia, e non adeguati, dobbiamo ammettere che siamo bloccati. L’iniziativa fa presto a mancare, e ci dobbiamo consegnare. Dal direttore invochiamo clemenza. Sia moderata la penitenza! Tutt’altra storia. Disciplina mai vista. Siamo costretti a far d’apripista. R.G.
Ciao Dario, ma che spettacolo, mi scopro incredulo nel riguardare le foto che ho fatto sabato e domenica, che posti, che esperienza, mi spiace non averti/avervi conosciuto una decina di anni fa…. Ho perso un sacco di tempo. Visto che è inutile piangere sul latte ecc, tornando al presente, ho scoperto una dimensione magica. Sono senza parole…. Vi ringrazio davvero, siete una grande squadra! M.P.
Questa gita è stata il massimo: percorso emozionante, valli immacolate, salite impervie, attraversamento ghiacciai, passaggi tecnici e vedute meravigliose. Una sensazione di leggerezza e di libertà mai provata prima. Grazie a tutti gli istruttori per averci portato – in massima sicurezza – così in alto! F.B.
Grazie ancora per la meravigliosa uscita di due giorni! Andrea B.
….ed ora vai allo slide show del magnifico week end…
Si dice che la necessità aguzzi l’ingegno, subordinatamente a ciò: data la neve, data la necessità… l’uomo inventò gli sci, da lì, visto che le montagne erano già state inventate in precedenza, inventò lo sci alpinismo, inventò Ottorino Mezzalama, con conseguente trofeo per dare allo sci alpinista il giusto tormento, poi in rapida sequenza il telefono, la liturgia della domenica, il pullman a tre assi, il tavolino da merenda (propriamente detto) con la merenda, gli sci leggeri e… giunti ai giorni nostri, la gita doppia di sabato e domenica inclusi gorge e boschi di larici.
Cominciamo dall’inizio, ci si scalda con una bella corsetta in auto fino ad Argentera (Valle Stura), impaludati, ci si avvia alla volta del Monte Enchastraye, comunemente conosciuto come Il Picco del Diavolo, che sornione ci osserva nell’evoluzione dei nostri sforzi e dopo un avvicinamento nel fondo valle, una gorgia insidiosa, un plateau apparentemente inoffensivo, una severa parete innevata, un tratto di cresta percorso a piedi, si vede costretto a segnare la resa alla nostra esuberante superbia atletica. Che dire, giunti in vetta ci troviamo avvolti dalle ormai note, ma sempre palpabili sensazioni di immensità, immensità ulteriormente ampliate da un meteo perfetto (la cui perfezione si mormora possa essere ascrivibile ad una certa assenza) e poi discesa, gorgia inclusa fino alle auto.
Cerimonie di assegnazione degli alloggi con consueti liti furibonde per l’accaparramento del piano superiore dei letti a castello, risolta come di consueto in sfavore dei meno prestanti atleticamente e anche meno abili nella nobile disciplina della boxe.
Superate le tensioni per i letti, cena piacevolissima per una trentina di atleti in un posticino grazioso con grasse portate di polenta e ogni altra cosa. Pare sia stata servita una sola bottiglia d’acqua in tutta la serata, e per altro ritirata a fine servizio ancora oltre la metà.
Nuovamente in scena, il giorno seguente, travestiti da sci alpinisti penetriamo in territorio nemico per una decina di Km, organizziamo il campo base a Larche, i travestimenti funzionano, il nemico non nota la nostra presenza, ordinatamente, con apparente noncuranza ci avviamo verso un fresco boschetto di larici, lì giunti lo aggrediamo con ferocia schivando alberi e passando su ogni cosa, guadagniamo il plateau superiore. Qui ci troviamo al cospetto del nostro obbiettivo, Tête de Fer, comunemente detto Pic du Diable, il quale sornione ecc. ecc…. Lo attacchiamo con convinzione, lo espugniamo in poche falcate. Una volta domato il picco cambia pelle, diventa una quasi accogliente sella da cui godiamo di una vista incredibile sulla corona di montagne circostanti.
Giunti a valle, fatta merenda, smobilitiamo il campo base prima dell’arrivo del nemico, e con il bottino pieghiamo verso terra italica.
Il bottino è consistente, due spedizioni in due giorni, circa 2400 metri di dislivello, esperienze importanti su terreni non esattamente facili, giubbe rosse che escono finalmente allo scoperto con manifestazione di stima nei nostri confronti, stima amplificata e ricambiata, sensazione di straordinaria complicità con tutti i componenti della spedizione, merito dello splendore apparso ai nostri occhi e del sacrificio necessario per cogliere tale apparizione.
La morale è che non trovo un morale, d’altra parte le morali per loro natura sono più efficaci in caso di episodi grevi e scomodi che non fanno per noi. MP
Quarta Uscita…..Pensieri della giornata (in ordine
cronologico)
04.45!! ammappatelo che botta… speriamo valga la pena
di ‘sta levataccia.
Che bus figo! Che sedili
morbidi! Lo schienale va giù in maniera sontuosa… facciamoci un bel sonno… Ah,
ci siam fermati? ‘ndo stiamo? Aò, che è sto caldo!? Ci han portato a Rapallo?
Ma c’è la cabinovia… ahhh,
hai capito la furbata!! … mò ci porta sulle vette innevate!! … come la cabinovia
arriva solo fino a Chamois?… Bello il
paesino… certo, c’è più neve a Rapallo…
Ecco, ora il Diretùr chiama a raccolta lo stato maggiore… adesso scodellano la soluzione… però, le facce son quelle di Napoleone e dei suoi generali prima della battaglia di Waterloo..
Ci sarebbero gli impianti…
la seggiovia… no, eh…
Ah, così siamo messi? si
sale sulla pista… di neve sparata… una striscia bianca tra i gladioli…. ma cosa sperare di meglio!… che palle…
Ma quelli in seggiovia che mi guardano,
pensano quello che penso io al loro posto quando vedo uno che sale a bordo
pista?
La Loby lo sapeva, ecco perché non è venuta…
“Bestemmiavano Dio e lor parenti, l’umana spezie e ‘l loco e ‘l
tempo e ‘l seme di lor semenza e di lor nascimenti.”
… son due ore che scarpiniamo, e siamo
arrivati dove gli sciatori scendono dagli impianti… che figata…
“Papà, ma quei signori perché non sono
saliti con la seggiovia?” “Paolino, non è bello indicare le persone”.
Se il Toro deve perdere,
Signore, non oggi
“Papà, ma lo fanno perché sono poveri?” “Sì
hanno speso tutto da Jolly Sport e non hanno più soldi”.
Ah, ma in punta c’è una chiesa… ecco, tutto
si spiega! E’ un cammino di penitenza!
“Penitenziagite!”
[il Diretùr “Adesso scendiamo, ripelliamo e
risaliamo”] Nota a margine: la variante
eretica dello “Sci alpinismo mite”, noto come lo “Sci alpinismo con cilicio”, ha
tre regole deontologiche : “Salire a bordo pista – ripellare – fare una ricerca
Arva”. Oggi vedrai che facciamo terno.
Ma guarda, bella la neve!! Si fanno anche le
curvette!! Bella però ‘sta discesa!! Oh, ma di quanto scendiamo? che poi si
deve risalire!
Dai, si risale anche bene. ‘Nzomma,
l’abbiamo aggiustata, và!
Riecco la chiesetta. Ora si scende, yuuuuhh!!! Figata ‘sta discesa!!! Ma come scio bene su
pista!!
Ricerca Arva? Insomma! la neve non c’è… o
scaviamo tra le primule, o non possiamo nasconderlo!
Strepitose ‘ste acciughe! E la crostata al cacao, farcita con caramello salato e ganache al cioccolato, tanta roba! Tre ore per farla, un minuto per vederla sparire…
Giusto, qualche dato sulla gita: “Salita da Chamois alla Cappella della Madonna di Clavalitè, 730m. Ridiscesi fino al bosco sopra Cheneil per 350m e risaliti”. A voi il totale.
…ed ora la filastrocca di Elena:
Chamois, ma la neve ndò sta?
Il ritrovo è alle sei,
Ma nessuno è ancora sveglio direi..
Direzione valle d’Aosta,
Ma con una breve sosta
Infatti la meta ancora non si sa
Il diretur ce la dirà solo a metà.
Ed eccoci a Chamois
Dove risaliamo le piste
Circondati da un paesaggio triste.
Sono spogli i fianchi
“Cara neve, ci manchi! “
Le prime ed ultime guce della
giornata
Le abbiamo fatte in una zona molto pelata.
Arrivati alla chiesetta
Si spella per la prima discesetta,
Ma non illudetevi che sia finita..
Presto ricomincia la salita!
Ripelliamo ancora una volta,
Ci giurano che è l’ultima stavolta.
Riscendiamo le piste da sci
Disordinati, un po’ di qui, un po’ di lì.
Prova con l’artva? Fioccano i disertori
Tra gli istruttori ci sono istigatori
Che spingon l’allievo alla rivolta
“manca la materia prima questa volta! “
Ma tutto ciò non è sufficiente
Perché l’allievo diligente
E l’istruttore intraprendente
Danno il via alla simulazione
Fatta sulla terra per disperazione.
C’è chi avvia un boicottaggio
Andando al bar come all’arrembaggio
Finché i primi non prendon coraggio
E allora tutti giù alla funivia
che come sardine ci porta via,
Perché nulla ci mette in fuga
Come quando a valle c’è l’acciuga.
Infatti tra la folla vien fuori una confessione
Al mondo ci son due tipi di persone:
“Chi marca a uomo e chi marca a tavolino”
Se sei tra i secondi sei sicuro un UGETtino!
Con quest’ultima filastrocca
Il mio grazie per voi trabocca
Grazie per la compagnia, le risate,
Le laute scorpacciate e le mille cose imparate.
Buon proseguimento di gite
E che siano di neve ben fornite! Elena Bignoli
>>>>>> ora lo slide show: clicca sulla foto qui sotto
Credo che la maestria dimostrata
dalla natura nel saper accostare l’azzurro del cielo al verde delle foglie proprio
come al candore della neve sia uno degli spettacoli attraverso cui meglio
riesca a dimostrare l’esperienza consumata del vero protagonista della scena di
fronte a noi spettatori di tanta meraviglia.
Eh già, spettacolo grandioso,
ancor di più quando gli scorci più suggestivi si colgono a forza di braccia e
bucce di foca, ed è di questo che parleremo, partiamo dal principio.
Siamo alla gita numero tre e
contravvenendo alla più classica delle previsioni piemontese/catastrofistiche,
dopo le prime due edizioni caratterizzate da condizioni meteo non propriamente
confortevoli, abbiamo finalmente ribaltato la pervicace tendenza. Non parleremo in questa sede del germogliare
di certi (tutto sommato legittimi) sospetti, che vorrebbero ascrivere a un particolare
soggetto assente domenica, la responsabilità del far convergere sulla verticale
del nostro manipolo di eroi fantozziane perturbazioni, ci limiteremo per le
prossime uscite, nel confrontare il parametro presenze/assenze del soggetto in
questione con le condizioni meteo che via via si incontreranno, dopo di che il
direttivo ne discuterà l’eventuale interdizione.
Torniamo a noi, nel caso dovesse
essere necessario ribadire, la gita è avvenuta qui:
Rochers
Charniers da Montgenèvre. Difficoltà: BS [scala difficoltà: sta per Buoni Sciatori] , esposizione prevalente in discesa: Sud-Ovest, quota partenza: 1860m,
quota vetta: 3067m, dislivello totale : 1207m
Ritrovo magnanimamente procrastinato alle ore
6.30, si tratta pur sempre di orari da caserma, ma la mezzoretta in più fa….
Finalmente svelato un aspetto misterioso della vita degli istruttori, di questi
semidei avvolti da una spessa coltre di mistero. Eh sì, da tempo ci si chiedeva:
ma questi Elohim cosa dovranno fare durante il viaggio, cosa si diranno di così
riservato da non ammettere figure a loro subordinate sul LORO mezzo, Ecco,
domenica, facendo il mischione con un solo autobus abbiamo finalmente visto….
non fanno niente, dormono placidamente, e forse è per questo che preferiscono appartarsi,
d’altra parte è risaputo, l’istruttore è come il gatto (non delle nevi) va e
viene, sparisce per poi ricomparire all’improvviso al tuo fianco, l’istruttore
non lo scegli, è lui a sceglierti. E più di tutto l’istruttore necessita delle
sue 16 ore di sonno quotidiane.
Sbarco avvenuto a Montgenèvre con sorprendente
facilità senza che le autorità del luogo ostacolassero le operazioni (si sa,
proveniamo pur sempre da un paese meridionale) indossate le nostre armature via
tutti a marciare. Due cosette che val la pena di menzionare, la prima: potrà
apparire banale ma ragazzi, panorami suggestivi, impregnati di una luce tersa,
abbagliante e meravigliosa. Inizio facile di riscaldamento con difficoltà
crescente ma sempre ampiamente gestibile, coadiuvata dall’impeccabile e
continua collaborazione da parte dei nostri angeli custodi. Caldo, molto caldo,
troppo per essere a febbraio, devo dire non sgradevole, ma lo sci alpinista è
preparato ad affrontare il freddo, il caldo è più una cosa da bagnino… Tuttavia
ci si adatta, e poi la salita, rispondendo al celebre adagio che recita “Nulla
dura in eterno” anch’essa finisce. Finisce sulla punta. Che spettacolo, guarda,
laggiù in ci sono il Viso con il Dado di Vallanta che ci spiano, e poi tutt’intorno
montagne a perdita d’occhio, che meraviglia, sono attimi di immensa emozione. La
seconda: discesa, a tratti molto bella, c’è chi l’affronta con assoluta
disinvoltura (non io) chi con discreta disinvoltura (non io) chi con qualche
difficoltà (non ancora io). E poi
finalmente io …. Comunque anche questa
volta giungo vivo all’autobus per preparare ciò che alla fine mi viene meglio,
la mia piccola parte di rinfresco post-operativo. Bellissimo. Che figo, la
magia della merenda improvvisata da celebrarsi con le persone con cui si è
condiviso un simile torrente di belle emozioni è qualcosa di impagabile. Che
dire, grazie a tutti. Grandissima squadra.
Ringraziamenti e precisazioni: ringraziamento
al proprietario del tavolo da campeggio, senza il quale nulla sarebbe così come
è. Lo proporrei per una carica all’interno del direttivo. Ringraziamento a
tutte le anime gentili che mi hanno soccorso in stato di disidratazione durante
la gita, ciò mi ha permesso di rimanere in vita … tant’è che all’autobus per ripristinare
il corretto livello di liquidi ho bevuto credo una bottiglia di barbera … e comunque,
quando uno ha sete, vi assicuro che la barbera funziona benissimo. Prometto che
alla prossima porterò anche 6 bottiglie d’acqua.
Adesso la smetto. Vi abbraccio e state avanti
con il peso. Alla prossima. Viva la foca!
Spiritosi, quella delle pelli……
Mauro P., quello delle acciughe….
…ed ora la poesia di Elena:
Tacuma a rampié per la punta di Rochers Charniers
Ogni volta un quarto d’ora più tardi, Ma non basta a cambiare gli sguardi.. Così assonnati alle sei e trenta, È l’orario che tutto rallenta. Col bus andiamo in direzione val di Susa Mentre regna una sonnolenza diffusa. Come sempre il diretur di primo mattino Puntuale ci risveglia dal sonnellino Che precede un po’ di sano sci alpino. Inforcati gli sci, recuperati gli accessori E’ fatto il cancelletto dagl’istruttori, Si parte alla volta del Rochers Charniers E così uno, due, tre, tacuma a rampié. Dopo la seconda gita sfortunata Ne becchiamo finalmente una terza soleggiata Hallelujah! Si vede qualcosa In questa giornata meravigliosa, Qualcosa di diverso dal bianco annebbiato: Un spettacolo davvero incantato, Infatti dopo mille zig zag in salita, Qualche guancia un po’ arrostita, Un bel po’ di fatica avvertita Ed una sudata inaudita, Finalmente in vetta Ci attende una vista perfetta! Dopo un meritato riposo E un po’ di foto con un panorama strepitoso Iniziamo 1200 metri di discesa Attraverso questa valle estesa. Tra versanti pieni di sastrugi E pendii con parecchi pertugi C’è chi pala, chi ARTVA e chi sonda, Ma poi al via si scatena la baraonda. Tutti giù per mangiare i soci: Pare in atto l’assalto dei Proci Che divorano tutto come barbari feroci O anzi sembran delle cavallette Che fan sparire tutto con le loro zampette Ma poco importa, il risultato è lo stesso: Il deserto dei tartari è ciò che resta adesso. Tra un bicchiere di vino e qualcosa tra i denti Ci si domanda: chi tra gli assenti È il colpevole degli sfortunati eventi Delle due uscite precedenti?
Ed ora le FOTO! Bella giornata = tantissime foto. Allora, vai allo Slide show:
La prima gita della Scuola per me
è un concentrato di emozioni: mi fa ripensare alla mia Prima Gita, datata
1987; poi segna l’inizio della stagione:
si tira fuori l’attrezzatura, si ritrovano certi automatismi (pellare la sera
prima, doppia sveglia sul comodino, tisana per la gita, ecc.). E poi finalmente
si rivedono amici che si sono lasciati alle ultime uscite dell’anno prima.
Certo, un po’ di poesia è venuta
meno… Grazie ai social, ormai so che quella che per me è la prima gita, per molti
altri è l’ennesima; quando io stavo ancora riponendo secchiello ed ombrellone,
c’era già gente che pubblicava foto di sciate qua, là, su e giù, di serpentine,
di cime conquistate.. E che cappero! E un po’ come, il primo giorno di scuola,
arrivare tutto trullo, e scoprire che gli altri han già fatto “rosa rosae rosae”, e “lupus lupi lupo”,
e sono già alla terza declinazione…. Non vale così… è già che sui pendii ti
superano che manco una Ferrari sulla corsia di sorpasso, questi non hanno mai
smesso di macinare dislivelli (pure ad agosto, secondo me, tengono in freezer
un po’ di neve, che mettono su di un tapis roulant, o su di una grande ruota
per criceti).
Però mi affaccio lo stesso bello
carico all’appuntamento antelucano. Secondo la tradizione degli ultimi anni,
abbiamo due bus: scafati (istruttori/consorti istruttori/aggregati) ed
esordienti (allievi + Diretùr); sul primo i gesti sono ordinati e coordinati, e
si dorme (del che approfitto); ma mi manca l’atmosfera del secondo, assistere
alle scoperte dei nuovi venuti, osservare quell’impaccio che deriva dal fare
una cosa per la prima volta con sconosciuti.
Alla lettura dei gruppi, scopro
che è stato raggiunto il record storico: 13 gruppi.. se uno fosse scaramantico
avrebbe qualche timore… L’arrivo nel posteggio degli impianti di Crevacol conferma
che la scaramanzia è una scienza esatta: lo scenario è quanto di più
disincentivante ci sia… fuori è ancora scuro, fa freddo, nevischia… Controvoglia si scende, ci si veste, e ci si
avvia.. i pendii sono tristi, poca neve che non riesce a coprire erba ed
arbusti…
Lungo la salita un timido sole fa
capolino; allude, illude e sempre delude… Copriamo in circa 3.30 h i 900 m di
una gita senza storia.
Sul colle di Crevacol giusto il
tempo di rifocillarci, e si scatena una bufera: questa sì, rimarrà nei miei personali annali…
il vento schiaffeggia e trafigge con mille fiocchi cristallizzati, la visibilità
è minima, fa un freddo becco; lesti scendiamo con una derapata su pendio gelato.
In una giornata dove la formazione era oggettivamente difficile (rischio
valanghe 0,5) la montagna ha voluto contribuire con qualche insegnamento: chi
ha infilato nello zaino le pelli di foca arrotolate sul panino alla frittata,
può annoverare l’esperienza che l’operazione spellamento è bene farla subito,
perché poi magari le condizioni mutano…
Siamo un po’ abbacchiati.. si diffondono fake news sulla volontà del
Diretur di fare una ricerca Artva in punta, che richiederebbe uno scongelamento
al microonde dell’intera brigata. Invece nulla di tutto ciò; si scende, con una
gradita sorpresa: la discesa è sulle piste, in condizioni più che buone.
Bene! Nel disegno di legge che ho
presentato sull’introduzione dello “Sci alpinismo mite”, pendente in
Commissione Senato, tutte le gite prevedono la discesa su pista, se non sono
garantite condizioni ottimali di powder…
Al bus, consuete ed abbondanti
libagioni, di tutto un po’: acciughe rosse e verdi, torte, torcetti, vino, ecc.
ecc.
Nel tragitto a Torino, l’erede
dei Dugono prende il microfono; vuole intonare la Montanara? No. Spiega che
verrà creato un profilo Instagram della Scuola di Sci Alpinismo… e ci invita a
caricare foto ed a “taggare”. Da digital immigrate, seguo un po’ confuso… Fortunatamente
mi viene in soccorso Vittorio, che serio mi spiega: “Capita di taggare, quando
non digerisci le acciughe. Ma tranquillo, non è un nostro problema”.
Arriviamo a casa presto; anche
questo positivo aspetto è recepito nell’articolato del disegno di legge sullo
sci alpinismo mite: “La gita finisce presto, si arriva a casa, e si guarda la
partita del Toro. Che vince”.
Un altro zampino dei pervasivi
social arriva la domenica sera: foto di amici sci alpinisti celebrano gite
sulle Marittime, benedette dal sole… Ma noi sulle Marittime non siamo potuti
andare, perché alla velocità dell’era digital si contrappone la burocrazia,
ferma all’Editto di Teodorico: la comunicazione della
meta ai bus va fatta in pergamena con sigillo imperiale, ed una volta fatta, non si cambia più…
L’ultima sorpresa è la mattina di
lunedì: appena desto, un messaggio del Diretùr mi informa che un’allieva ha già mandato una
poesia, in rima baciata, sulla gita… Attende la mia relazione per pubblicarla…
Ma che ansia! Non si può far tutto veloce… una volta erano solo le gite ad
avere ritmi forsennati, ora pure la relazione! Non hai ancora riposto gli sci
in soffitta, e questi giovani han già mandato un poema in endecasillabi…
Attento Diretùr.. diffidiamo di
questi trend… uno si distrae un attimo, questi ti organizzano una votazione on
line, su qualche piattaforma del piffero, e ci troviamo un nuovo Direttore, che
magari di sci alpinismo capisce poco, ma le acciughe le fa buonissime ed ha un
sacco di like…
Cavùr
….ed a seguire l’articolo del “veterano Cavùr” ecco la poesia di una giovane allieva:
Poesia: Una giornata in rima baciata
Suona la sveglia. Giù dalla branda
Ci aspetta l’appello del capobanda.
Sul bus regna un silenzio monacale,
Solo qualche ronf eccheggia nel buio totale.
Il diretur alle 8 si desta
Finalmente tiriamo tutti su la testa:
Il Crevacol ci attende con aria funesta.
Scesi dal bus ci abbraccia il gelo
Del sole nessuna traccia in cielo.
Sotto il ponte della statale
C’è chi trova riparo dal freddo abissale
E chi invece fa una pipì colossale.
Dopo la ricerca dei compagni di sventura
E la raccolta di tutta l’attrezzatura,
Si comincia a salire
Ed il sudore si fa sentire.
Mentre la neve scende
Piano piano la gücia s‘apprende,
Mentre la colonna sale
C’è chi pensa “per iniziare è la gita ideale!“.
Sul colle soffia il vento e urla la bufera
La neve di traverso s’infila nella canottiera
La montagna veggente quasi arrabbiata
Sembra dirci: ”Andate! Che v’aspetta un’acciugata..!”
Così quasi senza colpo ferire
La discesa iniziamo a gestire:
Dopo qualche curva ben assestata,
Una lunga derapata
Ed un bel po’ di neve ventata
La simulazione viene disertata,
E tutti giù per sperimentare sta famosa magnata!
È un assalto bello e buono
All’ allievo con il dono!
Non scherzava mica Dario
Quando parlava del “sistema fognario”:
Se dopo i torcetti e gli amaretti
ti offron le acciughe, che fai non le accetti?
E la torta coi porri dopo quella al cioccolato?
Niente di meglio può essere abbinato!
C’è chi dice: “Tranquilla basta saltellare,
tanto tutto insieme si va a mescolare!”
Alla fine sul bus ci parla di un veterano il diretur,
Ma la domanda resta, quando ci presentate sto Cavour?
Elena Bignoli
ora puoi andare allo Slide Show, collezione delle foto della prima gita 2019:
Siamo quasi al termine dell’estate, a 4 mesi dalla fine del corso, e, nell’attesa di rispolverare gli sci nella bianca farina (ancora due mesi?!), come da tradizione dobbiamo assolutamente ricordare le “girls” dell’ultimo corso, ben 20 iscritte su un totale di 52 allievi.
Ecco il link allo slide show delle “girls” del 53° corso della SSA: vai allo Slideshow