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SSA1 Seconda Uscita: Colle BEgino + Cima SAUREL

25.01.2023

Per la nostra seconda gita, udite udite, abbiamo avuto l’onore di incontrare una morbida neve su cui far correre i nostri amati assi e un pallido sole che ci ha accompagnato lungo la nostra salita (per poi lasciarci, giunti alla meta, preda di un gelido vento, brrr!). Aspettiamo però a farci travolgere da prematuro entusiasmo per l’arrivo della agognata stagione invernale e, per il momento, con aplomb sabaudo custodiamo solo per noi il goduto luccichio della neve e le travolgenti speranze.

Il morbido ambiente invernale alle spalle di Capanna Mautino foto di Gaia

Come tradizione comanda, ripercorriamo ora la nostra ultima gita attraverso le parole del Nostro Girovago Bardo che quest’anno si è fatto sorprendere dall’inizio dei corsi mentre esplorava l’altro lato dell’emisfero. A te la parola, Enrico!

Ormai non reggo più il passo della Scuola.

Qualcuno potrebbe commentare: “E quando mai l’hai retto..”.  Ma sarebbe una malignità: il mio interesse per l’ambiente circostante, l’inclinazione a lieti conversari, si traduce in un incedere mai affannato, regale,  solo in apparenza lento.

No, no, è in generale che non tengo più il passo.

Ma dico: uno torna da un giretto in Patagonia – con ancora negli occhi Fitz Roy, Cerro Torre e Torri del Paine – e scopre che mica lo hanno aspettato, c’è già stata una gita! “E la relazione chi l’ha fatta?” chiedo interessato (NB le relazioni della Prima Gita sono curate da me medesimo, ab immemorabili). “Un’allieva.. l’ha fatta in bus, quando siamo arrivati a Torino era già finita”.

In bus! Ma si può?? Fast and furious!

Mi è venuta l’ansia… Non posso reggere ‘sti ritmi.. Io la relazione la scrivo con piuma d’oca, la leggo, rileggo, la tornisco, la faccio sedimentare..

E ci sono già state pure due lezioni teoriche! Mi presento alla terza, neve e valanghe. Si sa, la tiene un Chiarissimo docente del Politecnico. Da sempre, vi assisto con ammirato interesse, per la competenza, la precisione espositiva, la chiarezza delle slide. Ho solo una latente preoccupazione, che ad un certo punto dica: “Bene, ora facciamo una verifica: prendete un foglio protocollo e  scrivete «Su di un pendio esposto ad nord est nevica da 6 ore; il manto nevoso cresce di 1,72 cm all’ora; il vento ne riduce l’incremento del 19%. Considerata una temperatura media di 2,3°, calcoli il candidato.. »”.

A fine lezione aspettavo il fugone verso l’uscita, invece un allievo ha fatto una domanda che non ho capito proprio bene: ricordo solo che concerneva il cielo stellato.. La cosa che mi ha lasciato esterefatto è che ha formulato la domanda con un riferimento puntuale a due slide, di cui ricordava l’esatta numerazione (tra le mille slide proiettate..). Nella lezione neve e valanghe del 1987, annata d’oro cui mi pregio di essermi affacciato alla Scuola, la domanda avrebbe potuto essere: “Cristalli a calice… con Bonarda o Barbera?” Il docente avrebbe reagito con un mirato lancio di picca.

Ribadisco… troppo sul pezzo ‘sti ragazzi. Temo che alla corrente “Sci alpinismo mite”, di cui sono l’orgoglioso caposcuola, non resti che entrare in clandestinità…

Tormentato da questi pensieri mi accingo alla gita numero due. Appuntamento mattutino h 06.30, bus deluxe, bipiano. All’arrivo a Bousson abbandoniamo il tepore del mezzo, fuori si ghiaccia a – 11. La densità di auto nel parcheggio testimonia che la meta scelta non è stata originale, ma probabilmente assennata.

Per la relazione della gita potrei procedere ad un agevole copia/incolla dalla descrizione su Gulliver (“Da Bousson si segue la strada che si inerpica tra le case fino alle ultime, lasciandola per seguire il sentiero che si tiene alto sul fiume Thures, e dopo l’attraversamento di alcuni prati tocca i ruderi di Bonne Maison”), ma non è questo che mi chiedono i miei lettori. 😊

Dopo agevole salita di buon passo, al Lago Nero il gruppo si divide: circa la metà della combriccola sale a sinistra, al Col Begino, aggiungendo 300 m di dislivello e una ripellata (ripellata???!! Alla seconda gita!!! Ommisignur! Ma  sensa cunisiun!!!). Gli altri proseguono sull’itinerario classico, verso punta Saurel.

La giornata è sì frizzantina, ma il freddo non terribile, complice anche un solicello che pian piano sembra prendere coraggio. Le condizioni del manto nevoso consentono una valida didattica in situ, con illustrazione delle zone dove è più evidente l’insidiosa neve riportata.

Sul pendio a destra possiamo apprezzare anche un’opera d’arte:  “Mirage”, una luna in lamelle di bambù creata sulle fondamenta di un ex avamposto militare.

Quando ci affacciamo ai 2.451 m della cima troviamo un freddo beccaccino, una bisa feroce. Improponibile attendere gli altri qui: rapidamente togliamo le pelli, mettiamo gli sci in assetto da discesa e ci ricompattiamo alla seggiovia dismessa di Col Saurel, per sosta spuntino.

La disponibilità del bus ci consente – con le opportune indicazioni all’autista, dirottato su Claviere – di scendere su di un versante diverso rispetto a quello della traccia di salita. E ben ce ne incoglie: la neve è buona, a tratti ottima, e la discesa divertente.

Sosta per una ricerca Artva ai pianori sopra Capanna Gimont; la difficoltà maggiore è il freddo, funzionale a temprare le giovani leve ed a rendere più sfidante l’esercitazione: nella temuta ipotesi in cui si dovesse ricercare un compagno sepolto, le condizioni meteo e temperatura non le potremmo scegliere noi..

Il corvo imperiale osserva l’esercitazione Artva, Alessandro Vicario

Scendiamo sulle piste; sciatori pochi, l’impressione è che fosse più gente a fare Cima Saurel che sugli impianti.

Al bus degna conclusione della giornata con ricche libagioni; almeno questo nella Scuola non è cambiato.

Quindi, ricapitolando: un millino tondo di dislivello, neve buona in discesa. Bilancio della giornata ampiamente positivo.

Alla fine della gita, stanco ed infreddolito, il mio demone competitivo mi ha suggerito di iniziare a scrivere la relazione in bus… ma mi calo il cappello sugli occhi, e sfrutto al meglio gli ottimi sedili…

Cavùr

PS La temperatura di – 11 alla partenza era impegnativa.. nulla a che vedere però con i – 15 dei cugini bianconeri in campionato … 😊

Le foto della giornata

HOW TO… adattare un portacasco al proprio zaino

Il nostro Stefano Bertolotto è un uomo di vaste capacità: in prima istanza, nell’eleganza delle scie che pennella a telemark, una piccola gioia per gli occhi. Non può, poi, che essere lusingato chi ha la fortuna di riconoscersi in uno dei magistrali ritratti-di-scialpinista-in-ambiente che il nostro uomo realizza durante le uscite, cammellandosi effortless una monumentale attrezzatura fotografica in uno zaino dal peso pari a un vitello di media taglia. Da autentico uomo d’ingegno (a voi dedurne la professione, a questo punto), preciso come le ferrovie giapponesi e genialmente “traffichino”, ha rilevato una criticità nell’equipaggiamento di alcuni dei nostri allievi e ci suggerisce prontamente un tutorial per porvi rimedio. Pur non nutrendo dubbi sulle capacità di alcuno, per sicurezza ci ha allegato anche le immagini step-by-step.
Grazie Stefano, aspettiamo ora di vedere quanti portacaschi spunteranno sulle vostre schiene alla prossima uscita! E se foste colti da un incontenibile afflato comunicativo mentre customizzate il vostro zaino, taggateci su Instagram @ssa_cai_uget per mostrarci come ve la cavate.

Poichè  ho notato che molti allievi attaccano il casco allo zaino appendendolo dal soggolo (ovviamente molti zaini non sono predisposti) ed è scomodo, poichè il casco oscilla durante tutta la salita, ho pensato di condividere la soluzione che ho da poco adottato sullo zaino di Gibo:  poichè molti zaini hanno almeno le cinghie di compressione in fettuccia sui lati, mi sono procurato un “portacasco” universale, con gancetti, e ho infilato nelle cinghie di compressione laterali quattro O-RING di gomma presi dal ferramenta (1 euro) e ho agganciato il portacasco a questi ultimi (i gancetti non vanno bene nelle fettucce).  Gli O-RING devono essere sufficientemente spessi per non rompersi e potersi agganciare bene e  di diametro 1-2 cm circa;  inizialmente avevo usato dei cordini annodati, ma gli O-RING sono più eleganti e , soprattutto, non si sganciano.  Prevedere uno o 2 O-RING … di scorta!

Il prossimo step per i bricoleur  è realizzarsi il portacasco vero e proprio, con un cordone elastico, un “fazzoletto” di tessuto e 4 gancetti di plastica (da comprare in merceria…)

Stefano Bertolotto

Particolare degli O-RING inseriti nelle fasce di compressione
L’aggancio del portacasco agli O-RING
Lo zaino con il casco bello stabile dopo il lavoretto

FESTA SORPRESA PER IL DIRETUR

22 ottobre 2021: data che il “diretùr” non dimenticherà.

Una festa ‘a sorpresa’ per omaggiare Dario che dopo 30 anni di direzione della Scuola di scialpinismo CAI Uget di Torino lascia l’incarico.

30 anni di corsi, 30 anni di uscite con la Scuola, 900 allievi passati, tanti gli istruttori formati, ricordi infiniti.

GRAZIE

Dario: 30 anni da Diretùr

La notizia, forse complice la pandemia in atto, è passata quasi inosservata. Nessuna prima pagina, nessuna apertura dei TG. Eppure ha avuto una Eco anche internazionale: da Buckingham Palace è trapelato sollievo, la Regina Elisabetta, pur dall’alto dei suoi 68 anni di Regno, iniziava a sentirsi il fiato sul collo.

Dario Dugono, Gran Direttore di tutti i Direttori, o semplicemente “Il Diretùr”, passa la mano. Abdica.

Siamo ancora lontani dalla durata del Regno di Ramsete, 66 anni, o di Fidel, 49 anni. Però è stato superato Bokassa, Direttore della scuola di Sci alpinismo della Repubblica Centrafricana solo per 13 anni (famoso per la sua severità: si dice mangiasse gli allievi…).

Sono uno dei pochi sci alpinisti viventi e praticanti che possa dire: ho conosciuto Dario quando non era ancora Direttore. Digito questa frase con il fremito che proverebbe chi potesse scrivere: “La prima volta che vidi Pelè faceva il raccattapalle”, oppure “Quando conobbi Andreotti, era uno stagista al Senato”, o anche “Ho conosciuto Rocco Siffredi quando non aveva ancora limonato”. Potrei continuare.

Dario, quando iniziai nel 1987, era un istruttore talentuoso e di belle speranze. Allora regnava, Alfredo, detto l’ “iracondo”. Giovane allievo, capii subito che aria tirava: al primo pernottamento in rifugio, dopo cena, dal tavolo degli istruttori partirono i canti, e dopo aver dato fiato alle ugole il Direttore Alfredo interruppe la strofa “Ma el prim ch’ a l’ è stait al mund l’ é stait nost Diretùr”, ci guardò in tralice,  e con tono grave sentenziò “Agli allievi non è permesso tacere durante i canti della Scuola”. Che nessuno delle matricole li conoscesse, era un dettaglio cui porre pronto rimedio.

Vidi poi ascendere al trono Giorgio Inaudi, detto “il Magnifico”. Straordinaria figura, invero: ricordo una gita con uno splendido sole (tutte le gite del suo regno erano benedette dal sole), in cui – dopo alcune ore in cima, spaparanzati – ci fermammo alle prime baite non per una ricerca Arva, bensì per un supplemento di sole e libagioni. E quando, infine, ci si apprestò alla discesa, interpellato da un istruttore “Ma chi c’è in apertura?”, Egli rispose con un immaginifico e meraviglioso: “La Fantasia in apertura!”. 

Nel 1990 venne incoronato Dario. 

Sono passati 30 anni. Il 1990 era un’altra Era. Per dire, l’edizione del Festival di San Remo venne vinta dai Pooh, con “Uomini soli”; Eloide era appena nata. Presidente del Consiglio era Giulio Andreotti; Di Maio aveva 4 anni. Scudetto al Napoli di Maradona; Belotti non era stato ancora concepito. 

Sci ed attacchi pesavano come ferri da stiro, l’Arva andava a carbone. Non c’erano i cellulari, né le mail.

Quindi, siamo davanti ad un evento storico. Dario in queste tre decadi ha visto plotoni di allievi, innumerevoli gite, infinite cime conquistate.  Nel “panta rei” che domina ogni cosa, lui è stato un punto fermo. Appena un po’ più incanutito rispetto a trent’anni fa, ma i suoi polpaccetti guizzanti –  la cui ostensione è riservata alle gite primaverili – sono rimasti immutati.

Per questo ho ritenuto imprescindibile chiedergli di raccontarci qualcosa di questi anni.  Non è stato facile convincerlo, il low profile sabaudo è un suo tratto distintivo, ma alla fine mi ha concesso un’intervista… mi sono sentito come Gianni Minà con Fidel, anche se in questo caso il leader Maximo lo vedevo solo da uno schermo con videochiamata.

Un’intervista a chi è stato direttore per trent’anni, da parte di chi per trent’anni è stato allievo/amicodellascuola/aggregato/cantore… ciascuno tenacemente ed orgogliosamente attaccato al suo ruolo. Poteva quasi uscirne un’intervista doppia”, come quelle della trasmissione “Le Iene” (dove c’è sempre la domanda “Hai mai fatto sesso in tre?” … dev’essere come fare l’Entrelor e poi il Rocciamelone.. un’esperienza appagante, che – dopo averla fatta – non hai la forza di raccontare). Però ho deciso di optare per un’intervista tradizionale… diversamente qualcuno avrebbe commentato, citando Longanesi: “Cavùr è così egocentrico che se va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa e ad un funerale il morto…”

Ma partiamo. 

Cavùr Dario, sono passati trent’anni, un tempo lunghissimo. Tutto è cambiato. Come è cambiata la Scuola?

Diretùr Ho iniziato a prendere le redini della Scuola nell’anno 1989, quando si doveva svolgere il 24.mo corso di scialpinismo del CAI Uget. In 24 anni si erano succeduti diversi direttori, ultimo – corso del 1988 – il mitico Alfredo Marchelli, precedentemente citato. Io però non avevo un titolo, (sì, quello di ingegnere, ma per dirigere una scuola di scialp non serviva) non ero ancora un istruttore regionale, ma con la complicità di Giorgio “il Magnifico” (più sopra citato) inventammo la posizione di “coordinatori” della scuola. Un duumvirato durato 1 anno, dopodiché Giorgio si sfilò ma mi affiancò, per il corso del 1990, un suo amico guida alpina, tale Livio Berta.

Nel ’90, la Scuola era enormemente diversa, innanzitutto per l’organico istruttori. 20 istruttori sezionali, 1 solo ISA (istruttore regionale) che nel ’91 abbandonava la Scuola.

Capii subito quanto fosse importante avere istruttori con il titolo. Nel ’90 provai a mandare qualche candidato al corso ISA, ma non passarono. Allora provai io nel ’92, e sono stato promosso ISA.

Dall’ora ho capito come ci si doveva preparare, e ogni due anni (i corsi regionali erano e sono tuttora biennali) mandavo qualche istruttore, e dal ’94 sempre con risultati positivi. Pian piano si è formato così un gruppo di istruttori titolati. Oggi la Scuola è forte di 20 istruttori titolati e 16 istruttori sezionali.

Nel ’95 poi ho preso il titolo di INSA, istruttore nazionale.

Cavùr L’approccio tecnico, l’organizzazione, allora erano indubbiamente diverse, meno strutturate, anche da allievo lo si percepiva.

Diretùr In generale c’era una preparazione tecnica inferiore ad oggi. C’era attenzione alla sicurezza anche allora, però si era molto indietro. Io ero presente all’unica gita del corso in cui c’è stato un incidente mortale, nel 1986. Non ero con il gruppo che fu coinvolto, perché ero sceso da un altro versante per recuperare due allieve che nel salire al rifugio della Balma, in soli 500 m di dislivello, si erano provocate bolle enormi ai piedi (anche questa, con i nuovi materiali, è una cosa che non succede più). Ho seguito alla radio il racconto della valanga, e sono sceso a valle per chiamare i soccorsi. Quando sono arrivati i Carabinieri, mi hanno chiesto: “Come facciamo ad arrivare con la macchina sul luogo dell’incidente?”. Li ho guardati stupefatto e gli ho spiegato che con la macchina non era cosa, ci voleva l’elicottero… Questo dà la misura di come tutto fosse molto più improvvisato; il mondo dello sci alpinismo era ancora un po’ pioneristico.

Cavùr Ora c’è molta più gente che pratica lo sci alpinismo?

Diretùr Anche negli anni ’90 la gente non era poca, 30/40 persone per ogni corso. Oggi limitiamo i posti a 50/60, ma la vera differenza è la preparazione degli istruttori, titolati sempre più numerosi e come dicevo tecnicamente molto più preparati. In ogni gita ora ci possiamo permettere di affidare 4 allievi a 2 istruttori, di cui 1 titolato. Sono anche cambiati gli allievi. Ora si avvicinano allo scialpinismo ragazzi e ragazze che gli sci li sanno condurre veramente bene, che si sono stancati di andare in pista, che vogliono scoprire il vero volto della montagna, raggiungere la vetta non più con impianti ma con le proprie gambe, faticando per poi meritarsi una bella discesa.

Cavùr Anche le lezioni teoriche sono più curate; sembrano lezioni del Politecnico…

Diretùr La preparazione teorica è fondamentale. E tra gli istruttori relatori nelle serate didattiche molti sono gli ingegneri ed uno è anche docente al Politecnico.  Non solo, ma anche i manuali del CAI sono fatti molto meglio e, soprattutto, regolarmente aggiornati. E poi si dedica più tempo a fornire spiegazioni agli allievi durante la salita, alle esercitazioni, fondamentali quelle riguardanti l’autosoccorso, la ricerca con l’ Artva e soprattutto come effettuare correttamente e con minor dispendio di energia lo scavo in valanga per recuperare un sepolto. Gli allievi di oggi sono naturalmente bravi ad usare un Artva, ma non sanno come usare una pala…

Cavùr Durante la salita ci si dedica soprattutto a “martellare” gli allievi… Come ha splendidamente scritto un compagno di sventura in un memorabile articolo, se Dario mette piede o anche solo lo sci nella circonferenza tracciata dal “raggio della morte” che circonda ciascuno di noi (“trattasi di raggio immaginario di circa 25 metri di cui noi siamo è il centro”) sicuramente faremo o diremo una cazzata. E Dario, impietosamente, la rileverà…

Diretùr Però gli allievi oggi escono dal corso con tutto quel che serve per svolgere l’attività in autonomia.

Cavùr Escono formati, ma forse arrivano già più preparati?

Diretùr Oggi la tecnica di sciata di chi si iscrive al corso è mediamente superiore. Non portiamo più la pila nello zaino…  Nei corsi di fine anni ’80 qualcuno si era addirittura presentato senza saper sciare e le gite finivano nottetempo…

Cavùr Mi ricordo il racconto che veniva tramandato, di un allievo che arrivato in cima disse: “Ed ora come si scende?”. E quando gli risposero “Ovviamente sciando”, lui disse “Ma io non so sciare!” 

Diretùr Scese con due istruttori, collegati via radio con gli altri che attendevano a valle, ed ogni tanto arrivavano notizie: “Siamo ancora lontani… Ora l’allievo prova senza sci… no, affonda… ora riprova con gli sci … no cade…”. Ecco perché ho deciso di introdurre la prova in pista per tutti i nuovi candidati allievi. 

Devo dire che la tecnica è migliorata anche grazie ai materiali: ora si può noleggiare l’attrezzatura, e riscattarla a fine stagione; una volta spesso si recuperava materiale usato alla bell e meglio. 

Cavùr Non ce ne sono più di allievi come me, che calzavano attacchi Silvretta il cui cigolio si diffondeva per la valle, e vestivano con colbacco dell’armata rossa e kefiah! 

Diretùr Meno male…

Cavùr Da vecchio allievo un po’ mi mancano i momenti “eroici”. Oggi non sarebbe più possibile far dormire venti persone in una baita di Pratorotondo come in quel corso del 1988, con un freddo porco, e una stufa che faceva più fumo che calore. L’urlo notturno “Campa an toc ant’la stùa!”, ed il  “Contrastate la porta!!” sono nella storia. Ma il “l’atmosfera”, la voglia di divertirsi insieme non è cambiata. Ci sono anche più donne: in bus ogni tanto si sente un profumo di fiori d’arancio..

Diretùr Effettivamente la percentuale di ragazze è andata aumentando, l’ultimo anno 40%, in media il 30% .

Cavùr La presenza femminile ha ingentilito la scuola; come le torte delle allieve. E degli allievi, che hanno raccolto la sfida. Ma veniamo ad aspetti più organizzativi. Che consigli daresti al tuo successore? 

Diretùr Ovviamente la sicurezza è fondamentale, ma non c’è bisogno di ricordarlo a chi verrà dopo di me; saranno istruttori nazionali, lo sanno benissimo. La recente sentenza del Tribunale di Aosta [che ha condannato per omicidio colposo plurimo e disastro colposo sei istruttori del Cai per una valanga che uccise due scialpinisti sul Colle Chamolè, vicino a Pila, durante una escursione nell’ambito di un corso di una scuola del Club alpino] rende ancora maggiori le preoccupazioni per Direttore ed istruttori. Al Direttore (di una scuola di altra Regione) è stata inflitta la pena di due anni, agli altri istruttori un anno e sei mesi.

Cavùr Molto pesante questa sanzione, comminata a persone che svolgono questa attività volontariamente, senza compenso. 

Diretùr Un consiglio meno scontato che posso dare al mio successore è quello di “farsi aiutare”. Le attività son tante, anche quelle amministrative. Bisogna trovare persone che abbiano voglia di farlo e che siano capaci di farlo. Essere un uomo solo al comando è faticoso. Il consiglio è di delegare, coinvolgere.

Cavùr Una cosa fatta e che consigli portare avanti? 

Diretùr Far ruotare nelle gite del Corso gli allievi sui diversi istruttori: una volta non si faceva, i gruppi venivano formati casualmente. Poi invece ho capito quanto fosse utile che un allievo provasse istruttori e stili diversi.

Cavùr Delle tantissime gite di questi anni qual è stata la più bella? La più brutta? 

Diretùr Sono quasi sempre stato presente alle gite della Scuola, quindi in totale ho partecipato a circa 250 gite da Direttore, ma sono state tutte belle, perché non ci sono gite brutte. Il meteo può essere brutto, ma se c’è freddo, vento, nebbia, se nevica, è comunque una gita istruttiva, utile per una Scuola.

Cavùr Ed adesso che farai? Pensi mica di metterti a guardare i cantieri a Bordighera? 

Diretùr Certamente no! Farò gite per conto mio, con amici, tre, quattro volte alla settimana. Quando il Corso ricomincerà, non lascerò la Scuola: continuerò come istruttore.

Concludo con una chiosa, molto personale. Dario sarà per sempre “IL” mio Direttore. E non solo per la durata del suo regno. O per la qualità o quantità dei ricordi. O dei cazziatoni, anch’essi innumerevoli. 

No, Dario sarà “IL” Direttore perché è stato un privilegio avere una “Guida”, una persona che sapeva cosa fare, in ogni occasione. Il ruolo di Direttore si adattava a Dario con assoluta naturalezza, e nello stesso tempo si percepiva il suo massimo impegno nel rivestire quel compito. Competenza ed impegno, un binomio prezioso e raro.

Il Dugono è stato una certezza; sempre presente, sempre puntuale, in mattine gelide spuntava accanto al bus nelle tenebre invernali, con la sua cartellina con i nomi. Ed io ad attendere il sospirato: “Sali Cavùr, c’è posto”, che mi consentiva di poter dormire ancora un po’ e non dover guidare.

La Scuola senza di lui oggi non sarebbe la stessa. Sono certo di interpretare il pensiero di tutti, istruttori ed allievi, nel ringrazialo di cuore per questi trent’anni.

Finisce un’Era. In bocca al lupo a chi verrà, e ci guiderà nelle tante gite che ci aspettano.

Cavùr

Marzo, 2021