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FESTA SORPRESA PER IL DIRETUR

22 ottobre 2021: data che il “diretùr” non dimenticherà.

Una festa ‘a sorpresa’ per omaggiare Dario che dopo 30 anni di direzione della Scuola di scialpinismo CAI Uget di Torino lascia l’incarico.

30 anni di corsi, 30 anni di uscite con la Scuola, 900 allievi passati, tanti gli istruttori formati, ricordi infiniti.

GRAZIE

Dario: 30 anni da Diretùr

La notizia, forse complice la pandemia in atto, è passata quasi inosservata. Nessuna prima pagina, nessuna apertura dei TG. Eppure ha avuto una Eco anche internazionale: da Buckingham Palace è trapelato sollievo, la Regina Elisabetta, pur dall’alto dei suoi 68 anni di Regno, iniziava a sentirsi il fiato sul collo.

Dario Dugono, Gran Direttore di tutti i Direttori, o semplicemente “Il Diretùr”, passa la mano. Abdica.

Siamo ancora lontani dalla durata del Regno di Ramsete, 66 anni, o di Fidel, 49 anni. Però è stato superato Bokassa, Direttore della scuola di Sci alpinismo della Repubblica Centrafricana solo per 13 anni (famoso per la sua severità: si dice mangiasse gli allievi…).

Sono uno dei pochi sci alpinisti viventi e praticanti che possa dire: ho conosciuto Dario quando non era ancora Direttore. Digito questa frase con il fremito che proverebbe chi potesse scrivere: “La prima volta che vidi Pelè faceva il raccattapalle”, oppure “Quando conobbi Andreotti, era uno stagista al Senato”, o anche “Ho conosciuto Rocco Siffredi quando non aveva ancora limonato”. Potrei continuare.

Dario, quando iniziai nel 1987, era un istruttore talentuoso e di belle speranze. Allora regnava, Alfredo, detto l’ “iracondo”. Giovane allievo, capii subito che aria tirava: al primo pernottamento in rifugio, dopo cena, dal tavolo degli istruttori partirono i canti, e dopo aver dato fiato alle ugole il Direttore Alfredo interruppe la strofa “Ma el prim ch’ a l’ è stait al mund l’ é stait nost Diretùr”, ci guardò in tralice,  e con tono grave sentenziò “Agli allievi non è permesso tacere durante i canti della Scuola”. Che nessuno delle matricole li conoscesse, era un dettaglio cui porre pronto rimedio.

Vidi poi ascendere al trono Giorgio Inaudi, detto “il Magnifico”. Straordinaria figura, invero: ricordo una gita con uno splendido sole (tutte le gite del suo regno erano benedette dal sole), in cui – dopo alcune ore in cima, spaparanzati – ci fermammo alle prime baite non per una ricerca Arva, bensì per un supplemento di sole e libagioni. E quando, infine, ci si apprestò alla discesa, interpellato da un istruttore “Ma chi c’è in apertura?”, Egli rispose con un immaginifico e meraviglioso: “La Fantasia in apertura!”. 

Nel 1990 venne incoronato Dario. 

Sono passati 30 anni. Il 1990 era un’altra Era. Per dire, l’edizione del Festival di San Remo venne vinta dai Pooh, con “Uomini soli”; Eloide era appena nata. Presidente del Consiglio era Giulio Andreotti; Di Maio aveva 4 anni. Scudetto al Napoli di Maradona; Belotti non era stato ancora concepito. 

Sci ed attacchi pesavano come ferri da stiro, l’Arva andava a carbone. Non c’erano i cellulari, né le mail.

Quindi, siamo davanti ad un evento storico. Dario in queste tre decadi ha visto plotoni di allievi, innumerevoli gite, infinite cime conquistate.  Nel “panta rei” che domina ogni cosa, lui è stato un punto fermo. Appena un po’ più incanutito rispetto a trent’anni fa, ma i suoi polpaccetti guizzanti –  la cui ostensione è riservata alle gite primaverili – sono rimasti immutati.

Per questo ho ritenuto imprescindibile chiedergli di raccontarci qualcosa di questi anni.  Non è stato facile convincerlo, il low profile sabaudo è un suo tratto distintivo, ma alla fine mi ha concesso un’intervista… mi sono sentito come Gianni Minà con Fidel, anche se in questo caso il leader Maximo lo vedevo solo da uno schermo con videochiamata.

Un’intervista a chi è stato direttore per trent’anni, da parte di chi per trent’anni è stato allievo/amicodellascuola/aggregato/cantore… ciascuno tenacemente ed orgogliosamente attaccato al suo ruolo. Poteva quasi uscirne un’intervista doppia”, come quelle della trasmissione “Le Iene” (dove c’è sempre la domanda “Hai mai fatto sesso in tre?” … dev’essere come fare l’Entrelor e poi il Rocciamelone.. un’esperienza appagante, che – dopo averla fatta – non hai la forza di raccontare). Però ho deciso di optare per un’intervista tradizionale… diversamente qualcuno avrebbe commentato, citando Longanesi: “Cavùr è così egocentrico che se va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa e ad un funerale il morto…”

Ma partiamo. 

Cavùr Dario, sono passati trent’anni, un tempo lunghissimo. Tutto è cambiato. Come è cambiata la Scuola?

Diretùr Ho iniziato a prendere le redini della Scuola nell’anno 1989, quando si doveva svolgere il 24.mo corso di scialpinismo del CAI Uget. In 24 anni si erano succeduti diversi direttori, ultimo – corso del 1988 – il mitico Alfredo Marchelli, precedentemente citato. Io però non avevo un titolo, (sì, quello di ingegnere, ma per dirigere una scuola di scialp non serviva) non ero ancora un istruttore regionale, ma con la complicità di Giorgio “il Magnifico” (più sopra citato) inventammo la posizione di “coordinatori” della scuola. Un duumvirato durato 1 anno, dopodiché Giorgio si sfilò ma mi affiancò, per il corso del 1990, un suo amico guida alpina, tale Livio Berta.

Nel ’90, la Scuola era enormemente diversa, innanzitutto per l’organico istruttori. 20 istruttori sezionali, 1 solo ISA (istruttore regionale) che nel ’91 abbandonava la Scuola.

Capii subito quanto fosse importante avere istruttori con il titolo. Nel ’90 provai a mandare qualche candidato al corso ISA, ma non passarono. Allora provai io nel ’92, e sono stato promosso ISA.

Dall’ora ho capito come ci si doveva preparare, e ogni due anni (i corsi regionali erano e sono tuttora biennali) mandavo qualche istruttore, e dal ’94 sempre con risultati positivi. Pian piano si è formato così un gruppo di istruttori titolati. Oggi la Scuola è forte di 20 istruttori titolati e 16 istruttori sezionali.

Nel ’95 poi ho preso il titolo di INSA, istruttore nazionale.

Cavùr L’approccio tecnico, l’organizzazione, allora erano indubbiamente diverse, meno strutturate, anche da allievo lo si percepiva.

Diretùr In generale c’era una preparazione tecnica inferiore ad oggi. C’era attenzione alla sicurezza anche allora, però si era molto indietro. Io ero presente all’unica gita del corso in cui c’è stato un incidente mortale, nel 1986. Non ero con il gruppo che fu coinvolto, perché ero sceso da un altro versante per recuperare due allieve che nel salire al rifugio della Balma, in soli 500 m di dislivello, si erano provocate bolle enormi ai piedi (anche questa, con i nuovi materiali, è una cosa che non succede più). Ho seguito alla radio il racconto della valanga, e sono sceso a valle per chiamare i soccorsi. Quando sono arrivati i Carabinieri, mi hanno chiesto: “Come facciamo ad arrivare con la macchina sul luogo dell’incidente?”. Li ho guardati stupefatto e gli ho spiegato che con la macchina non era cosa, ci voleva l’elicottero… Questo dà la misura di come tutto fosse molto più improvvisato; il mondo dello sci alpinismo era ancora un po’ pioneristico.

Cavùr Ora c’è molta più gente che pratica lo sci alpinismo?

Diretùr Anche negli anni ’90 la gente non era poca, 30/40 persone per ogni corso. Oggi limitiamo i posti a 50/60, ma la vera differenza è la preparazione degli istruttori, titolati sempre più numerosi e come dicevo tecnicamente molto più preparati. In ogni gita ora ci possiamo permettere di affidare 4 allievi a 2 istruttori, di cui 1 titolato. Sono anche cambiati gli allievi. Ora si avvicinano allo scialpinismo ragazzi e ragazze che gli sci li sanno condurre veramente bene, che si sono stancati di andare in pista, che vogliono scoprire il vero volto della montagna, raggiungere la vetta non più con impianti ma con le proprie gambe, faticando per poi meritarsi una bella discesa.

Cavùr Anche le lezioni teoriche sono più curate; sembrano lezioni del Politecnico…

Diretùr La preparazione teorica è fondamentale. E tra gli istruttori relatori nelle serate didattiche molti sono gli ingegneri ed uno è anche docente al Politecnico.  Non solo, ma anche i manuali del CAI sono fatti molto meglio e, soprattutto, regolarmente aggiornati. E poi si dedica più tempo a fornire spiegazioni agli allievi durante la salita, alle esercitazioni, fondamentali quelle riguardanti l’autosoccorso, la ricerca con l’ Artva e soprattutto come effettuare correttamente e con minor dispendio di energia lo scavo in valanga per recuperare un sepolto. Gli allievi di oggi sono naturalmente bravi ad usare un Artva, ma non sanno come usare una pala…

Cavùr Durante la salita ci si dedica soprattutto a “martellare” gli allievi… Come ha splendidamente scritto un compagno di sventura in un memorabile articolo, se Dario mette piede o anche solo lo sci nella circonferenza tracciata dal “raggio della morte” che circonda ciascuno di noi (“trattasi di raggio immaginario di circa 25 metri di cui noi siamo è il centro”) sicuramente faremo o diremo una cazzata. E Dario, impietosamente, la rileverà…

Diretùr Però gli allievi oggi escono dal corso con tutto quel che serve per svolgere l’attività in autonomia.

Cavùr Escono formati, ma forse arrivano già più preparati?

Diretùr Oggi la tecnica di sciata di chi si iscrive al corso è mediamente superiore. Non portiamo più la pila nello zaino…  Nei corsi di fine anni ’80 qualcuno si era addirittura presentato senza saper sciare e le gite finivano nottetempo…

Cavùr Mi ricordo il racconto che veniva tramandato, di un allievo che arrivato in cima disse: “Ed ora come si scende?”. E quando gli risposero “Ovviamente sciando”, lui disse “Ma io non so sciare!” 

Diretùr Scese con due istruttori, collegati via radio con gli altri che attendevano a valle, ed ogni tanto arrivavano notizie: “Siamo ancora lontani… Ora l’allievo prova senza sci… no, affonda… ora riprova con gli sci … no cade…”. Ecco perché ho deciso di introdurre la prova in pista per tutti i nuovi candidati allievi. 

Devo dire che la tecnica è migliorata anche grazie ai materiali: ora si può noleggiare l’attrezzatura, e riscattarla a fine stagione; una volta spesso si recuperava materiale usato alla bell e meglio. 

Cavùr Non ce ne sono più di allievi come me, che calzavano attacchi Silvretta il cui cigolio si diffondeva per la valle, e vestivano con colbacco dell’armata rossa e kefiah! 

Diretùr Meno male…

Cavùr Da vecchio allievo un po’ mi mancano i momenti “eroici”. Oggi non sarebbe più possibile far dormire venti persone in una baita di Pratorotondo come in quel corso del 1988, con un freddo porco, e una stufa che faceva più fumo che calore. L’urlo notturno “Campa an toc ant’la stùa!”, ed il  “Contrastate la porta!!” sono nella storia. Ma il “l’atmosfera”, la voglia di divertirsi insieme non è cambiata. Ci sono anche più donne: in bus ogni tanto si sente un profumo di fiori d’arancio..

Diretùr Effettivamente la percentuale di ragazze è andata aumentando, l’ultimo anno 40%, in media il 30% .

Cavùr La presenza femminile ha ingentilito la scuola; come le torte delle allieve. E degli allievi, che hanno raccolto la sfida. Ma veniamo ad aspetti più organizzativi. Che consigli daresti al tuo successore? 

Diretùr Ovviamente la sicurezza è fondamentale, ma non c’è bisogno di ricordarlo a chi verrà dopo di me; saranno istruttori nazionali, lo sanno benissimo. La recente sentenza del Tribunale di Aosta [che ha condannato per omicidio colposo plurimo e disastro colposo sei istruttori del Cai per una valanga che uccise due scialpinisti sul Colle Chamolè, vicino a Pila, durante una escursione nell’ambito di un corso di una scuola del Club alpino] rende ancora maggiori le preoccupazioni per Direttore ed istruttori. Al Direttore (di una scuola di altra Regione) è stata inflitta la pena di due anni, agli altri istruttori un anno e sei mesi.

Cavùr Molto pesante questa sanzione, comminata a persone che svolgono questa attività volontariamente, senza compenso. 

Diretùr Un consiglio meno scontato che posso dare al mio successore è quello di “farsi aiutare”. Le attività son tante, anche quelle amministrative. Bisogna trovare persone che abbiano voglia di farlo e che siano capaci di farlo. Essere un uomo solo al comando è faticoso. Il consiglio è di delegare, coinvolgere.

Cavùr Una cosa fatta e che consigli portare avanti? 

Diretùr Far ruotare nelle gite del Corso gli allievi sui diversi istruttori: una volta non si faceva, i gruppi venivano formati casualmente. Poi invece ho capito quanto fosse utile che un allievo provasse istruttori e stili diversi.

Cavùr Delle tantissime gite di questi anni qual è stata la più bella? La più brutta? 

Diretùr Sono quasi sempre stato presente alle gite della Scuola, quindi in totale ho partecipato a circa 250 gite da Direttore, ma sono state tutte belle, perché non ci sono gite brutte. Il meteo può essere brutto, ma se c’è freddo, vento, nebbia, se nevica, è comunque una gita istruttiva, utile per una Scuola.

Cavùr Ed adesso che farai? Pensi mica di metterti a guardare i cantieri a Bordighera? 

Diretùr Certamente no! Farò gite per conto mio, con amici, tre, quattro volte alla settimana. Quando il Corso ricomincerà, non lascerò la Scuola: continuerò come istruttore.

Concludo con una chiosa, molto personale. Dario sarà per sempre “IL” mio Direttore. E non solo per la durata del suo regno. O per la qualità o quantità dei ricordi. O dei cazziatoni, anch’essi innumerevoli. 

No, Dario sarà “IL” Direttore perché è stato un privilegio avere una “Guida”, una persona che sapeva cosa fare, in ogni occasione. Il ruolo di Direttore si adattava a Dario con assoluta naturalezza, e nello stesso tempo si percepiva il suo massimo impegno nel rivestire quel compito. Competenza ed impegno, un binomio prezioso e raro.

Il Dugono è stato una certezza; sempre presente, sempre puntuale, in mattine gelide spuntava accanto al bus nelle tenebre invernali, con la sua cartellina con i nomi. Ed io ad attendere il sospirato: “Sali Cavùr, c’è posto”, che mi consentiva di poter dormire ancora un po’ e non dover guidare.

La Scuola senza di lui oggi non sarebbe la stessa. Sono certo di interpretare il pensiero di tutti, istruttori ed allievi, nel ringrazialo di cuore per questi trent’anni.

Finisce un’Era. In bocca al lupo a chi verrà, e ci guiderà nelle tante gite che ci aspettano.

Cavùr

Marzo, 2021

Storie di scialpinismo mite, di Enrico Galasso, per gli amici ” Cavùr “

Chi non conosce o non ha incontrato Cavùr? quel simpaticone che ancora oggi si presente alle gite della Scuola come si vestiva negli anni ’90, ancora oggi rinnova solo la felpa, rigorosamente del Toro,

quello che – quando c’è – parte sempre con il primo gruppo e arriva con … non infierisco più, sarà forse perché in questi ultimi anni si è velocizzato: si è dotato di attrezzatura leggera…

Bene, Cavùr ha raccolto in un libricino, che allego, le relazioni che negli anni ha scritto, con passione, raffinate, divertenti, mai noiose, un maestro! 

Una buona lettura in questi giorni in cui #STIAMOACASA!

Dario, diretùr

Premessa

Che fare per alleviare l’attesa di tornare sulle montagne? Ho pensato di dare un contributo, coerente con quello che è sempre stato il mio ruolo nella Scuola: ho messo insieme una raccolta di tutte le relazioni che ho fatto, dai primi anni all’ultimo… sono tante, 25… 

Ho aggiunto una prefazione, un inedito, uno splendido disegno per la copertina fatto ad hoc da Alessandro, un paio di articoli sull’esperienza speleo, qualche nota agiografica in quarta di copertina.

Forse potrà essere un aiuto per far passare il tempo: chi quelle gite le ha vissute, avrà un’occasione per ricordare bellissime giornate; gli allievi di quest’anno – che hanno subito questo coiptus interruptus dell’esperienza sci alpinistica – potranno farsi un’idea di come saranno le prossime, più fortunate, stagioni.

Cavùr

Scarica QUI “Storie di sci alpinismo mite”

Buona lettura!       

… Le montagne non scappano … le ritroveremo  tutte ad aspettarci

lettera alla SSA

A tutti gli allievi, istruttori, amici, ex-allievi

Un carissimo saluto a tutti!

Sono già trascorse più di 5 settimane dalla nostra ultima uscita, era il 23 febbraio.

Nelle settimane immediatamente successive abbiamo dovuto, nostro malgrado, prima annullare la serata didattica e poi la 4° uscita.

La situazione permane critica e dobbiamo unirci agli appelli di tutti nell’osservare scrupolosamente le regole comunicate dalle autorità e stare a casa. 

Le montagne aspettano e ci offriranno altre opportunità di trovarci in un domani che non sarà purtroppo vicinissimo. 

Nel frattempo il direttivo della SSA sta facendo gli opportuni calcoli per offrire a tutti gli allievi 2020 un bonus valido per la re-iscrizione al corso del prossimo anno. Vi vogliamo tutti nuovamente con noi!

Ma non abbiamo ancora dato per concluso il corso 2020, restiamo fiduciosi.

Seguirà una ulteriore comunicazione tra qualche settimana, non appena sarà comunicata la data della fine di questa quarantena infinita e si potrà finalmente uscire di casa. 

Con l’augurio di poter tornare quanto prima alla normalità e con la speranza di ritrovarci insieme a maggio per una gita o passeggiata sui monti tutti insieme.

Per alleviare questa lunga attesa potete trovare sul sito della Scuola, nella pagina “Girl po(w)der”, ma anche accessibile alla fine della lettera, una nuova raccolta foto: le Girls del 2019/2020.

E poi: diteci cosa fate in questi giorni, come vi siete ingegnati per mantenervi in forma, se come e dove vi allenate. Scriveteci. Pensiamo di fare una pagina sul sito con i vostri racconti, le vostre sensazioni, e le vostre storie possiamo postarle su Instagram (solo con la vostra autorizzazione, ovviamente).

Un forte abbraccio a tutti voi da tutto il direttivo: Sara B., Vittorio, Francesca, Enzo, Kia, Sergio, Luca e Dario

Ed un grazie con tutto il cuore alle allieve ed allievi, istruttrici ed istruttori, che sono impegnati nella sanità e nelle farmacie, chi in prima linea a contatto con i pazienti, chi nei laboratori degli ospedali, ed a chi è rientrato volontariamente in servizio. Grazie!

DD

Un sorriso ora con le foto delle allieve ed istruttrici nelle nostre gite della scorsa e attuale stagione

https://www.flickr.com/photos/ssacaiuget/albums/72157713699064778
le Girls 2019-2020

3.a uscita, 23.02.2020: Crête de Lenlong

Viaggi che saltano, perché annullati dalle autorità oppure perché si decide che è meglio non partire. Questa è la situazione in epoca Coronavirus, ma nonostante ciò nel gruppo vacanze UGET sono tutti pronti a salpare, nonostante l’ora, affrontando un viaggio appiccicati come sardine.

Nel delirio generale alla “si salvi chi può” in una Torino che assomiglia sempre più alla Firenze del 1348, l’unica spiegazione razionale per interpretare la presenza di allievi ed istruttori a questa gita, è la falsa consapevolezza che in quota i virus non arrivino. Risulta quindi giustificata la folle scelta della partenza pre alba, quando l’unica ricompensa certa è la fatica, emulando così i ragazzi del Decameron.

Esorcizzato il drago del Coronavirus, con la spada dell’ignoranza, agli allievi più in fasce non resta che deviare le proprie preoccupazioni sulla meta da raggiungere durante la gita.

Ed ecco che tutti i gruppi, sotto l’attenta supervisione degli istruttori, scrutano con la dedizione di un cane da tartufi tutti i dettagli delle mappe a disposizione. Alla fine dello studio approfondito, la direzione è chiara e certa: seconda stella a destra, dritto è il cammino, porta alla vetta che non c’è. Ebbene sì, il punto di arrivo è anonimo, non definito, paradigma dell’esistenza stessa di ogni uomo.

L’unica certezza è il fanalino di coda del pullman degli allievi distrutto, che ci ricorda che forse svegliarsi alle 5 di mattina affrontando un viaggio in pullman come passeggeri è sempre meglio che esserne il conducente. Il povero conducente, a quel punto, nonostante mezza carrozzeria distrutta, si dedica a redarguire tutti gli incauti allievi che appoggiano gli sci su quel che rimane della fiammeggiante carrozzeria arancione.

Così inizia la gita.

Ci incamminiamo da Val des Près su una strada forestale per cominciare a carburare e rompere il fiato, che là si rompe definitivamente. I numerosi tornanti si inerpicano dolcemente per la montagna, dove i più intrepidi azzardano qualche scorciatoia direttissima fino alla borgata di Granon. 

Più che umano è il pensiero ad un pranzo in baita, ma gli istruttori ci propongono l’allettante alternativa dell’esercitazione con bussola e cartina. Qui viene a galla la pigrizia di qualcuno che non ha verificato i bollettini valanga in settimana, ma un certo entusiasmo nei confronti delle competenze scout acquisite durante l’ultima lezione teorica. 

Riprendiamo la marcia su per i monti e i gruppi di diramano, ovviamente non per alleggerire il pendio, ma unicamente nel rispetto delle attuali normative imposte dal Ministero della Sanità. La pendenza e la temperatura crescono, il numero degli indumenti addosso diminuisce, entro i limiti del possibile. Fa caldo come a maggio, gli alberi sono in fiore e le cicale accompagnano la salita, ma c’è un solo pensiero fisso: mi posso togliere tutto ma non i guanti! Ed è così che spuntano fuori immagini raccapriccianti di gente che sale con le culottes, mostrando lo villoso petto, ma appunto con i guanti, che senza dubbio coprono un’orticaria galoppante. Nessuno vuole essere immortalato in foto senza guanti e finire alla gogna pubblica del mercoledì sera e la suddetta è l’ovvia conseguenza di un clima di terrore.

Il paesaggio si apre su una splendida vallata innevata e rassicurante che ripaga la sveglia di ormai molte ore prima. 

Testimone dei nostri dubbi e delle nostre ambasce è una volpe, che sembra quasi ci faccia l’occhiolino prima di andarsene per i fatti suoi. Chissà se anche lei sa riconoscere la neve vecchia dalla neve nuova. 

Non è chiaro quale sia la meta. Il Fort de Lenlon è in vista, ma il gruppo di testa sembra voler puntare altrove per raggiungere gli oltre 1100 m di dislivello prefissati. L’indecisione tra il fermarsi e il continuare è palpabile, ma fortificati dalla lezione di orientamento e da un forte spirito critico, si segue la traccia del Diretur senza fare troppe domande. Le ultime (e forse uniche!) inversioni della giornata sulla dorsale attaccata alla roccia della Crête de Roche Gauthier ci permettono di raggiungere la cresta. I più celeri si assicurano un posto al sole sulla roccia asciutta, ma le postazioni finiscono presto.

Gira voce che si stia costruendo una barella, qualcuno si è fatto male? Non arrivano né smentite né conferme (la gente non ha più fiato), ma si affronta il dubbio con in mano un panino…la felicità. 

È il momento di togliere le pelli per non tardare a scendere giù dal versante sud, prima che la lezione di sci alpinismo si trasformi con queste temperature in sci d’acqua. Si dà il via alle danze e avanti tutta…in discesa, dove l’obiettivo di tutti sembra ritagliarsi il proprio disegno su una neve vergine, inaspettatamente ancora bella. 

A complemento di tutto ciò ci attende la doverosa esercitazione di ricerca Artva e sondaggio una volta tornati nella borgata di Granon. Dopo i sondaggi, alcuni allievi vengono richiamati all’ordine per finire di dissotterrare i manichini dispersi, ”Maschi Giovani”  appella il Diretur e improvvisamente tutte le donne del gruppo sono felici che le istanze femministe degli ultimi 50 anni siano state temporaneamente dimenticate. A dispetto della più alta retorica del Decameron, l’ermetica descrizione del patrimonio umano è il massimo grado di erotismo bucolico a cui possiamo ambire in questa novella.

La stradina finale ci regala delle belle curve e scendendo la sensazione di gratitudine e leggerezza si fanno tangibili, quando torneremo a casa ci sentiremo tutti meglio di quando siamo partiti. 

Al banchetto di fine gita si determina una strana dinamica che porta a dividere in due posti diversi la distribuzione del cibo. Uno scisma interno? Un’auto quarantena dei primi sospetti casi di Coronavirus? Troppo stanchi e affamati per cercare una spiegazione ci si divide tra le due fazioni e coccolati dal panino alle acciughe e l’ebbrezza di una birra si rientra felici a casa. 

In questi tempi pazzi, la voglia di mollare famiglia e lavoro e aprirsi un chioschetto di Amuchina nel lodigiano è molto forte… per fortuna che c’è il CAI UGET.

” Bello salire (e scendere) insieme! ”

Realizzato dalla delicata retorica di Cecilia Cavallo e l’inadeguato contributo di Giulio Farinelli e con la partecipazione del talent scout Matteo Gallo.

…ed ora vai allo slide show:

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2.a uscita, 09.02.2020: traversata della Punta Saurel

Nel calcio si dice che quando un modulo funziona è bene non cambiarlo, come il famoso e versatile 4-2-3-1 dell’ Inter di Mourinho o della Juventus di Allegri (nota bene, l’unico dei moduli che non contemplava Mazzarri al Toro, e ora capiamo il perché di tante cose … lo dico da tifosa granata!).

Ebbene, la prima cosa che ho imparato alla scuola di Alpinismo del CAI UGET è proprio che, qui, è tutta un’altra cosa.

Se alla Pitre de l’Aigle il modulo dato da: “700m dislivello, istruttori propensi alla didattica, incedere soft” (ogni riferimento alla prima relazione del mitico Cavùr è puramente casuale 😉 ) era stato alla portata delle nostre forze, la seconda uscita CAI regala invece il brivido dello stravolgimento di campo, del “cambio modulo” in favore di Cima Saurel: “1020m dislivello, istruttori propensi a pregare che ogni allievo arrivi in cima, ed incedere grintoso” – Luca Berta batte traccia con passo da bersagliere.

E così se Cavùr rimpiangeva, nella prima relazione, quelle vecchie scritte con stile eroicomico e dal canovaccio standard come nella filmografia di Bollywood… ecco che la seconda uscita ci regala un tuffo nel passato.

La partenza è da Bousson: felicissimo portage iniziale con scarponi ai piedi e annesso rischio volo su ghiaccio, che già ci mette tutti alla prova (come nei migliori film d’azione potremmo dire che “è solo l’inizio!”); i nostri istruttori si trasformano in cercatori d’oro: si prega per un po’ di neve su cui poter far “scorrere” gli sci, almeno in salita con le pelli!

La lunga strada verso la meta è resa però davvero piacevole dal bel sole che ci accompagna, dalla compagnia dei “compagni di sventura” e dal panorama di ampio respiro che davvero molto spesso regala dei WOW (il più delle volte non detti, ma solo pensati, perché – si sa – bisogna conservare il fiato! 🙂 )

Capanna Mautino e i suoi 2100m sanno alquanto di tentazione: al profumo di polenta e spezzatino che arriva dalla cucina, si pensa a disertare! Bella la soddisfazione della cima – per carità -, ma vuoi mettere una bella sosta lì… così facciamo tornare in auge anche il “dato tecnico” delle “mangiate pantagrueliche” che sempre il buon Cavùr ricordava nella sua prima relazione.

Ma chi si ferma è perduto… e così, dritti alla meta. 

Un po’ alla spicciolata…finalmente arriva Cima Saurel con i suoi 2451m: eccola lì la “visione dell’arrivo”, del dislivello macinato e della strada percorsa! Tutti sopravvissuti al momento e pronti alla discesa, da un altro versante, perché -ormai l’abbiamo capito- il brivido è il nostro mestiere e l’ignoto ci appartiene!

Ultimo sforzo è la prova didattica della ricerca artva: la suspance, anche qui, non è mancata, soprattutto nel gruppo di Aldo che, ad un certo punto, ha provato l’ebrezza di rimanere solo sulla montagna, a scavare mezzo vallone nel tentativo di ritrovare il dispositivo del proprio istruttore (nuovo di zecca, per di più!) che risultava “proprio lì” … eppure “lì”, non c’era mai! (Cavùr, non era spento l’artva ma ti assicuro, ci siamo divertiti come quella volta! 😉 )

Le piste di Claviere ci portano veloci al piazzale dei pullman, dove ci aspetta la solita abbuffata – questo sì un classico – che rimette al mondo tutti dopo una seconda uscita importante, che fa mettere benzina nelle gambe e ci ricorda (con le parole di saluto a fine gita del nostro mitico Diretur)  che “il meglio deve ancora venire”! 🙂

Cristina

Cristina con Cavùr

Il percorso di salita:

Ora vai allo slide-show, 110 foto tra le più belle ricevute:

https://www.flickr.com/photos/ssacaiuget/albums/72157713071803751

1.a uscita, 26.01.2020: Pitre de l’Aigle

Prima uscita della Scuola, corso 2020.

Abbiamo le foto!

Ora per vedere lo slide-show clicca sulla foto:

https://www.flickr.com/photos/ssacaiuget/albums/72157712919632542

Inizio da dove avevo terminato. Dallo splendido weekend del 13-14 aprile 2019, con l’accoppiata Gran Vaudala ed Entrelor. 3.200  m di dislivello in due giorni, il record della Scuola di Sci Alpinismo Cai Uget in 55 anni.. ed io c’ero… 😊 (c’ero anche sabato, alla peggior sconfitta del Toro in 113 anni di storia…. ma non divaghiamo). 

La settima uscita dell’altr’anno ci aveva regalato un’accoppiata sontuosa; parto da lì, perché la prima uscita del corso di solito non rende giustizia di quel che seguirà, ed è giusto che i nuovi allievi (benvenuti!!) sappiano che grandi soddisfazioni li attendono. Gli scenari saranno ben più appaganti della Pitre de l’Aigle da Borgata che ci ha impegnato domenica; certo, le gite si faranno via via più impegnative dei 700 m di dislivello percorsi, ma si sarà messa benzina nelle gambe, e la tecnica si sarà affinata. E – si spera – la neve sarà più gratificante di quella trovata in questa discesa: dura, soprattutto in alto, battuta dai passaggi precedenti; ma non è andata malissimo, per brevi tratti c’era perfino qualche oasi di farina….

Comunque, dicevamo, andatevi a leggere la relazione dell’uscita Gran Vaudala + Entrelor, conservata nel ricco archivio del sito della Scuola; l’impresa è stata magnificamente cantata da Andrea. Percepite la goduria di quel week end, e, con l’occasione, traete spunti, perché a qualche neofita toccherà stendere le prossime relazioni (io, per tradizione, mi smazzo la prima…). 

E fare le relazioni delle gite, ragazzi, mica è facile come un tempo… Una volta gli ingredienti della relazione (pubblicata su di un glorioso, ma tristanzuolo bollettino cartaceo), avevano un canovaccio standard, come i film di Albano e Romina, o la filmografia di Bollywood (lui, lei, il cattivo, balli e musica): la gita era narrata con stile eroicomico, condito con qualche dato tecnico ed immancabili riferimenti a mangiate pantagrueliche in piole remote.  Un uso corretto del congiuntivo era un buon titolo di merito per l’articolista, ma non essenziale.

Oggi, mica basta più… bisogna spremersi le meningi, cercare lo spunto ad effetto. Andrea ha fatto una cronaca simpatica, frizzante, di gran ritmo e notevole penna, con un tocco di originalità, inserendo link a brani musicali… proprio carina l’idea di associare la scarpinata ad una colonna sonora! Mi piacerebbe raccogliere la sfida, ma io come cultura musicale sto sottozero… Ognuno ha il suo backround… al Liceo che mi ha lasciato in dote il soprannome con cui mi firmo, poco si suonava e molto si veniva suonati… sono cose che segnano… Sarà per questo che i miei rimandi sono alla  Gerusalemme liberata del Tasso, in cui trovo magnificamente rappresentata la condotta di una gita di sci alpinismo.

Il saggio Capitan con dolce morso
I desideri lor guida e seconda:
…..
Gli ordina, gl’incammina, e ’n suon gli regge
Rapido sì, ma rapido con legge.
Ali ha ciascuno al core, ed ali al piede:
Nè del suo ratto andar però s’accorge.

Ecco apparir Gerusalem si vede:
Ecco additar Gerusalem si scorge:
Ecco da mille voci unitamente
Gerusalemme salutar si sente.

Ditemi se non c’è tutto! “Il saggio Capitan” che “guida e seconda” la truppa… Il Diretùr! 

(con questa captatio benevolentiae mi sono assicurato il posto bus per la stagione…)

Il “Rapido sì, ma rapido con legge” è una magistrale sintesi di tutte le lezioni che vi propineranno nell’anno.

E nell’anafora con cui i crociati salutano Gerusalemme c’è tutta la gioia dello sci alpinista per l’arrivo in cima (l’accostamento della cima a Gerusalemme, poi, è azzeccatissima… io di solito nell’ultimo tratto di salita vedo la Madonna e tutti i Patriarchi…)

Dovessi poi descrivere cosa associo alla fine di ogni gita, virerei su Dante.

E come quei che con lena affannata,

uscito fuor del pelago a la riva,

si volge a l’acqua perigliosa e guata,

così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,

si volse a retro a rimirar lo passo

che non lasciò già mai persona viva

Vedrete, quando si macinerà dislivello, come cara apparirà la visione dell’arrivo, delle macchine, della piola… e quale sarà lo stupore, voltandosi indietro, per tutta la strada percorsa…  e che tutti siano sopravvissuti..

Comunque, questa è fatta, la “prima” l’abbiamo portata a casa…

Gli istruttori, in questa salita, erano particolarmente propensi alla didattica, quindi l’incedere è stato molto soft; la discesa è stata interrotta da una ricerca Artva (ormai un classico della prima uscita) che dura una fracca di tempo….

Utile, utilissima, imprescindibile questa ricerca Artva, ci mancherebbe.. poi attori bravi e calati nel ruolo… voce narrante competente e preparata… però non prende, non appassiona… l’happy end è ormai scontato.. ci siamo divertiti un pò di più solo quella volta che si è seppellito un Artva spento…

Alla prossima!

Cavùr

Cavùr

8.a uscita, 05/05/2019: Ortetti da Balme

Dannazione! Follia! Mai abbassare la guardia, mai rilassarsi!

E’ bastato un attimo di distrazione, complici Bacco ed una serena sazietà, ed ecco che ti ritrovi incastrato.

Anni di abili sotterfugi e pietose sceneggiate gettati al vento. Quando ormai ti sentivi al sicuro, ecco che il destino si compie, il Maelstrom ti inghiotte!

Con un inaspettato e plateale colpo di mano, il Diretur ti affibbia l’incarico più temuto: la relazione di fine gita.

D’altra parte, come hai potuto anche solo aver avuto l’ardire di pensare di fargliela sotto il naso?

Relatori ben più degni del sottoscritto hanno già in queste pagine descritto la mirabile potenza del raggio della morte del Diretur. Diavolo di un uomo!

E’ quindi con rassegnazione ed umiltà che proverò a redigere qualche riga a memoria dell’ultima gita del corso di sci-alpinismo del CAI-UGET 2019.

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Notte fonda, appuntamenti a orari improbabili in luoghi ancor meno probabili sono ormai cosa trita e ritrita.

A questo giro niente bus. Che diamine, siamo figli del XX secolo, l’impero dell’automobile!

Raccattate masserizie e stanche ossa, proprie e degli amici e compagni, ci si avvia lungo buie statali verso Pian della Mussa, punto di ritrovo designato.

Le prime luci non illuminano uno straccio di bar aperto lungo la strada. Peggio per loro.

Al piazzale tira un vento siberiano. Aprire la portiera e scendere mi pare una pessima idea, ma tant’è.

Al riparo di un muretto pescato da una zona di guerra, uno sparuto gruppetto di istruttori e allievi confabula.

Li osservo: questa è gente tosta, che le rocce le sbriciola passandogli attraverso, mica le aggira. Roba da tana delle tigri, per chi ha presente.

Dopo circa trenta secondi di permanenza all’esterno sono colto da un certo pessimismo. In effetti, passa qualche minuto e giunge la decisione di scendere verso Balme alla ricerca di condizioni più agevoli.

Ripenso con piacere alle lezioni in cui si è detto quanto sia saggio saper rinunciare quando non è cosa.

Ecco.
Non è cosa.

Tornare a dormire non sarà certo disonorevole. Noi ci si è provato.

Purtroppo (ehm…) pare che la nuova località (frazione Cornetti) sia al momento più adatta allo sci-alpinismo, oltre che alla vita umana in genere.

Sci a spalle, scarponi attaccati in qualche modo, trolley, pollame e via, per un’oretta di portage che ci porta ad un migliaio di metri dalla destinazione, il colle sotto la cima degli Ortetti. Si calzano sci e coltelli.

Per tutelare la privacy dell’istruttore capo del mio gruppo, gli verrà assegnato un nome di fantasia: Vittorio Barella. Sapendo di poter contare sulla straordinaria condizione atletica dei suoi allievi, oltre che su di una loro naturale predisposizione alla fatica ed infine su una tecnica sopraffina, Vittorio impone fin da subito un ritmo indiavolato. Ci si fa beffe del ripido pendio aggredendolo nei punti più ardui ed uscendone con leggerezza. E’ una danza di punti e virgola e di rapide accelerazioni nel candore delle nevi, quella che ci conduce ad uno stretto canalone, dove il gioco si fa duro, e la neve sfasciosa. Divorato l’ostacolo come un dolce babà, solo un lungo piano inclinato (muro insormontabile è una definizione troppo forte?) ci separa dalla meta.

Graziosi animaletti spuntano tra le nevi lungo l’ascesa e si chiedono:
– Chi sono questi tizi? Forse una nuova specie di ungulati, che nelle loro mute variopinte salgono veloci verso le cime per la stagione degli amori?
– No, piccolo amico peloso. Essi sono sci-alpinisti. Salgono perché fa bene all’apparato cardio-respiratorio, perché amano la bellezza delle vedute e perché adorano scivolare veloci in discesa. Alcuni cercano la sfida, altri la pace, in generale sono degli squilibrati, insomma. La colorazione vivace serve ai commercianti per vendergli l’attrezzatura a caro prezzo.
-Aaah, ok. Fico! Addio, addio!

Salutato Pikachu, capisco che è il caso di rallentare un pelo per consentire un maggior afflusso di ossigeno verso il sistema nervoso centrale.

Ma ecco che vedo il Diretur di vedetta, ecco che compare il gruppo di amici. E’ fatta! Non siamo sulla cima, ma più o meno al colle sottostante (quota 2900, tricabranca…)  Va bene così. La vista spazia, la temperatura non è troppo bassa, il vento non eccessivo. Delle pessime condizioni viste poche ore prima e pochi chilometri più in là, non resta che il ricordo.

La discesa è piuttosto divertente. Neve strana, ma non traditrice. Avesse mollato ancora un po’, chissà… Io una bella bella dieci minuti di riposo in più me la sarei fatta, ma le decisioni della scuola rispettano un superiore piano infallibile, la sicurezza prima di tutto.

I tradizionali banchetti finali sono ormai sfacciati. Si sta prendendo l’abitudine di andare nei ristoranti a mangiare le cibarie che ci siamo portati da casa. Fantastico! Il prossimo passo sarà di calare sui villaggi per metterli a ferro e fuoco.

Ma tutto questo il vostro relatore lo leggerà sui giornali l’anno prossimo. Già, perché il corso 2019 è terminato, e per me e qualche altro/a è stato il fatidico terzo anno, l’ultimo possibile.

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Tutto iniziò sotto una romantica nevicata nel bosco di Pragelato…

Stop! Vi risparmierò struggenti commiati, ma voglio sinceramente ringraziare maestre e maestri che nelle decine di giornate trascorse insieme ci hanno regalato la loro pazienza e soprattutto il loro tempo. Mica è roba che si compra al supermercato.

Certo, è chiaro che con campioni del nostro calibro la soddisfazione deve poi essere notevole!

A presto.    Riccardo

Ora per vedere lo slide-show clicca sulla foto:

G8-11

7.a uscita, 13-14/04/19: Vaudala e Entrelor

When things get tough. Si fa dura, ad Aprile. Tra veri o presunti impegni lavorativi, doveri coniugali e/o genitoriali, matrimoni, cresime, tentazioni enogastronomiche, previsioni meteo tanto inquietanti quanto inaffidabili, o semplice allergia a una doppia levataccia consecutiva. Insomma, la selezione diventa severa. Più di quella imposta dal Comitato Direttivo per la promozione da SSA1 a SSA2. Al terzo appuntamento con la classica gita-di-due-giorni, il nostro gruppo di indomiti registra inevitabili defezioni.

 (track: Hero, Family of the Year


The tough get going. Il primo frame del weekend è l’usuale appuntamento nel piazzale un tempo noto come Toxic Park. Uno dei luoghi più tristanzuoli del nord ovest. Forse serve a marcare più nettamente la differenza tra imbarco e destinazione. A rendere più acuto il desiderio di evasione. Funziona.
(Certo che. Ecco lo spettacolo che Torino offre ai visitatori defluiti dall’autostrada: casermoni Falchera, grattacieli corso Vercelli, McDrive, Auchan. E il massimo del kitsch, la statua della Sfinge che signoreggia al centro della rotonda. Una lacca da madamine sullo squallore periferico. Scusate, non riesco a trattenermi. Fine digressione)

Salpiamo. Il corpo assonnato cigola nell’alba subalpina, ma l’occhio scintilla di voglie malandrine. La montagna chiama, come un magnete inesorabile. Il piacere di vedere intorno a te volti amici e sorrisi ormai familiari corrobora l’ottimismo. C’è tempo per una tappa? Sicuro: ci vuole un caffè, magari un cornetto. Ma niente autogrill, non scherziamo. Abbiamo già il nostro bar totemico, lungo la statale della Vallèe, non ricordo il nome, ma è perfetto, prepara cappuccini alla curcuma, must have, e soprattutto cheap: tutto a 1 euro.

Imbuchiamo la Val di Rhemes, il morale lievita con l’altitudine, tornante dopo tornante.
(track: 50 million year trip, Kyuss

La gita di oggi, ancora lo ignoriamo, appartiene alla categoria “no pain, no gain”. 21 km complessivi. Una mezza maratona non esattamente indicata per chi è reduce da una settimana di orari coatti, lavoro sedentario e abitudini malsane. Niente di estremo, per carità. Solo un estenuante sviluppo orizzontale, che significa lunghi “traversi”, una metronomica tortura per caviglie, stinchi e malleoli, insomma tutto ciò che sta compresso nello scarpone.
Partiamo baldanzosi, ovvio, incoraggiati dal dolce pendio che scricchiola sotto le nostre lamine foderate in pelle. Destinazione Rifugio Benevolo, nome antifrastico per un rifugio CAI che non ama i gruppi CAI, segnatamente le Scuole di Sci Alpinismo. Lo ricambiamo, girando al largo. Laggiù, a sud ovest, occhieggia il Vallone della Vaudala, che in breve si apre lasciando intravedere la nostra meta: Grand Vaudala. Si prende quota dapprima dolcemente, persino troppo, tra un saliscendi di gobbe. Poi il pendio diventa ripido, scatenando l’istinto killer del peraltro diretùr, il quale impone un’andatura da tappone dolomitico.

(track: The Badge, Pantera
https://open.spotify.com/track/3HO3nXKWRhvkibVvsONrle?si=HEJeIXl8RD2hFYz8QWDvPA)

Gli incauti che cercano di resistergli arrivano in vetta parecchio provati. E con troppo anticipo: mentre si attende il resto del gruppone, contemplando la sagoma regale del Gran Paradiso, quel che non ha fatto la salita lo completa il wind chill, surgelando energie ed entusiasmi. Beati gli ultimi, insomma.
Discesa dal versante nord-ovest (mi pare): neve superba in alto, poi da “interpretare”. In basso ci attendono i traversoni della mattina, da ripercorrere in senso inverso. L’alternativa sarebbe rimettere le pelli per guadagnare quota. Mozione respinta, con sollievo che immagino collettivo. Meglio i traversoni. Molti di noi già sognano doccia, leccornie e cervogia, non necessariamente in quest’ordine. Io mi accontenterei di sfilare gli scarponi, qualcuno deve avermi conficcato un chiodo nelle tibie.

(track: I want to go to the beach, Iggy Pop
https://open.spotify.com/track/3Jeyxi4v6n8VakOmiG4TPf?si=fOg-zy3DSHmSGsdSbosncg)

La Valle di Rhemes ha due, diciamo, capoluoghi: St. Georges e Notre Dame. La Val di Gressoney, per dire, ha St. Jean e La Trinitè. Una regione devota, la Vallèe.
Rhemes Notre Dame (fa un certo effetto, stasera, scrivere “Notre Dame”) è dove passeremo la notte. L’Hotel Galisia, dopo la randonnée odierna, ci sembra il Plaza. Ok, manca l’incanto del Rifugio degli Angeli: ma vuoi mettere il disincanto di avere acqua corrente, calda per di più, e un letto con lenzuola?
A cena viene servito il tipico menu locale ammazza vegani, in quantità tali da coprire il fabbisogno calorico di una settimana normale. Ma oggi abbiamo bruciato, cazzo se abbiamo bruciato. Terminata la crapula, si è fatta una certa. Il paese non offre molto, quanto a vita notturna. In alta montagna si tende a fruire del buio in termini spenti e orizzontali. A nanna, ragazzi. Domani ci aspetta l’Entrelor, che suona come Everest. Ma sopra di noi, il cielo valdostano trafitto di costellazioni promette un’altra giornata colorata d’azzurro.

(track: This Lullaby, Queens of the Stone Age https://open.spotify.com/track/2txYQHjhRTZx6ur9f15LEa?si=WrbGsiP8StOdSx7nSLftqQ)

“Suppongo che andiamo all’Everest perché – in una parola – non possiamo farne a meno”, diceva George Mallory, pragmatico come tutti gli alpinisti e concreto come un vero figlio d’Albione, “chi rifiuta l’avventura corre il rischio di inaridirsi”.

Il nostro Everest, la nostra avventura, oggi si chiama anticima dell’Entrelor (l’ho già detto, si), una sgambata di 1.700 metri di dislivello. Lasciamo il paese poco dopo le 7. Si sale, sci in spalla, attraverso un ripido bosco di conifere. Portage inevitabile, ma proficuo. Acquistiamo quota rapidamente, scaldiamo i muscoli. Fa un freddo becco. L’inverno incompiuto ha ancora in serbo qualche colpo di coda. Uno di questi ci tende l’agguato all’uscita del bosco, dove la pendenza digrada per raccordarsi con il Vallone di Entrelor, soffia un vento caimano. Ripariamo al vicino Rifugio delle Marmotte. Altro che Benevolo. Qui ci accolgono come vecchi amici e un bicchiere di tè che è un vero salvavita. Ripartiamo con il termometro che segna -10, sempre in compagnia di Eolo. La neve a quota 2200-2300 ha la consistenza del marmo. Laggiù, in fondo al vallone, un’ipotesi di sole illumina la nostra meta. Sembra lontanissima. È bellissima. Andiamo a prenderla.

(Track: Goose Snow Cone, Aimee Mann
https://open.spotify.com/track/76BshcT59ADyckxGhwXhNc?si=M_08BSOtQCWenk5zh30yAA)

Attraversiamo il vallone mantenendo una leggera sinistra orografica, fino a un colletto pianeggiante. Qui scatta la giornata dell’orgoglio femminile: Francesca Restano guadagna la testa del gruppo, diventa capobranco e trova un passo che mette d’accordo tutti, i belli con i brutti. In breve, seguendo una traccia evidente come una pista da bob, risaliamo ripidi pendii, pieghiamo a sinistra in direzione della cresta spartiacque e poi a destra per uscire finalmente in vetta, a quota 3.397.

Il vento si è posato, l’aria è secca, energizzante, allegra. Intorno a noi, un’assemblea di giganti. Gran Paradiso, Ciarforon, Monciair, Tresenta, Bioula, Herbetet, Grivola, Gran Nomenon. Qualcuno si schermisce sdegnoso dietro nubi paffute. Se rinasco, voglio dare il nome a una montagna.

(Track: Serenade in E major, II, Antonin Dvorak
https://open.spotify.com/track/6HGzj1FMXVBAi2AtBCbhCQ?si=_XVQsIqaRiOhTf2vIAN7XQ)


Per buona parte della discesa, il vallone di Entrelor ci regala emozioni sopraffine. C’è gloria e polvere per tutti, o quasi. Gemiti di piacere e barbarici “yawp!” echeggiano tra l’aspre rupi mentre ariamo coscienziosamente il pendio. Troviamo qualche tratto di crosta, ma è poca roba, non c’è rosa senza spina.
In basso, in compenso, la neve ha mantenuto quasi la consistenza marmorea del mattino. Un ultimo sforzo di quadricipiti e siamo in vista del rifugio. Sono le 14, come previsto da Sergio Bandini. Diavolo di un ingegnere.

(Track: Land of 1000 dances, Wilson Pickett

Siamo attesi da una polentata terrificante e facciamo onore al cuoco. Il rifugio Delle Marmotte è gestito da volontari dell’Operazione Mato Grosso. Gli incassi dei pasti e dei pernottamenti coprono le spese e l’utile va nelle casse dell’OMG, per sostenere le attività svolte in Sudamerica a favore dei bisognosi.
Sono ragazzi e ragazze che dedicano al rifugio il tempo libero. Scenderanno stasera, dopo di noi. Hanno turbina idroelettrica e pannello solare per produrre energia, usano detersivi ecologici, piatti e posate sono in materiale compostabile.

Questa canzone è per voi, ragazzi.
(Track: Just your friends, Mink Deville
https://open.spotify.com/track/0zMmvmPBgRSDEKGyyTTeMd?si=PiTYViroT9Si1odsXaIRsA)

Scendiamo a valle, sciando finché lo permette l’innevamento a macchie di leopardo, poi a piedi fuori dal bosco, fino in paese. È andata. Ci aspetta il sublime piacere di sfilare gli scarponi e la delizia di una birra ghiacciata. Brindiamo al Dio Delle Piccole Cose, che ci ha regalato la Giornata Perfetta. 
(Track: Del tempo che passa la felicità, Motta

Si avvicina “l’ora che volge il disio ai navicanti”, ora di riprendere la strada di casa. Salutarsi è un po’ più difficile del solito. O forse sono io a essere diverso, oggi. Non so. Siamo tutti piccoli battelli ebbri, in fondo, non vediamo l’ora di spezzare gli ormeggi e lasciare le rotte abituali, di quando in quando. Tenere vive e ardenti le “inutili” passioni: è l’unica cosa che ci fa vivere. La saggezza ci fa semplicemente durare.

È stato un onore e una gioia “suonare” con voi, oggi. Siete un gruppo fantastico. Grazie a tutti, ma proprio tutti. Anche quelli di cui non ricordo mai il nome. Ma tra buoni compagni di viaggio ci perdoniamo questi dettagli. Ai nomi penseremo la prossima volta.

Un grazie speciale a Francesca e Dario: sono la ragione per cui sto scrivendo queste righe, che vado a terminare, ringraziando infine chi è arrivato fin qui a leggerle. Spero di non aver tediato troppo. Apposta ho aggiunto le musiche. E questo è tutto.

(Track: Can’t find my way home, Blind Faith

“We few, we happy few, we band of brothers”.

Andrea O.

….e le foto della gita? eccole qui di seguito >>>

G7.10