USCITA 6 del 7-8/04/18 – VAL MAIRA

Homecoming ovvero il mio primo weekend con la scuola da ex allievo.

Confesso che una parte di me alla fine della scorsa stagione sperava di poter rimanere in qualche modo e in qualche forma nell’organico della scuola, magari come nuova figura di sotto-assistente-psicologico-anziano all’aiuto-istruttore giovane e di belle speranze. Un’altra parte di me ne era assolutamente terrorizzata (cosa faccio di fronte ad una domanda un po’ “tecnico-calcolosa” di un allievo ingegnere del primo anno? Lo faccio entrare in uno stato di trance e gli sussurro all’orecchio “tu non hai fatto nessuna domanda, tu non ha fatto nessuna domanda”?). Quando a novembre Enzo mi ha comunicato via mail che una buona idea per vendere i miei sci K2 era anche quella di andare alla presentazione del corso della Sucai, essendo psicologo, entrambe le mie parti hanno capito che si dovevano dare una bella calmata.

E quindi sono passato ad un rassicurante piano B: aggregarmi alla prima uscita di due giorni, nessuna responsabilità e con la possibilità di tornare a vivere con grande spensieratezza le emozioni che mi hanno accompagnato per tre anni.

Classico ritrovo a Mirafiori (che bello alzarsi dopo tanto tempo alle 5!) e ci si sposta in macchina a Marmora, La Marmou in occitano, comune “sparso” in Val Maira.

Prima gita: da Marmora a Punta della Tempesta 2679 metri, per un dislivello di circa 1200 metri.

Non ho ancora infilato gli sci che Dario afferma perentoriamente: “tu Enrico stai con me!”. Più che una minaccia.

Se considerate il noto fenomeno del “raggio della morte” (vedi relazione di fine scorso anno) e il fatto che si tratta della prima gita dopo la “sofferta” serata delle elezioni, capirete il netto ridimensionamento del mio livello di spensieratezza. Detto questo, un po’ come un’ochetta di Lorenz, mi accodo diligentemente al Direttore.

In realtà tutto scorre liscio e ho persino la possibilità di chiacchierare amenamente con Dario riguardo gli effetti degli smottamenti alpini sulle baite prendendo in considerazione le inclinazioni delle travi (una parte di me, nella mia testa, interviene: “ma veramente stai disquisendo di travi?” e l’altra parte prontamente interviene “non ti preoccupare, poi ti spiego”).

Il leitmotiv della gita è sicuramente il caldo torrido. Gli occhiali mi si appannano continuamente a tal punto che faccio le gucie in braille. La temporanea cecità mi impedisce per lungo tempo di vedere le striature gialle della sabbia del Sahara sulla neve ma mi accodo con fede alle espressioni di sorpresa corali. Poi il calore crescente mi porta in un alterato stato di coscienza con evidenti dispercezioni*  sensoriali : il pensiero che sia molto particolare che nel deserto del Sahara ci siano delle striature bianche di neve prende progressivamente forma. Il confronto diretto con molti allievi disidratati, peraltro, mi porta a pensare che si tratti di dispercezioni* di gruppo (fenomeno rarissimo!).

Seguo il Direttore anche quando in prossimità della cima si affianca a Luca e i due Lider Maximi iniziano a procedere come dei Freccia Rossa pellati confrontandosi sul destino della scuola, su quello della Sezione o forse su quello dell’Universo intero. Il ricordo dei contenuti della conversazione è quanto mai confuso, perché ho un solo pensiero nella mia testa: l’ochetta non deve staccarsi dalla sua temporanea figura di attaccamento. Pena: l’estinzione della specie (quella degli ex allievi).

Finalmente l’oasi della cima da un po’ di frescura a tutto il gruppo.

Fantastica dimostrazione con la barella costruita con mezzi di fortuna. Robe da Ars Attack! Prendete due sci, delle bacchette a caso (non si sa di chi), un po’ di corde varie, fate tutti i nodi che conoscete. Fatto? E voilà, un capolavoro. L’idea che una persona con una gamba rotta possa mettersi nella posizione di Francesca lascia spazio a qualche perplessità, ma non perdiamoci nei particolari.

La discesa è libidinosa per i primi 300 metri poi la neve si trasforma in un Vinavil spacca-ginocchia. Molto particolare l’effetto frenata, che ricorda un po’ quello dell’ottovolante a fine corsa.

Che Dario abbia preso bene l’idea di potersi occupare della nostra scuola ancora per molto tempo e non dell’Universo intero, lo si capisce dal fatto che,  con massima fiducia negli istruttori, si butta a rotta di collo giù dai pendii di Vinavil. Il temuto ordine della “traccia unica” non sembra neanche sfiorare la sua mente.

Arrivati al campo base il gruppo si rilassa su delle sdraio da spiaggia bevendo Weizenbier all’interno di un mercatino dell’antiquariato delle Alpi Cozie: tutto ciò conferma il fenomeno pervasivo delle dispercezioni di gruppo.

A questo punto, essendo il comune “sparso”, ci si sparpaglia. Chi rimane alla frazione bassa avrà la possibilità di utilizzare la sauna finlandese. Ecco nella foto Alberto nella posizione di utilizzatore finale.

Chi va nella borgata superiore avrà invece la sorpresa di trovare, la mattina successiva, una colazione di tipo pantagruelico. Ottima la battuta del gentilissimo gestore: quando un gruppo francese si approccia alla mia colazione afferma: “ce n’est pas un marriage!”; quando un gruppo italiano fa la stessa cosa afferma (con accento Piemontese-deluso-lamentoso): “ma non c’è il miele…..”.

Ma torniamo alla cena tutti insieme. Il vino frizzantino dei colli Piacentini a 12 euro la bottiglia non è una dispercezione. E neanche la manche corale ad Explosion!. Rimarrà sempre impressa nelle nostre menti l’input perverso “parti di un frigo”. Sergio sembra avere la visione a raggi X di Superman riuscendo a leggere le parole sulla scheda nascosta! Nonostante questo, dopo sofferta partita, la parte del gruppo esposta ad ovest batte, in recupero, la parte del gruppo esposta ed est. E poi tutti a nanna senza voce.

Condivido la stanza con spassosissimi allievi del primo e del secondo anno. Ad alcuni di loro racconto le imprese che si realizzavano nella scuola “ai miei tempi” (cioè 3 anni fa): gite con 2000 metri di dislivello, utilizzare dei portali inter-dimensionali per spostarsi sulle nevi Himalayane, sciare su talmente tanta neve giù dalle Rocce del Fraiteve che non c’era traccia di alberi.

Il giorno successivo il clima è leggermente umidiccio ma non ci si spaventa e dopo trasferimento by car si parte per la seconda gita: da Preit 1540 metri fino ad “un non-luogo 400 metri più su in cima ad una salitona che bisogna fare delle gucie pazzesche che sopra si vedono e non si vedono delle rocce ed invece a sinistra non si capisce cosa c’è ma peraltro neanche a destra”.

Alla partenza per la seconda gita il rapporto di coppia con il Direttore (ormai ci avevo preso gusto!) deve lasciare spazio all’introduzione nel gruppetto ex-allievi delle mitiche figure di Thea e del sommo Cavour (tra l’altro un giorno glielo dovrò dire che sono della Juve ma, non so perché, mi dimentico sempre di farlo).

Visto il tempo avverso e dopo attenta esplorazione del “non-luogo”, dato che “il montanaro saggio ha il coraggio di tornare sui propri passi” (citazione di Riccardo), si fa dietro front. Ovazione per la saggia decisione.

Finita la discesa con il tenace ottimismo che contraddistingue gli sci alpinisti incalliti (“non è neanche male questa neve, una volta mi sono accorciato un dito con la grattugia di mia nonna ed è stata una sensazione peggiore”) ci si reca  alla locanda di Ponte Marmora alle prove generali del pranzo matrimoniale di Roberto e Federica (per la durata) dove il vino costa euro 1,57 a testa. Anche qui il Direttore fa il direttore innovando un sistema di ordinazioni in uso dal 1854 (almeno qui ce l’ha fatta!). Nelle prossime elezioni della pro loco di Marmora sapete chi votare. Tenete solo conto che il nome sulla scheda del Presidente va scritto con caratteri armeni a rovescio e che i consiglieri non vanno scritti ma disegnati oppure rappresentati in semplici bassorilievi.

Homecoming, titolo della relazione, è l’ultimo film di Spiderman in cui l’eroe torna a casa dopo aver vissuto mille avventure con gli Avengers (citazione estremamente dotta, altro che Cavour!). Apparentemente non sembra c’entrare molto ma se la casa è il posto in cui le cose vanno come devono andare e come sempre sono andate, ovvero qualcosa di molto rassicurante, la sensazione che ho vissuto in questi giorni è stata proprio quella di essere tornato a casa.

La cosa più importante è, però, che sono stato molto felice di rivedervi e di passare nuovamente due giorni bellissimi con tutti voi. E questo lo dico a nome di tutte le mie parti.

Epilogo. Entro a casa, quella originale, raggiante e con molte cose da raccontare. Mia moglie, che mi conosce bene, dopo avermi ascoltato, mi chiede: “quand’è la prossima gita della scuola?”. “Non lo so, perché me lo chiedi?”. “Così, tanto per sapere”.

Lo so quand’è la prossima gita e so anche dove: 21/22 aprile, Valpelline, Rifugio Crete Seche!!!

Un abbraccio a tutti e soprattutto a Dario che per due giorni mi ha fatto entrare nel suo Cerchio Magico (senza neanche dire una volta “Enrico, cazzo!”).

Enrico  

* Dispercezione: alterazione della facoltà di percepire, di acquisire cioè, mediante i sensi, informazioni su sé stessi e sul mondo circostante

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USCITA 5 del 25/03/2018 – PUNTA FLASSIN

La quinta uscita della stagione doveva per forza lasciare il segno, le precedenti lo hanno fatto sicuramente portandoci a scoprire le piacevolezze e le difficoltà di questa grande passione, ma questa volta, parlo come allievo del primo anno, mi aspettavo qualcosa di più grande: iniziare a vivere l’ambiente delle grandi montagne sugli sci, e quale luogo migliore se non la Valle d’Aosta?
La partenza apparentemente “ritardata” il giorno dell’ora legale non si fa sentire, buon segno vuol dire che siamo elettrizzati! Tutti sul pullman e vediamo cosa ci aspetta! Tra il chiacchiericcio, il pensiero ad un meteo clemente e la voglia d’iniziare non riesco a farmi la solita pennichella prima di ascoltare con la coda dell’occhio le formazioni dei gruppi e soprattutto della destinazione: Punta Flassin in valle Gran San Bernardo! Finalmente si arriva al parcheggio, l’illusione di un bar purtroppo chiuso per un caffè tanto desiderato si contrappone al lusso di un vero bagno. L’aria è fresca e si sta all’ombra ma il cielo promette bene, ci si trova con i compagni di gruppo e via! La prima parte della gita ha delle pendenze gentili, ci permette di ammirare l’ambiente suggestivo intorno a noi, parlare senza avere il fiatone, quasi non sudare e pensare per una volta d’aver azzeccato l’abbigliamento. Intanto il dislivello inizia a farsi sentire, i raggi del sole che spuntano fuori dalle creste delle montagne sembrano avvisarci che l’ombra durerà ancora per poco; ed eccoci improvvisamente in un ambiente completamente diverso, niente più boschi ed un bella sosta a metà percorso in un suggestivo alpeggio soleggiato, quasi irriconoscibile per l’enorme manto nevoso che lo avvolge.  Eccola finalmente l’aria di primavera, mancava da tanto tempo e risentirla in questo posto non può che renderla ancora più piacevole. Uno spuntino veloce e si riparte, adesso l’ambiente inizia a diventare più impegnativo, la pendenza, l’aria sempre più fresca e frizzante sono uno ostacolo ma anche uno stimolo, non vorrei esser da nessun altra parte! Quanta suggestione nel vedere così tanta gente in un pellegrinaggio ormai silenzioso in un posto dove il tempo non scorre come siamo abituati a vivere, sognare l’arrivo ed immaginare le possibili vie più belle da percorrere nella tanta agognata discesa. La cima è vicina, il cielo e la terra si fondono in un contorno così meraviglioso, eccolo lì il traguardo, scarponi che affondano nella neve. Tutto sembra fermo, si tolgono le pelli ed inizia il divertimento, attorno a paesaggi mozzafiato siamo pronti a galleggiare su nuvole di neve, non si può ridurre tutto al solo sciare, non è uno sport, è un emozione. E poi tutti a bere e mangiare, felici a festeggiare una domenica che resterà viva per molto.

Davide Lovera

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USCITA 4 del 18/03/2018 – ROCCE DEL FRAITEVE

Sembra incredibile, ma siamo già arrivati alla quarta gita. Si sta quindi per completare la prima parte di questo favoloso corso di sci alpinismo. Eppure mi sembra ancora di vederci tutti a bordo pista allo Jafferau, gli aspiranti allievi in attesa di sapere che ne sarebbe stato della prova in pista appena svolta, gli istruttori a deciderne la sorte!

Ripercorriamo con la mente le domeniche di corso che si sono succedute dopo quella giornata in pista, ripensando alle gioie ed alle fatiche affrontate in quei giorni e chiedendoci che cosa ci aspetterà questa volta.

Appena partiti, abbiamo una sorpresa: la destinazione è cambiata, scopriamo di essere diretti verso la valle di Susa, precisamente all’imbocco della strada per Solomiac, lungo la statale del Colle del Monginevro, da cui partiremo alla volta della dorsale alle Rocce del Fraiteve. Il cambio di programma è dovuto ad un bollettino nivo-meteo non proprio rassicurante (con pericolo valanghe 3 su quasi la totalità dell’arco alpino), e determinante per la scelta di una gita che si sviluppi principalmente in un bosco.

Le gite che si svolgono in Val di Susa hanno il vantaggio che partono da zone raggiungibili in breve tempo, unica nota negativa: l’ordinario pisolino a bordo pullman dura di meno!

Così, dopo nemmeno un’ora di viaggio, ci ritroviamo con gli scarponi ai piedi e gli sci a spalle, in marcia verso il primo strato di neve buono ove montare sugli sci. Per fortuna, sono sufficienti due curve per trovare il manto innevato, perciò, in un attimo, la montagna viene invasa da tanti puntini colorati, che lentamente la risalgono. Seguiamo le tracce dei gruppi che ci precedono, risalendo in modo ordinato il pendio, che fortunatamente non si rivela mai troppo aspro.

Anche questa volta, come nelle gite precedenti, riconosciamo di essere stati fortunati con il meteo. Nonostante le previsioni pessime, il clima non sembra troppo ostile e riusciamo anche ad avere buone condizioni di visibilità, che, durante la salita, ci consentono di apprezzare il magnifico paesaggio che ci circonda: con il manto bianco, gli alberi scuri ed il cielo grigio, sembrerebbe di guardare una foto in bianco e nero, se non fosse per la nota di colore formata dagli scialpinisti.

Raggiungiamo la meta a quota 2370 metri dopo averne percorso un dislivello di 1120. Lungo la cresta, sotto le Rocce del Fraiteve, ritroviamo gli altri gruppi, qualcuno già pronto ad affrontare la discesa. Si è deciso di non raggiungere la punta per la troppa neve in quota, l’esposizione dei pendii soprastanti e una progressiva perdita di visibilità. Quindi, appena il tempo di togliere le pelli e fare uno spuntino veloce, che già stiamo fluttuando in una neve meravigliosa. E’ neve appena caduta, farinosa, non troppo compatta, non pesante e, grazie ai nostri istruttori, sempre alla ricerca della discesa perfetta, per buona parte la troviamo intonsa.

Scendiamo fino ad un gruppo di alpeggi dove ci fermiamo per il classico momento didattico: questa volta ci esercitiamo nell’utilizzo degli strumenti per la ricerca del sepolto da valanga, artva, pala e sonda. A turno, quindi, cerchiamo il “sepolto” con l’artva, sondiamo e spaliamo.

Terminate le esercitazioni, portiamo a termine anche la discesa.

E una volta al pullman, come di consueto e come accade nelle migliori manifestazioni sportive, il più appagante “terzo tempo” che si possa immaginare! Nemmeno il momento di togliere entrambi gli scarponi che abbiamo già una fetta di torta salata in una mano ed una lattina di birra nell’altra! Si banchetta alla grande, come sempre, e poi si riprende la via del ritorno, contenti e soddisfatti di aver portato a termine anche questa quarta “impresa”!

Irene e Chiara Salza

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USCITA 3 DEL 4/03/2018 – BEAULARD

Dopo le ingenti nevicate di fine febbraio, valutato il pericolo valanghe, “marcato”, gli istruttori della scuola decidono di far la terza uscita del corso su terreno sicuro e propongono una salita lungo una pista degli ex impianti di Beaulard, ormai in disuso.

Il ritrovo è alle sette del mattino, un vero lusso direi, in corso IV Novembre a Rivoli. Appena si incontrano i compagni di corso e gli istruttori si percepisce una certa elettricità. C’è molta aspettativa nei confronti della neve, freschissima e abbondante come da circa 5 anni non si vedeva (parlo da grande appassionato meteo).

Si parte davvero puntuali, sul bus si scambiano chiacchiere e si è anche meno addormentati delle altre precedenti mattinate! In poco più di un’ora siamo al piazzale di Beaulard.

Scesi dal bus ci si prepara con maggior scioltezza rispetto alle prime volte. I gruppi si districano prima per le vie del paesino e poi, individuato l’inizio della salita, su per il bosco su quelle che erano fino al 2010 delle piste da sci.  La salita appare faticosa per la neve fresca da battere e i primi gruppi, che si alternano alla battitura della traccia, sono davvero tenaci.

Arrivati a circa 900 metri di dislivello raggiungiamo la meta (che scoprirò essere la prima), la garitta del vecchio skilift.

Breve pausa, veloce colazione e si prende a scendere su una neve favolosa.

Ma qui arriva la sorpresa: scesi di circa 300 metri ci si ferma su un tratto pianeggiante, all’imbocco di una pista di collegamento che conduce al rifugio Rey.

Si ripella!! Si torna a salire!!

Superato il rifugio, 150m più su, ci vengono offerte due possibilità: fermarci lì dove si sta preparando una strepitosa lezione di nivologia o nel frattempo risalire di circa altri 50 metri.

Il mio gruppo, confortato dagli istruttori, opta per continuare ancora a salire. Non si molla! …e si risale anche per continuare ad esercitarci nelle inversioni in salita su neve fresca e non battuta. Ancora qualche metro e tolte le pelli si scende con gusto proprio a ridosso del luogo scelto dagli istruttori per illustrare il profilo nivologico.

Tutto è stato preparato nei dettagli per la spiegazione sulla neve e i suoi strati. Viene anche “tagliato” un cuneo nella neve soprastante il profilo su cui passerà uno sciatore per sollecitarlo sino a quando, dopo un salto, uno strato di 50cm si stacca e scivola sullo strato ghiacciato sottostante.

Come sempre un’ottima didattica che ci insegna altre particolarità sulle proprietà della neve, sulla coesione, sui pericoli di distacco, sugli strati di scivolamento interni al manto nevoso, e le domande non mancano.

Finita la lezione si riprende la discesa sia sulla vecchia pista che tra i boschetti dove alcuni alberelli “tendono imboscate”. La sciata diventa puro divertimento. Durante la discesa cerchiamo di carpire il più possibile con gli occhi e il corpo il segreto delle splendide sciate dei nostri istruttori.

In poco tempo gli 800 metri di discesa spariscono e ci ritroviamo già al pullman. Escono improvvisamente torte salate, torte dolci, grissini, salami e squisiti formaggi. Uno dei nostri compagni sfoggia una torta salata spettacolare, una compagna una dolce strepitoso. Cerco acqua ma trovo solo birra. Si torna a casa, molta felicità, tanta soddisfazione e molte chiacchiere sulla via del ritorno, risate e conoscenze che diventano sempre più approfondite e, perché no, grazie alla neve speriamo diventeranno anche splendide amicizie…..

Gianluca Menichetti

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USCITA 2 DEL18/02/18 – COL SERENA

La parte più dura della gita è sempre stata per me la sveglia!

È la promessa della giornata in montagna che mi dà l’energia per iniziare… insieme alla garanzia di un sonnellino sul comodo pullman della scuola.

Quando, sul pullman, sono stata svegliata dalla successiva promessa della gita al Col Serena, sento la svolta! La gita al Col Serena è proprio una bella gita, che mi ha sempre lasciato un ricordo luminoso e, per l’appunto, “sereno”.

Da Aosta, verso il Gran San Bernardo, si arriva al grande piazzale di Crevacol dove i due pullman posteggiano comodamente.

Il cielo è incredibilmente terso, l’anfiteatro bianco del fondovalle è stupefacente.

La gita si snoda attraverso paesaggi e pendenze che cambiano, con un lungo spostamento iniziale a fianco del bosco, sbalzi di salita che raggiungono gli alpeggi, ancora passaggi in falsopiano e poi pendenze più ripide. Uno straterello di neve fresca, caduta da poco, ci fa ben sopportare la salita e allegramente pregustare la discesa.

Gli allievi di quest’anno sono in gamba, salgono veloci e regolari con i loro gruppi, chiacchierano, si raccontano. È così che anch’io incontro Laura, ci scambiamo parole di entusiasmo per la bella giornata e intanto saliamo: Laura mi confida che da anni desiderava iscriversi a questo corso e, ora, spera non sia troppo tardi… Le garantisco che la gita di oggi la rassicurerà (“non è mai troppo tardi” questa volta ci sta proprio bene) e che l’entusiasmo le farà dimenticare i dubbi. Così è stato: me lo ha detto lei, con una fetta di torta di mele in mano, a fine gita.

Un po’ più su, scambio due chiacchiere con Aldo che, con un sorrisetto di soddisfazione, mi confida che sono ben 30 anni che è istruttore!!

Me lo ricordo Aldo, tanti anni fa, forse non 30… Era già istruttore quando sono diventate istruttori (istruttrici?!) le mie sorelle. Un bravo istruttore, gentile e competente, con un ottimo stile di discesa, da me molto ammirato. Scambiando con Aldo questi pensieri, ritornando agli anni passati, mi viene in mente la mia prima gita di sci-alpinismo, con il mio papà, a Madonna di Cotolivier. Ritornano i miei pensieri di bambina: “che bello il nome Madonna di Cotolivier e che bello fare una gita con il mio papà”, abile e rassicurante scialpinista. Così mi rendo conto che da quella gita sono passati 50 anni! Era la primavera del ’68: la mia mamma, anche lei scatenata scialpinista, era a casa con il pancione: a giugno sarebbe nata Silvia.

Io amo la montagna ma vivo in città. Come primogenita sono stata sottoposta ad una disciplina di montagna, forse un po’ troppo severa: ho sempre continuato a sciare ma ho litigato per tanti anni con le gite e la fatica. Mi sono dedicata ad altri sport e a crescere le creature, divertendomi con loro sulla slitta, sugli sci in piccole stazioni sciistiche e poi, quando sono cresciuti, sciando a tutta velocità con amici e cugini.

Poi, pian piano, ho fatto la pace con le gite, con lo scialpinismo, con la fatica vissuta da adulta. Sono tornata e sono stata affettuosamente accolta dalla scuola.

Ma ritorno coi miei pensieri al Cotolivier, alle pelli di foca vere, bianche e nere, a quella prima gita. Fantastico un po’ mentre salgo al Col Serena: sento un sorrisetto malizioso e divertito dentro di me.

La giornata è davvero splendida: i 920 m di dislivello sono ripagati, al Colle, da un panorama mozzafiato! Gli istruttori si prodigano a nominare montagne, a descrivere il manto nevoso che cambia, a riconoscere il tragitto delle valanghe nei valloni circostanti.

Sul Colle ci sono ampi avvallamenti: ci si può rifocillare e poi dedicare alla ricerca ARTVA con sondaggi, scavi, …e sepolti vivi! “Che impressione – mi dice Cristina sbigottita – toccare con la sonda, non la neve, non le pietre, ma un umano!!”.    L’”umano” viene presto liberato, lasciando a Sara e ad Andrea la parola per qualche cenno di primo soccorso in montagna e di primo intervento ad eventuale sciatore estratto da sotto una valanga.

Ormai stiamo tutti fremendo: ci aspetta una gran bella discesa, una vera “goduria”! Tanta neve, leggera e intonsa, tanto spazio per fare una serpentina ciascuno. Gli istruttori fanno fatica a tenere gli allievi che si scatenano felici, con qualche capitombolo quando la neve cambia.

Si arriva presto a valle e ci si prepara per la meritata merenda, ancora al sole. Sui pullman la compagnia è allegra e frizzante, pronta per le prossime gite e alla ricerca di mete per le gite di due giorni.

Last but not least, a casa mi attende un’ottima cena!

Monica

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….e non solo, abbiamo anche un video:

Quanto ci mettiamo a Scendere? CCCiiinnnqqquuueee mmmiiinnnuuutttiiiiiii

 

 

USCITA 1 DEL 04/02/2018 – Punta Moncrons

Correva l’anno 1987. A San Remo vinceva il trio Morandi, Tozzi Ruggeri con  “Si può dare di più” (praticamente l’inno degli sci alpinisti).

In quei tempi, l’appuntamento con il bus della scuola era a Torino, Corso Stati Uniti, angolo Corso Galileo Ferraris, quasi in centro. Per chi abitava nei pressi di Piazza Adriano, un tiro di schioppo; così, un giovanissimo allievo (di belle speranze) andava a recuperare un giovanissimo istruttore (dalle luminose prospettive) con la sua FIAT 500. Il modello era quello “L”, con sedili reclinabili, il che offriva svariate possibilità (eh, eh, eh..), ma la lunghezza ridotta dell’abitacolo non permetteva di ospitarvi gli sci; quindi, ingegnosamente, gli stessi venivano piazzati in verticale, aprendo il tettuccio.

In una buia e fredda domenica mattina, i nostri due si dirigevano dunque all’appuntamento antelucano – con indosso cappello/guanti/giaccavento per proteggersi dall’effetto bora del tettuccio aperto – quando vennero affiancati da un auto dei carabinieri. Il giovane istruttore abbassò il finestrino. Ovviamente il mezzo non disponeva di alzacristalli elettrici, ma di manovella, che azionata produceva un suono (“gnik, gnik, gnik”) tale da rendere vieppiù imbarazzante la situazione dei due tapini, che la luce bluastra del lampeggiante offriva allo sguardo dei tutori dell’ordine incastrati nell’abitacolo ed imbozzolati nell’abbigliamento da sci.

Il carabiniere alla guida – senza cercare di mascherare lo sconforto provocatogli dalla versione giovanile di Fantozzi e Filini –  indicando con un gesto del mento gli sci sporgenti, disse “Non va mica bene guidare così…”. Rispose l’allievo al volante, proprietario del mezzo, e – in virtù della frequentazione della Facoltà di Giurisprudenza – più idoneo ad interloquire con i militari dell’Arma: “Guardi, è solo per un breve tratto, siamo quasi arrivati”.

Intervenne allora il capopattuglia, che insospettito dal verbo di moto utilizzato (“Arrivati”), volle vederci chiaro: “Ma voi, state andando, oppure tornando da sciare?”.

Oggi forse non avrei resistito alla tentazione di rispondere “Eh, il Diretur ci fa fare dei dislivelli tali, che le gite del sabato terminano la mattina di domenica all’alba”… Allora ero più giudizioso, e mi limitai saggiamente a spiegare che il bus ci attendeva a pochi minuti, ottenendo così un benevolo lasciapassare.

Nel 2018 molte cose sono cambiate: i reduci di quel lontano 1987 sono meno di una decina; l’appuntamento con il bus della gita è nelle lande desolate di quel di Rivoli; i bus sono due, grandi e comodi; il tragitto lo effettuo con un auto più capiente, e moltissime combinazioni di reclinabilità dei sedili (eh, averle avute da giovane…).

Ma quel che conta, non è mutato: lo spirito resta quello, resta la voglia di neve, di scarpinare, di vivere la montagna insieme, di condividere emozioni con amici vecchi e nuovi. Questa è la ragione dell’incipit d‘amarcord, che mi sembrava un buon modo di iniziare la relazione della  prima gita della stagione (vabbè, conta anche che io non sono uno restio a raccontarsi …  sulla lapide pensavo di far incidere la scritta “Ma parliamo di me…”).

Ma veniamo alla gita: appuntamento al Mercatò di Rivoli, ore 06.45. Appena giunti al bus si percepisce un persistente profumo di fiori d’arancio…  che – obiettivamente – a Rivoli, in febbraio, è sorprendente…

Prua verso la Val Chisone, meta il Moncrons, m. 2509. Posteggiamo a Patte Mouche, poco dopo Pragelato: ci attendono 910 metri di salita sui pendi esposti a sud.

C’è un bel sole, non fa troppo freddo (-10° fuori dal bus).

Gli allievi iniziano a prendere confidenza con materiali, artva, inversioni. Saliamo tra gli alberi (curiose queste zaffate di fiori d’arancio in un bosco innevato… mah… ), tra lieti conversari. Qualcuno fa un po’ di fatica, rallenta, si ferma… Fatevelo dire da chi queste situazioni le ha vissute e se ne intende: non mollate! Praticare lo sci alpinismo non è questione di talento, ma di militanza … come la vita.

In circa tre ore di salita semplice, breve, piacevole siamo in punta (non fatevi ingannare: altre sfide, altri aggettivi, caratterizzeranno le prossime uscite…). Spuntino, foto tra i conquistatori della cima ed al gran panorama, e si scende.

La prima uscita prevede la canonica dimostrazione della ricerca del travolto da valanga: dopo il preambolo teorico dell’ottimo Luca, entrano in scena gli attori ingaggiati per la piece, che brillano per impegno e realismo. La prossima volta si cimenteranno gli allievi.

@B

Fuori dal bosco i pendii sarebbero fantastici se la neve avesse mollato un po’ di più (nonostante l’esposizione favorevole, le basse temperature non lo concedono), ma ci si diverte lo stesso. Al bus ci attendono le consuete, liete libagioni.

Ma che ne è stato della coppia di ex giovanissimi, allievo ed istruttore?

Il primo – promosso sul campo a “Coordinatore gruppo amici, dotato di radio” –  ha guidato con carisma il suo manipolo (erano 30 anni che non mi davano la radio: lo fece, nel mio primo anno di SSA, l’allora Direttore, in un’epica salita alla Tsanteleina, accompagnando l’investitura con un “arrangiatevi” … erano altri tempi).

Il secondo, dopo aver fatto tutta la gita da persona seria, dispensando paternamente consigli ed insegnamenti, ha dilapidato il patrimonio di autorevolezza appena conquistato avventandosi sulle torte, come un grizzly tra i salmoni….sensa cugnisiun. Certe cose non cambiano mai.

Cavùr

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le “girls” 2017

Siamo quasi al termine dell’estate, a 4 mesi dalla fine del corso, e, nell’attesa di rispolverare gli sci nella bianca farina (ancora due mesi?!), come da tradizione dobbiamo assolutamente ricordare le “girls” dell’ultimo corso.

53 gli iscritti del 2017, ben 21 le “girls”: il 40% !!!

 

 

 

 

 

 

 

 

Ecco il link allo slide show delle “girls” dell’anno 2017, del 52° corso della SSA : vai allo Slideshow

3 ANNI DI SSA : IMPRESSIONI E RICORDI

Quelli che ci sono sempre stati: pensieri ed immagini di Valerio ed Enrico.

Abbiamo recentemente scoperto che entrambi siamo stati sempre presenti a tutte le gite di questi ultimi 3 anni, uscite su pista comprese! Molto differenti nell’approccio alla scuola e forse alla vita in generale: competitivo-cimaiolo l’uno (ovviamente Enrico!), meditativo-interiorizzante l’altro (ovviamente Valerio!),  Psicologo e ingegnere, ciclista su strada e mountainbiker. Partendo dagli estremi ci siamo “ritrovati”, a volte anche nello stesso gruppo, ma soprattutto nello scherzare e nel riflettere sull’esperienza che insieme stavamo vivendo. Abbiamo deciso di mettere insieme alcuni pensieri di Enrico, un po’ seri e un po’ no, e le foto più belle di Valerio e proporveli.

Prologo.  

Il giorno del mio 50esimo compleanno, il 14 gennaio 2015, mia moglie mi manda alla Tesoriera ad assistere alla presentazione del corso: “quello è il tuo regalo!”. Scopro che la scuola compie esattamente 50 anni. Un segno del destino, inequivocabile!

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 L’approccio. Prima gita, 1 febbraio 2015. Dopo lo sci “normale”, lo sci di fondo, lo snowboard, il telemark finalmente approdo al Nirvana degli sport invernali: lo sci alpinismo. Tutto quello che ho già sperimentato si ricompone in una nuova “magica miscela” con qualcosa di più: montagne immacolate, lontano da tutto e tutti, se non fosse per il nostro gruppetto di 70 persone. Unica pecca il vento gelido che tutti ricorderanno per sempre: “Col di Vers: io c’ero, le mie mani e miei piedi no”. Avevo talmente freddo che pensavo alla mia prossima evoluzione da Pokemon sportivo: il Curling.

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 Lo shock.

Scoprire che dietro al piacere della fatica e all’ebbrezza della discesa ci sono numeri, calcoli, funzioni, tabelle…….non è possibile!!!! Si può fare cambio di regalo?

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Obiettivi. 

Gli obiettivi di un competitivo-cimaiolo sono assolutamente meschini. Primo anno, riuscire ad arrivare nel gruppo 1 ma soprattutto che il mio caro amico Francesco Ravizza non ci arrivasse. Secondo anno, arrivare in cima un passo dietro a Livio (questo me l’ha insegnato Daniele dutùr). Il terzo anno ho cercato di elevarmi abbassandomi: rendermi utile occupandomi della raccolta differenziata del banchetto condiviso (grande pecca in un’organizzazione impeccabile!).

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Momenti difficili, ovvero il diretùr e il “raggio della morte”.

Il “raggio della morte” è un raggio immaginario di circa 25 metri di una circonferenza immaginaria di cui io sono il centro (la circonferenza misura quindi 157 metri, dato irrilevante ma così mi alleno a fare calcoli). Se Dario mette piede o anche solo lo sci nella circonferenza io faccio una cazzata o la dico. E Dario mi becca (“Cazzo, Enrico!!!!”). Se hai vissuto anche tu l’esperienza del “raggio della morte” non chiuderti in un vergognoso silenzio, parla e sarai aiutato. Spero di non trovarmi da solo nel gruppo di mutuo auto-aiuto.

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Momento indimenticabile.

La riscoperta della fede nella gita a Rocca Bianca il 17 aprile 2016. Per una serie di motivi non ben specificati, la barella non era dove solitamente sta, ovvero nel mio zaino ma, diciamo, piuttosto lontana. Olga inizia la discesa e cade facendosi male. Mentre Livio propone il vecchio metodo “selezione della specie” (“abbandonatela li, vedi come si alza”) e gli istruttori “buonisti” la incoraggiano, io mi raccolgo in preghiera: “ti prego Signore fai che Olga si rompa la gamba quando la barella è nel mio zaino”. E l’Altissimo, la gita dopo, mi ha ascoltato!

Momento da dimenticare.

La traccia unica in discesa: una necessità per la sicurezza ma, complessivamente, meglio una colica renale. Peraltro quando ho avuto veramente la colica renale urlavo ai medici del pronto soccorso: “uccidetemi, brutti bastardi!”. Quanta sofferenza!

Momento esaltante. 

“L’assalto” finale al monte Thabor, 12 aprile 2015. Un rompete le righe assoluto! Chi arriva ultimo è della Sucai e scrive la relazione della gita!

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Mai più senza. Giocare ad Explosion! ad alta quota, 7 maggio 2016 e 23 aprile 2017 al Gastaldi. Sto cercando su ebay una versione del gioco in microfibra e anima in carbonio per grandi raid.

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Consigli preziosi degli istruttori.

Quello di Enzo: “dopo aver passato la sciolina lucida lo sci con il collant di tua moglie”. Grandi soddisfazioni anche con le calze a rete. Skialperotismo.

E quello di Riccardo: “nella neve polenta prova a levitare con i tuoi chakra in gore-tex” (o qualcosa del genere). Skialpmisticismo.

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Sci alpinismo e relazione di coppia. 

Il primo anno mia moglie, oltre ad augurarmi buona gita, mi preparava prelibate torte salate per il banchetto condiviso. Il secondo anno, anche no. Il terzo anno la mia probabile ex moglie indica ai miei figli dei bambini zingarelli abbandonati che chiedono l’elemosina: “anche loro sono figli di uno scialpinista con gli attacchi Atk, gli sci Movement e la tutina Montura”. Con specialissimo “scontone” nei nostri amatissimi negozi di fiducia!

Sci alpinismo e lavoro. 

Nel mio lavoro cerco di sostenere le persone facendomi carico della loro sofferenza. Basta! Faccio un corso di sci alpinismo e penso a me. Poi, quando torno a lavorare dopo la gita, alcune “frasi nella testa” guidano i miei colloqui con i pazienti: “vai piano che non ti sta seguendo nessuno, operazione riuscita-paziente morto” (Luciano), ma è “sicuro” questo passaggio che vuoi fare? Segui la traccia già solcata dal tuo collega, raccogli prima informazioni dal punto di vista visivo, “usa la testa” (Dario), qual’ è il percorso migliore per arrivare alla meta? Scialpinismo e formazione del terapeuta si incrociano e si confondono. Chi l’avrebbe mai detto!

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Motivi per consigliare la scuola a nuovi adepti.

Certo l’organizzazione suprema, certo la sicurezza assoluta, certo la competenza sterminata degli istruttori, certo gli aspetti conviviali e il gruppo. Ma l’essenza della scuola, per me, sta nella presa in carico della singola persona, valorizzando le sue risorse, credendo nei suoi miglioramenti, rinforzando i suoi passi avanti e tollerando, senza giudizio, le sue fatiche. Ingegneri o simil-ingegneri che “sostengono” le persone nel loro percorso di crescita: un incubo? un sogno? In questo caso una realtà.

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L’ingrediente segreto. 

Senza dubbio Cavour, aggregato aggregante, umorista umanista, storico della scuola e dell’umanità in generale, filologo delle “pornai”, fondatore e seguace unico dello “sci alpinismo mite”. La prima volta che lo vedi (ma anche la seconda e la terza) ti chiedi che cosa c’entri con tutto il resto, poi lo capisci. Assolutamente nulla, ma senza la sua presenza la scuola non sarebbe la stessa, e sarebbe meno di quello che è.

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Epilogo.

Ultima gita, Testa dell’Ubac, 7 maggio 2017. Mancano 50 metri. Sono affaticato, complice le 3 ore di sonno causate da una bravata di mio figlio adolescente (o almeno così me la racconto). Alzo la testa e vedo Enzo, il mio occasionale personal trainer, quasi in cima insieme al direttore. Roberto Telemark e Luca, giovane allievo prodigio, mi superano a doppia velocità mentre con i ramponi squarcio con cura i miei costosi pantaloni. Vado su con i muscoli dei neuroni (su, dai, su, dai…). Un po’ annebbiato ce la faccio. Dario si avvicina, mi sorride: “bravo Enrico!”. Sconfitto, temporaneamente, il raggio della morte!!! Le forze sono magicamente tornate. Che la Forza sia anche con voi!

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Saluti finali. 

Un abbraccio forte a tutti, allievi e istruttori, ma soprattutto a Valerio e Valentina, a Enrico e Valentina, a Fabio con i quali abbiamo condiviso tre anni di salite, discese e viaggi assonnati in pullman e sulla mia Multipla. Enrico.

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(Trova Malaccari)

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