Come detto ieri sera in sede ai presenti, le probabilità che riusciremo a fare la gita sono attualmente molto basse.
In relazione all’evoluzione del bollettino nivo-meteo di venerdì pomeriggio, comunicheremo tramite mail se sarà confermata l’uscita entro venerdì sera. ( controllate la mail, per favore )
Se ci saranno le condizioni, Il ritrovo di domenica mattina sarà alle ore 6.00al parcheggio di corso IV Novembre a Rivoli, davanti al Mercatò: 45.066021, 7.541184
Cerchiamo, gentilmente, di essere tutti puntuali.
Non ci sarà il bus, saliremo su con le auto, cercando di compattare gli equipaggi il più possibile.
Se non sarà possibile fare questa domenica la gita, verrà definitivamente recuperata Domenica 24 marzo ( segnamoci questa data ).
Separati dal tepore dei nostri letti e abbracciati da una fin troppo mite frescura, il nostro viaggio al termine della notte ci riunisce nella zona industriale di Rivoli, delle cui incantevoli vedute siamo privati da un Sole che ancora tarda a mostrarsi. Caricato frettolosamente il bus ed effettuato un breve appello per constatare le prime defezioni, la quiete torna sovrana tra gli angusti sedili, dove ognuno è deciso a sfruttare gli ultimi minuti di buio per recuperare quanto possibile del riposo domenicale. Silenziose, le pesanti ruote calcano la strada che conduce in terra straniera, direzione Le Laus. Dolcemente risvegliati dagli abbondanti colpi di clacson del nostro cordiale autista, i paesaggi disegnati dalle montagne francesi decorano i vetri del veicolo e ci accompagnano fino alla piazzola di partenza della nostra quarta uscita. I preparativi sono rapidi e collaudati, in poco tempo i gruppi si avviano ordinati lungo l’ampia pista da fondo, addentrandosi tra la vegetazione. Diversamente dalle domeniche precedenti, il percorso si sviluppa prevalentemente in orizzontale, distribuendo il dislivello su una gentile salita che favorisce una lenta costanza e permette di godere senza affanni del paesaggio ancora invernale che ci circonda. Attraverso la graduale ascesa, guadando fiumi (non senza vittime) e valicando colli, sentiamo con stupore la neve farsi ad ogni passo più soffice sotto i nostri piedi, invogliandoci ad accelerare la marcia in vista di una discesa che si anticipa essere molto gratificante. Il ripido tratto finale è inflessibile nel provare le nostre già stanche gambe, ma ci porta infine a un piccolo avvallamento tra due cime, la nostra destinazione. Lasciato alle spalle il versante di arrivo, si presenta a noi uno splendido spettacolo di montagne innevate che costituisce cornice ideale per l’agognato pranzo e giusta ricompensa alla fatica. Il tempo è però un bene prezioso e non passa molto tempo prima che, tolte le pelli e indossati i caschi, inizi la discesa. Intermezzate dalle ormai ben familiari prove di ricerca ARVA, gli innevati pendii vengono attraversati da decine di piccole rotaie che, fuggendo sul tenero manto della montagna, si inseguono tra loro, si allontanano poi si avvicinano, si incrociano e si sovrappongono, dipingendo complessi intrecci su una immacolata tela. Riunendoci alle falde del bosco come al termine di una lunga danza, con un ultimo sforzo di braccia, scivoliamo sul duro ghiaccio e ci raduniamo al bus. Dimentichi delle precedenti disavventure, o forse ingolositi da una ghiotta merenda, ignoriamo le rombanti suppliche dell’autista per celebrare con dolci e bevande la buona riuscita della gita. Ma la sorte ci è amica e questa volta il prezzo pagato non sarà caro; nonostante il traffico, riusciamo infatti a raggiungere Rivoli prima del tramonto. I suoi capannoni e le sue strade trafficate già fanno pensare con nostalgia alle bianche cime che in poche ore sono svanite dai nostri occhi per diventare un ricordo nella nostra mente.
5.00. Sveglia. Mi stropiccio gli occhi. Colazione e thermos del the da mettere nello zaino.
Guido per la città semideserta fino al ritrovo. Assonnati ma gasati saliamo sul pullman. L’alba dal finestrino ha sempre il suo fascino, ma sonnecchio fino al traforo.
Appena sbucati sul lato svizzero si apre un panorama vagamente post apocalittico con i resti di impianti dismessi e costruzioni abbandonate, ma le vallate che si allargano di fronte a noi sono bianche di neve, il che è una bellissima notizia vista la scarsità di quest’anno.
Alla terza uscita tutti abbiamo un po’ più confidenza con l’attrezzatura nel prepararci e presto ci incamminiamo sulla neve.
La salita è regolare e non fatichiamo troppo a raggiungere il punto in cui la vallata si apre in un anfiteatro bianco con solo qualche roccia delle creste a fare da corona: magnifico e bucolico. Il sole scalda come a primavera e ci raccogliamo con tutti i gruppi sotto l’ultimo tratto di salita dove la pendenza diventa importante.
Per me è la prima salita con gli sci con queste pendenze e nonostante la bellezza drizzo le antenne durante le inversioni seguendo gli istruttori: il colpo d’occhio da sotto la vetta ripaga di ogni sforzo e svuota la mente come un colpo di vento con le foglie.
Resto lì seduto a bere il the e guardare lo spettacolo.
La prima parte della discesa mi mette alla prova e sudo cercando di curvare sul ripido, per fortuna gli istruttori ci seguono e ci indirizzano. Il resto della discesa fila via veloce, quasi battuta dai molti passaggi prima di noi.
Al pullman vedo la soddisfazione sulle facce abbronzate tra un bicchiere di vino e una fetta di salame, questa prima gita lontano dalle piste ha conquistato tutti e messo alla prova molti.
Nota: miglioriamo anche sul terzo tempo, siamo già ai piatti caldi…non faccio previsioni su cosa mangeremo alla fine del corso.
Rubo una frase da chi ha più dimestichezza di me con la penna (The Holstee Manifesto):
“La vita è breve. Vivi i tuoi sogni e condividi le tue passioni.”
La precedente uscita era essenzialmente finalizzata a verificare la maestria dei nuovi allievi in salita e discesa. Con la seconda possiamo dire che la stagione è ufficialmente iniziata.
Certo, le gite di esordio servono per prendere confidenza con materiali, gesti e tecniche nuove; nel bene e nel male (godimento e fatica) non rappresentano quanto sta cercando chi ha deciso di avvicinarsi allo sci alpinismo. Dalla prossima isseremo le vele e ci allontaneremo da impianti e piste battute. Su altri pendii si parrà la vostra nobilitate.
Anche la relazione dell’uscita – per noi che disdegniamo la cronaca e cerchiamo l’epica – rischia, con questi trascorsi, di essere un po’ stantia.
Detto che si è partiti dal posteggio degli impianti di Crevalcol (che sembrava una pista di pattinaggio… una lastra di ghiaccio), si è saliti di buon passo sulla Tete di Crevalcol con un millino di dislivello su neve crostosa per la pioggia dei giorni precedenti, e si è scesi in parte su neve solo a tratti decente, e più in basso sulle piste battute, poco resta da aggiungere. Giusto che di neve ce n’era proprio tanta: in cima la sonda andava giù oltre i due metri, e questo ha favorito il seppellimento dell’Artva, con un’esercitazione molto didattica a cura degli istruttori, alla quale, nella prossima uscita, farà seguito quella degli allievi.
Detto questo, abbiamo spazio per qualche riflessione, con divagazioni sociologiche. Le chiacchiere sono una componente fondamentale dello sci alpinismo; o almeno così ritiene quella corrente filosofica detta dello “sci alpinismo mite”, che dà risalto alle relazioni, che si nutre di amene ciance salendo (finchè il fiato lo consente) e, durante le soste, scendendo; di libagioni in compagnia; di notti al rifugio. Non solo di cime e dislivello vive l’uomo.
Partiamo da qualche dato statistico. Alla scuola quest’anno sono stati ammessi 42 allievi; 27 uomini e 15 donne. La prevalenza maschile è forte, nel recente passato si era però raggiunta la parità con l’altra metà del cielo.
Rispetto al mio corso del 1987, c’è comunque una differenza abissale: allora le donne sci alpiniste erano pochissime.
Purtroppo col passaggio dall’SA1 al corso avanzato SA2, negli scorsi anni la presenza femminile scemava drasticamente. Speriamo che quest’anno ci sia un’inversione di tendenza… quando il gioco si fa duro, le dure iniziano a giocare… 😊
Ma veniamo all’età: molti, molti giovani. Età media 30 anni. Ma i membri della generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012) annoverano ben 16 esponenti.
Anche in questo, rispetto agli anni ’80, c’è stato un forte cambiamento. Al mio corso, con 21 anni, ero una rara avis.
Non ho le competenze per decifrare quella che considero sicuramente un’evoluzione positiva. Forse il costo del giornaliero (il Monterosa Sky a 65 €!) fornisce una prima spiegazione; sciare su pista, soprattutto per un giovane, è diventato un lusso. Poi, in tempi di Covid, con impianti chiusi, l‘attività sci alpinistica – diventata l’unica opzione – ha tratto significativo vigore; Jolly sport in quel periodo per le pellate affittava anche i manici da scopa.
NB Spero che i dati riportati siano corretti, con i numeri ho poca dimestichezza… ho fatto il classico (l’articolo determinativo, e la firma in calce, rendono superflua ogni indicazione su quale istituto).
Altro elemento interessante è che le iscrizioni si sono chiuse in 57 secondi. Netti. Manco il click day dell’Agenzia delle Entrate. Questi aspiranti che attendono la mezzanotte, e come falchi calano sul sito ad inserire i loro dati, rivelano una fortissima motivazione. Bene.
Interessante anche ragionare sulla presenza della prole di sci alpinisti, con una sorta di passaggio di testimone da generazione a generazione.
Il fenomeno si era già presentato in passato: Sara, una predestinata, visto il CV dell’antenato. Il giovane Parussino, che ha seguito le orme del genitore, anzi dei genitori, figure di spicco dello sci alpinismo ugettino; il ragazzo, si distinse in un’impegnativa discesa dal rifugio Nacamuli, durante la quale – in un emblematico passaggio di consegne – si accollò gli sci dell’anziano genitore nell’ultimo tratto su sentiero; novello Enea che fuggì da Troia con il padre Anchise sulle spalle. Tralasciamo poi la gloriosa dinastia dei Berta.
Quest’anno ben due sono gli eredi neoiscritti.
Nel mio caso, l’adesione è stata invero sorprendente: la pargola, in età adolescenziale, indagando sulle mie attività del week end, ebbe così ad apostrofarmi: “Fammi capire, ma voi salite per ore con lo zaino in spalla, facendo una fatica bestia? Poi scendete, spesso su neve di merda, e comunque una volta sola? Non fa per me. E’ la somma di tutto ciò che odio”.
La sentenza non lasciava molto spazio a ripensamenti. Ed invece… Il seme ha attecchito. Se son rose, fioriranno…
“Siamo partiti presto, molto presto, nel buio più buio ma quando il glorioso Torpedone della Scuola ha superato una delle ultime curve prima di Staffal e i ghiacciai sullo sfondo sono stati illuminati dai primi raggi del sole – che naturalmente li colorava di Rosa – abbiamo tutti capito che questa esperienza iniziava nel migliore dei modi….
Il gruppo è eterogeneo, giovani, diversamente giovani, istruttori esperti, istruttori giovani accomunati dalla passione dello scialpinismo, palpabile in tutti ma discreta come chiede la montagna.
Da Staffal l’esperienza è iniziata con una comoda salita in funivia fino a Sant’Anna e da lì, divisi in gruppi, è iniziata la salita verso il Colle della Bettaforca, primo assaggio delle fatiche e delle gioie dello scorrere delle pelli…
Dopo una sosta corroborante al Rifugio al Colle abbiamo iniziato la comoda discesa lungo la pista fino al momento topico della valutazione – allievo per allievo – delle capacità sciistiche….gli esami non finiscono mai e sono sempre un emozione ma secondo me ce la siamo cavata!
Il tempo di un boccone e poi da Staffal cabinovia fino al Gabiet, ripellata e salita tranquilla e didattica per iniziare i rudimenti di inversioni, discese su fresca, nozioni sulla conduzione della gita in sicurezza.
Non siamo arrivati fino al Passo dei Salati ma ormai con soddisfazione e anche un po di stanchezza nelle gambe abbiamo inziato la lunga discesa su pista fino a Trinitè.
Terzo tempo al bus con libagioni e degustazioni come da tradizione prima di rientrare in città.
Temperatura gradevole, sprazzi di sole, neve poca, dura ma sciabile, circa 800m di dislivello in salita….dai, non male per la prima uscita!”