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SSA1 QUARTA USCITA: POINTE DES ROCHERS CHARNIERS

Ci sono montagne che si mostrano poco alla volta, cime che si nascondono man mano che ci si avvicina. Si riparano schive dietro colli e montarozzi cosicché la strada dello scialpinista si spezzetta in tante salite e speranze infrante, mentre uno sci dopo l’altro si suda e ci si affatica lungo i suoi pendii. Rochers Charniers è una di queste.

Quest’oggi saranno le parole di Elisa ad accompagnarci lungo i suoi pendii. Grazie Elisa!

“La cima appare sempre un po’ più in su
E il sole brucia chi sta fermo, di più” 

Una delle mie più grandi passioni è la musica, e mi viene sempre spontaneo associare ogni ricordo emozionante della  vita ad un brano. Beh, ieri sera al rientro dalla gita il ritornello che avevo in testa era questa  strofa del brano “Giovanni sulla terra” di Fabi, Silvestri e Gazzè. 

Giovanni, a mio avviso, potrebbe essere una perfetta incarnazione di un po’ tutti noi del corso; si alza presto il mattino, lavora tutta la settimana, e suda per conquistare “la sua montagna”, con il perenne timore che il proprio sudore sia “lo sforzo di un fesso”.  

Tale sensazione l’ho provata durante la nostra gita di domenica, alla conquista del Pointe des Rochers,  durante l’ascesa dell’ultimo pendio, sotto un sole più che primaverile, a pochi passi dal raggiungimento della tanta ambita meta…  I 3067 mt di altitudine! La mancanza di allenamento dell’ultimo mese, la stanchezza della sveglia alle 5, dopo una settimana impegnativa, si sono fatti tutti sentire… Ma questa  sensazione è stata ben presto spazzata via dall’impagabile bellezza del panorama dell’arco alpino francese ed italiano che abbiamo ammirato dalla vetta (Pic de Rochebrune, Barre des Ecrins etc), e da qualche folata di una tutt’altro che primaverile brezza

I dettagli più tecnici in merito alla gita sono a portata di chiunque consulti il portale Gulliver. Io volevo condividere qui la mia esperienza personale della gita, partendo dall’arrivo al piazzale di Monginevro. Lo abbiamo raggiunto molto presto il mattino (mi ricordo di essermi risvegliata dal consueto sonnellino  ristoratore sul pullman alle 7:15 in prossimità della rotonda di Cesana, albeggiava già ampiamente ed Enzo era pronto al tanto atteso annuncio delle “formazioni”, ovvero i gruppi per la gita), la temperatura era già piuttosto gradevole, tutt’altro che invernale.  

Come di consueto ci si prepara, si va “alla caccia” dei propri istruttori e ci si incammina, questa volta però con gli sci a spalla, per un tratto di strada asfaltata, per fortuna molto breve, prima di imboccare una stradina in direzione Village du Soleil. 

La prima parte di gita, che è la stessa che percorsi per arrivare in cima allo Chaberton (in estiva però), è piuttosto dolce, attraverso il bosco, con sole ed ombra che si alternano. Questo segmento della gita mi piace sempre molto, perché si socializza con nuovi compagni di avventura, con i quali, quantomeno per la giornata che si sta vivendo, si crea inevitabilmente una sorta di filo d’unione. 

Arrivati in prossimità della seggiovia Rochers Rouges il gruppetto si ricompatta e si fa qualche accenno di cartografia, per potersi orientare nell’immensità dei pendii che ci circondano. Ne approfittiamo per rifocillarci un po’ e prepararci alla vera ascesa, in quanto da lì inizia la salita vera e propria. 

Prima di raggiungere il Colle des Trois Freres Mineurs, ci si inerpica per una sorta di coulor, dove provo per la prima volta l’esperienza di mettere i coltelli. Da lì non li togliamo più fino a raggiungere la vetta. Iniziamo a percorrere una serie di pendii tanto spettacolari, quanto impegnativi, con una serie infinita di curvoni ben delineati dalle tante amate “inversioni”. 

Una serie infinita di inversioni, Foto:Davide Vecchio

E finalmente, ecco la cima! L’ultimo tratto è accompagnato da una pungente “bisa” che ben si associa alla fatica che si sta provando per conquistare la vetta.  

I primi gruppi sono già in cima, ed in ottima compagnia di altri 2 Cai ed altri sciatori.  

Il panorama appaga ampiamente tutta la fatica che si è provata… Personalmente il piccolo Monviso (il Pic de Rochebrune, dove sono stata percorrendo la via normale la scorsa estate) ha sempre un fascino incredibile visto in prospettiva, ed il pensiero di poterlo, forse, chissà  un giorno scalare in alpinistica contribuisce ancor di più ad alleviare la fatica della vetta. 

Un appagante panorama, Foto Agnese Amoretti

Dopo una pausa ristoratrice i gruppi si ricompattano e ci si prepara ad affrontare la tanto attesa discesa. 

Al termine del primo pendio il divertimento viene interrotto dalla consueta simulazione di scavo con pala e sonda…  Proprio quando pensavi che la fatica fosse terminata..  Ecco qui la parte più impegnativa della gita 🙂 Quasi due metri di scavo, in tempistiche piuttosto vergognose… Ma sicuramente un’utilissima esperienza, già solo per non dimenticare mai la difficoltà che tale manovra richiede, che ti spinge a riflettere bene prima di poterti avventurare in situazioni ambigue e pericolose… 

Una trincea di scavi, Foto: Stefano Bertolotto

… Si riparte… La discesa, nonostante la neve a tratti “non perfetta” è, almeno per me, una bella goduria, sotto un bel sole splendente…  E poi l’arrivo al parcheggio, l’attesa del pullman, nella bramosia di una bella birra ghiacciata e una bella fettona di salame … Questo momento di convivialità a fine gita è sempre spettacolare: ogni volta un sorriso e una battuta con qualche nuovo compagno/a…  Il valore aggiunto della montagna condivisa 🙂

E poi il relax sul pullman, le giornata che si allungano… Una fantastica domenica! Grazie a Chiara, Giuseppe (i miei istruttori di domenica), a tutti i pazientissimi istruttori Cai ed a tutti i compagni di avventura 🙂

Alla prossima!  

Elisa. 

Punta Rochers Charniers, Alessandro Vicario

E ora le foto!

SSA1 terza uscita: Sella Flassin

07.02.2023

Nell’era dei social e dello storytelling anche la scuola diventa sempre più creativa e visual: a raccontare le nostre avventure non solo più parole e foto ma anche disegni e video! Nell’augurarvi una buona lettura ringraziamo per il loro prezioso contributo le diverse “penne” che hanno contribuito all’ultima relazione, nell’ordine Angelina, la nostra nuova allieva e scrittrice, Stefano non solo istruttore ma anche eccellente fotografo e il nostro immancabile disegnatore Alessandro. Grazie ragazzi e a tutti voi buona lettura!

Più o meno 2.700 metri è stata la quota alla quale siamo arrivati nella terza gita del corso. 1.300 metri di dislivello cominciano ad essere una bella cifra per una principiante come me! Ma la cosa che mi sembra pazzesca è come funziona la geografia. 2.700 metri sopra il livello del mare e mi sentivo proprio in alto. Ironico visto che sono nata e vissuta per 23 anni a Bogotà (Colombia), la quinta capitale più alta al mondo!

A Bogotà diciamo “2.640 metros más cerca a las estrellas”, 2.640 metri più vicini alle stelle. Ma il paesaggio è ben lontano da quello che ci ha regalato le montagne italiane questa domenica. In Colombia, un paese proprio sull’equatore, devi andare qualche metro più in su per poter veder neve: forse con un po’ di fortuna arrivando ai 5.000 metri cominci a trovarla. Ma è così poca e protetta dallo Stato che l’ultima cosa che puoi pensare è di andarci a sciare.

Ma spostiamoci di 9.040 km dalla Colombia e torniamo alla nostra gita al Flassin. Siamo partiti in pullman alle 6:00 da Torino. Lontani dai -15° della gita scorsa, Saint-Oyen ci ha ricevuto con +5°. Questo fatto cominciava a togliermi la speranza di trovare della bella neve farinosa.

Si formano i gruppi e si parte verso il Mont de Flassin. Per le prime 2-3 ore la salita è stata bella, tranquilla, non particolarmente impegnativa e con un bel paesaggio invernale. Nel secondo pezzo cominciava la parte ripida per arrivare alla nostra meta. Ero nell’ultimo gruppo ed era veramente impressionante vedere circa 40 persone fare zig-zag e inversioni una dietro all’altra.

“Vedere 40 persone fare zig zag”, Agnese Amoretti

Dopo circa quattro ore eccoci arrivati al colle tra la Testa Cordellaz e il Flassin.

Verso il colle, Luca Biasato

Anche se non siamo arrivati sulla cima a causa delle condizioni poco sicure, la vista era comunque impressionante. Un cielo blu senza nemmeno una sola nuvola.

Video: Stefano Bertolotti

Si mangia e si beve, si tolgono le pelli e comincia la parte “divertente”. Divertente più per alcuni che per altri, ma comunque piacevole. La condizione della neve era un po’ difficile, per alcuni è stata la nostra prima esperienza con la crosta da vento e rigelo. E tra cristonate e un po’ di mal di gambe siamo scesi dalla parte più ripida per fare esercitazione di autosoccorso in valanga. Si comincia a prendere più confidenza con Artva, sonda e pala e si riprende poi la discesa per raggiungere il pullman. La seconda parte della discesa è decisamente più tranquilla, sembra quasi una pista di sci, con dei tratti di neve più bella e altri un po’ più ghiacciata e crostosa.

I gruppi cominciano ad arrivare uno per volta al pullman e sono accolti da un bel vento gelido. Arrivati tutti, ci raccogliamo al riparo del fabbricato del Foyer de Fond per scappare dal freddo vento da Nord, e si dà il via ad un bel terzo tempo con ogni tipo di spuntini salati, dolci e birra.

Verso le 17.15 si comincia a tornare a casa. Un po’ di traffico, ma verso le 19.00 siamo al punto di ritrovo.

È stata una bella gita, con un bel clima e buona compagnia. Magari la neve non era più farinosa, ma abbiamo imparato tanto e ci siamo divertiti ugualmente. Ed ora si aspetta con trepidazione la quarta gita del corso.

Angelina Callegar

Il gracchio volò e forse lo stambecco osservò – Alessandro Vicario

e ora ecco qui le foto

SSA1 Seconda Uscita: Colle BEgino + Cima SAUREL

25.01.2023

Per la nostra seconda gita, udite udite, abbiamo avuto l’onore di incontrare una morbida neve su cui far correre i nostri amati assi e un pallido sole che ci ha accompagnato lungo la nostra salita (per poi lasciarci, giunti alla meta, preda di un gelido vento, brrr!). Aspettiamo però a farci travolgere da prematuro entusiasmo per l’arrivo della agognata stagione invernale e, per il momento, con aplomb sabaudo custodiamo solo per noi il goduto luccichio della neve e le travolgenti speranze.

Il morbido ambiente invernale alle spalle di Capanna Mautino foto di Gaia

Come tradizione comanda, ripercorriamo ora la nostra ultima gita attraverso le parole del Nostro Girovago Bardo che quest’anno si è fatto sorprendere dall’inizio dei corsi mentre esplorava l’altro lato dell’emisfero. A te la parola, Enrico!

Ormai non reggo più il passo della Scuola.

Qualcuno potrebbe commentare: “E quando mai l’hai retto..”.  Ma sarebbe una malignità: il mio interesse per l’ambiente circostante, l’inclinazione a lieti conversari, si traduce in un incedere mai affannato, regale,  solo in apparenza lento.

No, no, è in generale che non tengo più il passo.

Ma dico: uno torna da un giretto in Patagonia – con ancora negli occhi Fitz Roy, Cerro Torre e Torri del Paine – e scopre che mica lo hanno aspettato, c’è già stata una gita! “E la relazione chi l’ha fatta?” chiedo interessato (NB le relazioni della Prima Gita sono curate da me medesimo, ab immemorabili). “Un’allieva.. l’ha fatta in bus, quando siamo arrivati a Torino era già finita”.

In bus! Ma si può?? Fast and furious!

Mi è venuta l’ansia… Non posso reggere ‘sti ritmi.. Io la relazione la scrivo con piuma d’oca, la leggo, rileggo, la tornisco, la faccio sedimentare..

E ci sono già state pure due lezioni teoriche! Mi presento alla terza, neve e valanghe. Si sa, la tiene un Chiarissimo docente del Politecnico. Da sempre, vi assisto con ammirato interesse, per la competenza, la precisione espositiva, la chiarezza delle slide. Ho solo una latente preoccupazione, che ad un certo punto dica: “Bene, ora facciamo una verifica: prendete un foglio protocollo e  scrivete «Su di un pendio esposto ad nord est nevica da 6 ore; il manto nevoso cresce di 1,72 cm all’ora; il vento ne riduce l’incremento del 19%. Considerata una temperatura media di 2,3°, calcoli il candidato.. »”.

A fine lezione aspettavo il fugone verso l’uscita, invece un allievo ha fatto una domanda che non ho capito proprio bene: ricordo solo che concerneva il cielo stellato.. La cosa che mi ha lasciato esterefatto è che ha formulato la domanda con un riferimento puntuale a due slide, di cui ricordava l’esatta numerazione (tra le mille slide proiettate..). Nella lezione neve e valanghe del 1987, annata d’oro cui mi pregio di essermi affacciato alla Scuola, la domanda avrebbe potuto essere: “Cristalli a calice… con Bonarda o Barbera?” Il docente avrebbe reagito con un mirato lancio di picca.

Ribadisco… troppo sul pezzo ‘sti ragazzi. Temo che alla corrente “Sci alpinismo mite”, di cui sono l’orgoglioso caposcuola, non resti che entrare in clandestinità…

Tormentato da questi pensieri mi accingo alla gita numero due. Appuntamento mattutino h 06.30, bus deluxe, bipiano. All’arrivo a Bousson abbandoniamo il tepore del mezzo, fuori si ghiaccia a – 11. La densità di auto nel parcheggio testimonia che la meta scelta non è stata originale, ma probabilmente assennata.

Per la relazione della gita potrei procedere ad un agevole copia/incolla dalla descrizione su Gulliver (“Da Bousson si segue la strada che si inerpica tra le case fino alle ultime, lasciandola per seguire il sentiero che si tiene alto sul fiume Thures, e dopo l’attraversamento di alcuni prati tocca i ruderi di Bonne Maison”), ma non è questo che mi chiedono i miei lettori. 😊

Dopo agevole salita di buon passo, al Lago Nero il gruppo si divide: circa la metà della combriccola sale a sinistra, al Col Begino, aggiungendo 300 m di dislivello e una ripellata (ripellata???!! Alla seconda gita!!! Ommisignur! Ma  sensa cunisiun!!!). Gli altri proseguono sull’itinerario classico, verso punta Saurel.

La giornata è sì frizzantina, ma il freddo non terribile, complice anche un solicello che pian piano sembra prendere coraggio. Le condizioni del manto nevoso consentono una valida didattica in situ, con illustrazione delle zone dove è più evidente l’insidiosa neve riportata.

Sul pendio a destra possiamo apprezzare anche un’opera d’arte:  “Mirage”, una luna in lamelle di bambù creata sulle fondamenta di un ex avamposto militare.

Quando ci affacciamo ai 2.451 m della cima troviamo un freddo beccaccino, una bisa feroce. Improponibile attendere gli altri qui: rapidamente togliamo le pelli, mettiamo gli sci in assetto da discesa e ci ricompattiamo alla seggiovia dismessa di Col Saurel, per sosta spuntino.

La disponibilità del bus ci consente – con le opportune indicazioni all’autista, dirottato su Claviere – di scendere su di un versante diverso rispetto a quello della traccia di salita. E ben ce ne incoglie: la neve è buona, a tratti ottima, e la discesa divertente.

Sosta per una ricerca Artva ai pianori sopra Capanna Gimont; la difficoltà maggiore è il freddo, funzionale a temprare le giovani leve ed a rendere più sfidante l’esercitazione: nella temuta ipotesi in cui si dovesse ricercare un compagno sepolto, le condizioni meteo e temperatura non le potremmo scegliere noi..

Il corvo imperiale osserva l’esercitazione Artva, Alessandro Vicario

Scendiamo sulle piste; sciatori pochi, l’impressione è che fosse più gente a fare Cima Saurel che sugli impianti.

Al bus degna conclusione della giornata con ricche libagioni; almeno questo nella Scuola non è cambiato.

Quindi, ricapitolando: un millino tondo di dislivello, neve buona in discesa. Bilancio della giornata ampiamente positivo.

Alla fine della gita, stanco ed infreddolito, il mio demone competitivo mi ha suggerito di iniziare a scrivere la relazione in bus… ma mi calo il cappello sugli occhi, e sfrutto al meglio gli ottimi sedili…

Cavùr

PS La temperatura di – 11 alla partenza era impegnativa.. nulla a che vedere però con i – 15 dei cugini bianconeri in campionato … 😊

Le foto della giornata

15.01.2023 SSA 1 PrImA Uscita: Bettaforca e Gabiet

Quando un’immagine dice più di molte parole,,, foto di Federico
Ed eccoci qui, inizia una nuovo anno e una nuova avventura! beh forse non proprio all'insegna del bel tempo ma sicuramente dell'entusiasmo. ;)

La Redazione cambia volto..ops.. penna.  Per quest'anno la frizzante e acuta penna di Francesca non potrà accompagnarci attraverso i racconti delle  nostre peripezie su e giù per le montagne. Aspettando che torni presto,  lasciamo la parola a una  delle  nostre nuove allieve, Alessandra Gallo, che coraggiosamente si è prestata alla scrittura della prima relazione dell'anno (Grazie Alessandra!). 

A seguire, come sempre, lo slideshow con le foto della gita (che a dirla tutta questa volta langue un po'..ma ci rifaremo la prossima volta!)

A te la parola, Alessandra 

Prima uscita 2023 con il Cai Uget per il corso di sci-alpinismo: per me, che sono assolutamente nuova del gruppo e di questo sport, un po’ di tensione e tanta emozione!

Giá dal ritrovo alle 6.30, presso il luogo prestabilito dove troviamo pronto ad attenderci il nostro pullman, si percepisce che nelle persone con cui avrei trascorso la giornata c’è una meravigliosa fiamma accesa che ci accomuna: quella scintilla che alimenta l’entusiasmo ad alzarti la domenica mattina alle 4.45, e che ti carica quando, con un paio di sci pellati ai piedi, devi salire versanti della maestosa montagna innevata, magari anche ripidi e ghiacciati!

Tutto meraviglioso: la sfida con se stessi e con le proprie possibilità è uno stimolo impareggiabile. E gli istruttori del CAI, preparatissimi e attentissimi, sono pronti ad aiutare e a spiegare le tecniche di salita con delicatezza e fermezza.

Per me è stata la prima volta che ho provato un’inversione: incredibile! certi numeri che neanche una ballerina di classica!!!

A rendere il tutto veramente magico è l’eterogeneità del gruppo! Etá diverse, origini diverse, professioni diverse………tutti accomunati dalla passione per la montagna e per la sfida nel superare se stessi!

La nostra meta è Gressoney La Trinitè. Arrivati sul posto, divisione in gruppi e breve ma importante momento di conoscenza con il proprio. Prova dell’artva, e via a prendere l’ovovia che ci porta sulle piste dove ha inizio la salita. È durante questo primo momento che il gruppo si affiata. Il meteo lievemente ostile non spegne la fiamma  che ci lega con un filo invisibile di rispetto e attenzione reciproca. Io ho percepito questo in particolare durante la discesa: tutti con stili e velocitá di andatura diversi, anche in parecchi sullo stesso tratto di pista: non ho mai sentito l’ansia di un’eventuale collisione come invece mi capita normalmente sulle piste affollate! Ciascuno attento a se e agli altri intorno! Per me questa modalitá di discesa è una coccola!

Fatta anche la prova di discesa per testare la capacitá di controllo della sciata di ciascuno; poi giú a valle per rimettere le pelli, risalire verso Gabiet con un’altra ovovia e risalire con gli sci verso il Passo dei Salati per poi gustare una gradevolissima discesa verso Staffal dove ad attenderci il pullman e un buffet ricco di cibo e di simpatia!

Vai allo slideshow

SSA2. Ultima Uscita L’Eveque

30 APRILE/1 MAGGIO – USCITE 6 e 7

Il Rifugio Nacamuli abbarbicato tra le rocce_ foto Kia

Il rifugio mi appare all’improvviso, dietro una svolta. Non cerco mai con lo sguardo i rifugi durante la salita, forse sono sempre troppo stanco per scrutare in alto tra le rocce, o forse mi piace trovarmeli davanti all’ultimo, come un’oasi che ti si para davanti, e accoglie gambe stanche e spalle doloranti per il peso degli spallacci.

Stanco questa volta lo sono decisamente, dopo un portage lungo assai, che il tempo uggioso non ha consentito di allietare con la vista dello splendido Lago di Place Moulin, che il sentiero all’inizio costeggia, ma la foschia cela.

Il rifugio si chiama Nacamuli. Sembra il nome di una remota valle nepalese, invece è il cognome di un ragazzo di Torino, Alessandro, morto in Pakistan a metà degli anni ’80. I genitori hanno fatto una donazione al CAI, con la condizione di usarla per un rifugio a lui dedicato.

Qui un ricordo di una sua amica.

“Alla fine qualcuno pensò – per ricordarlo – a un rifugio da ristrutturare, a nome del Naca. Se lo fosse scelto da solo, non avrebbe fatto di meglio, arroccato com’era tra le pietraie e le nevi di una valle selvaggia, uno di quei terreni avventurosi e faticosissimi in cui si svolgevano le “nacamulate”, un classico estivo, interminabili arrancate collettive che conducevano il nostro gruppo in quell’insidiosa zona psicologica che sta tra l’esaltazione e la crisi isterica”. (https://marinamorpurgo.weebly.com/il-cane-magico.html)

Mi sono ritrovato in questa frase, che fotografa lo stato d’animo di tante mie stagioni sci alpinistiche, vissute tra “l’esaltazione e la crisi isterica”.

Il rifugio è veramente abbarbicato tra le rocce, un nido d’aquila; ma il pezzo forte è il cesso, una sottospecie di cabina telefonica cui si accede scendendo una ripida scala di ferro, ben ancorati ad un provvidenziale corrimano. Quando lo vedo, un solo pensiero: Signore, che stanotte non mi scappi da pisciare..

Il gestore, Giorgio, ci accoglie con la verve di chi non parla con nessuno da giorni: “Siete solo voi, mettetevi dove volete nelle due camerate; l’acqua esce dalla pompa, è acqua di fusione, arriva finchè la pompa non ghiaccia”. Alle 19 non esce più niente.

Ottima cena: minestrone, pasta, pollo e piselli, budino; sbraniamo tutto.

Mi informo con la Diretura sui progetti di domani: attacca un “Saliamo lì, poi scendiamo là, poi risaliamo su, poi riscendiamo giù..”. Sembra il programma di un giornaliero al Sestriere. Non ce la farò mai…

La notte scende sul rifugio e sul suo aereo bagno _Foto Cavùr

La sveglia suona alle 4.55; rispetto a quella di sabato abbiamo guadagnato 10 minuti. Però siamo a 2.900 metri, non in Corso Vittorio; speravo meglio…

La prima ora dal risveglio è quel festoso frullatore che caratterizza le partenze da rifugio, un affaccendarsi tra fette biscottate ed imbraghi, tra calzate di scarponi e piegamento di coperte, che termina quando il rifugio ci risputa fuori, alla fioca luce ed al freddo becco…

Salita al Col Collon, 3.114 metri, e di li al Col dell’Eveque, 3.350 m. Poi scendiamo, per quasi 300 metri, sui 20 centimetri della nevicata recente: una libidine, la miglior neve della stagione.

Secondo il feroce programma della giornata si dovrebbe risalire alla Cima d’Eveque, per poi tornare sui nostri passi, scendendo e risalendo nuovamente al colle, per calare infine alle auto. Col Parusso ci scambiamo uno sguardo d’intesa: è stata una bella gita, coronamento di una bella stagione; portiamo a casa la pelle, comprese gambe e polmoni. La vecchiaia ci ha reso cauti e saggi.

In tre decidiamo dunque di rinunciare alla vetta; risaliamo al Col dell’Eveque, con quella calma che permette di fare foto e godersi il panorama, e giunti al colle ci sistemiamo ed aspettiamo. Che spettacolo: la vista spazia tra cime che svettano superbe, un ambiente magico, sotto uno splendido sole.

I giovani e forti invece, formate le cordate, sono partiti per la vetta. In cima non arriveranno, si fermeranno 200 m. sotto il ripido pendio finale: il ghiaccio sotto la neve fresca rende pericoloso osare di più, anche tra i giovani e forti prevale la prudenza.

L’avvicinamento all’Eveque in cordata_ Foto Kia

La nostra attesa dura un paio d’ore: l’apertura ci raggiunge al colle, ma non viene verso di noi, punta sulla Becca d’Oren. Ma ‘sta gente in casa ha una ruota da gabbia di criceto, sulla quale sfogarsi fino allo sfinimento?

“Piaceva/ essere così pochi intirizziti/ uniti, /come ultimi uomini su un monte” Umberto Saba _ Foto Cavùr

La discesa è lunga lunga, con sciata a tratti piacevole; poi inizia la ricerca delle lingue di neve che ci consentano di  scendere tra le rocce affioranti, ed infine il lungo portage di ritorno, fino al lago, che stavolta si manifesta nel suo azzurro alabastro. Il giovane Parussino – in un emblematico passaggio di consegne – si carica gli sci dell’anziano genitore, come fece Enea con Anchise, in fuga da Troia in fiamme. Son cose belle.

Il giovane allievo, come Enea con Anchise in fuga da Troia in fiamme, si carica gli sci dell’anziano genitore. _foto Cavùr

Questa la relazione della gita di chiusura. Ma trattandosi di una stagione peculiare, unica, penso sia doveroso aggiungere qualcosa, un bilancio consuntivo; ed avendo partecipato a tutte, dico tutte, le gite (solo io ed Enzo possiamo fregiarci di questo successo), non posso esimermi.

I protagonisti di questa ultima gita Foto_Autori vari, collage Gaia

COSA E’ ANDATO BENE

E’ stata la stagione del ritorno alle gite della Scuola, dopo due anni di stop Covid. Ed è stato bellissimo ricominciare, e farlo insieme a tanti vecchi e nuovi amici.

E’ stata la stagione del passaggio di consegne dal Sommo Diretùr dei Diretùr, alla nuova Diretura. Ella ha condotto in porto la stagione con pugno di ferro in guanto di velluto; pacata, equilibrata, ha ispirato sicurezza, condita con lampi di ironia. La leadership del nuovo millennio, si sa, è donna.

E’ stata una stagione avara di neve, che ci ha costretto a confinare la quasi totalità delle gite in Val d’Aosta. La partenza alle 06.00 da Corso Giulio è stata una costante così reiterata, che ho rischiato di dirigermi lì pure in settimana, invece che in ufficio.

E’ stata la stagione in cui le relazioni della scuola (la SSA del CAI UGET può vantare le migliori relazioni non solo in area torinese, ma dell’orbe terracqueo) hanno visto contributi qualificati di numerosi neoallievi. Un plauso speciale alle prefazioni di Lady Restano: la sopracitata si ammanta di una certa rudezza dell’approccio, la cifra espressiva ricorda quella di Crudelia Demon verso i dalmati, ma con la tastiera in mano incanta: originale, eclettica, i suoi incipit hanno un ritmo tambureggiante. A lei anche il merito di aver inaugurato una nuova sezione del sito, la pinacoteca virtuale, una galleria di immagini affidata al talentuoso pennino di Alessandro Vicario.

E’ stato l’anno della svolta internazionale: con la presenza di austriaci e cecoslovacchi, e di giovani che padroneggiano la lingua della perfida Albione, al  desco in rifugio i phrasal verbs hanno preso il posto dei cori e delle barzellette sconce in piemontese.

COSA E’ ANDATO MALE

Nulla. Tutto è andato benissimo. Solo nella logica ad maiora, mi sia consentito qualche spunto di miglioramento…

Il corso SA1 è stato un normale corso di sci alpinismo. Gite tutto sommato tranquille, un bel gruppo di nuove leve, ingentilito da cospicua presenza femminile. Poi è iniziato il corso SA2.

Il film di Tarantino “Dal tramonto all’alba” (1996) per la prima parte è un classico  film su di una rapina in banca, sparatorie, inseguimenti, tutto secondo copione. Poi, inaspettatamente, spuntano i vampiri.  E’ quel che è successo con l’SA2; improvvisamente una svolta sovrannaturale: i ritmi sono diventati disumani; le graziose allieve sono scomparse (non va mica bene.. tutte ‘ste rivendicazioni, la parità, il soffitto di cristallo, e poi le donne si fanno da parte?!). Sono rimasti solo maschi; un manipolo di guerrieri masai desiderosi di sfoggiare il proprio vigore, tutti infoiati, per la gioia di infoiatissimi istruttori.

Il nobile aggregato durante la marcia e dopo.. Foto Pietro

L’SA2 è stato quanto di più lontano dallo sci alpinismo mite, di cui mi fregio del titolo di caposcuola; si è virato verso l’eresia del coiptus frettolosus, manifestazione ossessivo compulsiva che mi auguro (per compagni e compagne di talamo) i contagiati riservino solo alle scorribande montane.

“Ripellare” è stata la parola d’ordine di tutte le gite, accompagnata da “portage”.  Sono cose brutte, termini che non vorremmo sentire.. Per non parlare degli onnipresenti ramponi nello zaino. Nota di metodo: il rampone pesa, tanto; bisogna meditare attentamente se portarlo, non è come un ventaglio… Poi il rampone sta benissimo a casa, nell’armadio, non si sente solo. Tambien la picozza..

Per la prossima stagione propongo una svolta verso il festina lente (“affrettati lentamente”); mi farò all’uopo promotore di iniziative celebrative: inizio a presentare l’ultima opera del maestro Vicario, che trovate riprodotta in calce,  ed anticipo che ne verrà tratto un distintivo, da appuntare sulla giacca dei seguaci. Ordinatelo per tempo..

Locandina dello Scialpinismo Mite

Per la stagione 2023 adottiamo dunque una condotta di gita che preveda progressione con chiacchiere, osservazione dell’ambiente circostante, prolungate soste in punta con libagioni; in sostanza, una relazione con l’oggetto del desiderio – in questo caso la montagna – che contempli il petting.

Cavùr

https://www.flickr.com/photos/ssacaiuget/albums/72177720298647536/with/52050283345/